Ribaltata completamente la prospettiva tracciata con la doppia condanna in primo e in secondo grado. I documenti utilizzati, ossia ‘cartellino marcatempo’ o ‘foglio presenze’, costituiscono strumenti per l’attestazione della persona in merito a un rapporto di lavoro sottoposto a disciplina privatistica. Nessun riferimento alla pubblica amministrazione.
‘Foglio presenze’ alterato. Modificati ad arte l’orario di ingresso e quello relativo all’assenza per la ‘pausa pranzo’. A commetterlo è la dipendente di un ufficio pubblico. Ma nessun addebito è possibile per l’ipotesi di falso ideologico in atto pubblico Cassazione, sentenza numero 19299, Quinta sezione Penale, depositata ieri . Semplice omissione. Eppure, per i giudici, sia in primo che in secondo grado, nessuna contestazione è possibile. Legittima la pronuncia di condanna a nove mesi di reclusione. Evidente il falso compiuto ‘modificando’ il ‘foglio presenze’. A contestare questa tesi è la dipendente, che, tramite il proprio legale, presenta ricorso in Cassazione, negando l’attribuzione dell’accusa di «falsità materiale», e richiamando il valore da attribuire al ‘cartellino segnatempo’. Che «non può essere considerato un documento rappresentativo di un unitario atto di attestazione delle ore di effettiva presenza del pubblico funzionario dell’ufficio». Di conseguenza, la «mancata timbratura del cartellino», in occasione di un «temporaneo allontanamento del funzionario», non può dar luogo alla «reticente formazione di un atto pubblico» e a una «falsa rappresentazione della realtà», ma più semplicemente è «omissione del compimento dell’atto». Il valore del documento. Per dirimere la questione, però, i giudici della Cassazione, richiamandosi a un precedente ad hoc, sottolineano che, in caso di «falsa attestazione del pubblico dipendente» in materia di «presenza in ufficio» attraverso l’impiego di «‘cartellini marcatempo’ o ‘fogli presenze’», non si può assolutamente parlare di «falso ideologico in atto pubblico». Piuttosto, chiariscono i giudici, si può parlare di «mera attestazione del dipendente, inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica», e i documenti, a cui si fa riferimento, «non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione». Di conseguenza, la doppia pronuncia di condanna è da azzerare «il fatto non sussiste» e la dipendente è ‘salva’.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 aprile - 21 maggio 2012, numero 19299 Presidente Ferrua – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. S.A. propone ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Venezia che ha confermato la sentenza del tribunale di Padova che la condannava alla pena di nove mesi di reclusione per avere alterato l’orario d’ingresso e di assenza per la pausa pranzo sul foglio presenze della questura di Padova. 2. Contro la predetta sentenza vengono svolti tre motivi di ricorso a. violazione degli articoli 157 e 519 cod. penumero per omessa declaratoria di estinzione dei reati a causa dell’intervenuta prescrizione. Sostiene la ricorrente che i reati fossero già prescritti alla data del 10/02/2011 di deposito della sentenza della Corte d’appello di Venezia, ciò in quanto doveva applicarsi il nuovo e più favorevole termine di operatività della causa estintiva introdotto dall’articolo sei della legge 251-2005, pari ad anni sei. b. Mancanza ed illogicità della motivazione in relazione alla erronea valutazione delle prove secondo la ricorrente il tribunale di Padova, contro la cui sentenza è rivolta la presente censura, avrebbe valutato gli elementi probatori in modo asimmetrico fondando il proprio convincimento esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dei testi del pubblico ministero, mentre l’imputata aveva dovuto rinunciare ai propri testi perché si era resa conto della loro inutilità, a fronte delle risposte date dai testi dell’accusa. c. Inosservanza ed inidonea applicazione della legge penale in relazione alla individuazione delle fattispecie criminose di cui agli articoli 476 e 479 cod. penumero secondo la ricorrente il cartellino segnatempo non può essere considerato un documento rappresentativo di un unitario atto di attestazione delle ore di effettiva presenza del pubblico funzionario dell’ufficio ne consegue che la mancata timbratura del cartellino in occasione di un temporaneo allontanamento del funzionario non da luogo alla reticente formazione di un atto pubblico unitario, tale da tradursi in una falsa rappresentazione della realtà, ma è semplicemente l’omissione del compimento dell’atto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato non integra, infatti, il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla P.A. Sez. U, numero 15983 del 11/04/2006, Sepe, cui si è conformata la successiva giurisprudenza La falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili cfr. sez. 2, numero 34210 del 06/10/2005, Buttiglieri . P.Q.M. Annulla senza rinvio a sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.