Al marito non spetta alcuna indennità di occupazione della casa coniugale, in comunione legale, assegnata alla moglie in sede di separazione se non ha preventivamente manifestato la volontà di godere di questo diritto o qualora non abbia ottenuto una modifica degli omologati accordi.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza numero 1241 depositata lo scorso 23 gennaio, affronta un particolare caso di richiesta di indennizzo per il godimento della casa coniugale, precedentemente in comunione legale e poi assegnata in esclusiva, in sede di separazione, ad uno dei coniugi. La vicenda affrontata. Una coppia possedeva un solo bene in comune la casa coniugale. In sede di separazione tale comunione era sciolta ed i coniugi convenivano che fosse assegnata alla moglie, anche se non avevano avuto figli. Gli accordi erano prontamente omologati ed il marito non comunicava all’ ex alcuna intenzione di percepire un’indennità per il godimento del suddetto bene, anzi le condizioni pattuite la escludevano. Ad oltre due anni dall’omologa degli stessi, però, aveva un ripensamento e citava in giudizio la moglie per la divisione dell’appartamento e, previo resoconto della sua gestione, chiedeva la refusione di un’indennità per l’occupazione della sua quota del bene. Nelle more del giudizio l’immobile era venduto, cessando così la materia del contendere. Il G.I., però, rigettava anche la richiesta di indennizzo poiché l’altro comunista aveva agito unilateralmente, anziché nelle dovute forme di legge e perché non aveva mai manifestato, sino ad allora, l’intenzione di avvalersi di questo diritto. Indennità di occupazione e diritto di godimento del bene comune. L’uso di un bene comune comporta l’obbligo di non impedire che l’altro comproprietario possa esercitare tale diritto in modo «uguale e diretto» o di trarne «i frutti civili». Nel primo caso chi lo occupa in esclusiva, se l’altro ha manifestato una chiara volontà di sfruttamento, dovrà corrispondergli un’indennità pari al 50% del valore dei «frutti traibili dal godimento indiretto» dello stesso. Cosa succede in caso di separazione coniugale? In questo, come in qualsiasi altra ipotesi di scioglimento della comunione, vige tale regola. Si noti che, in via di principio, l’assegnatario non deve corrispondere nulla all’altro comproprietario ovviamente ciò vale per ogni altro diritto esercitato sullo stesso che resta inerte o non ha espresso l’intenzione di essere risarcito come sopra descritto. Nella fattispecie il marito aveva chiaramente rinunciato a questa facoltà negli accordi omologati dal tribunale, mai modificati od annullati. La volontà di ottenere l’indennità deve essere espressa nelle forme e nei modi previsti dalla legge. Nella fattispecie il G.I. ha escluso la refusione di questo benefit solo perché il richiedente aveva agito arbitrariamente. Se avesse chiesto ed ottenuto la modifica degli accordi di separazione, adducendo una variazione delle circostanze alla base dei medesimi, allora l’istanza poteva essere accolta. Il sopraggiunto dissenso od un successivo ripensamento, invece, non hanno alcun valore né legittimano l’attribuzione dell’indennità, perché non sono indice della suddetta volontà.
Tribunale di Roma, sez. VIII Civile, sentenza 15 dicembre 2011 – 23 gennaio 2012, numero 1241 Giudice Cirillo Fatto e diritto Con citazione notificata il 16/12/08 N.G. chiedeva la divisione dell’appartamento di via , già casa coniugale facente parte della comunione legale con la moglie , con ordine a quest’ultima di rendere il conto del godimento dell’immobile e con condanna al pagamento in proprio favore dell’indennità di occupazione nella misura spettantegli pro-quota, sul presupposto dell’intervenuta separazione personale. Si costituiva eccependo che con provvedimento di omologa della separazione del 6/3/06 il Tribunale di Roma le aveva assegnato, la casa coniugale con tutto quanto in essa contenuto, conferendole il diritto di abitarla, che trascriveva in Conservatoria con nota del 29/7/06, e chiedendo che fossero rigettate tutte le domande attoree, con eventuale sospensione, del diritto allo scioglimento della comunione. Espletata CTU., intervenuta la vendita volontaria dell’unico cespite oggetto della divisione, la causa, sulle conclusioni delle parti, era riservata per la decisione. La vendita volontaria dell’unico cespite oggetto della divisione e la ripartizione pro-quota del ricavato tra i condividenti fa cessare la materia del contendere sulla principale delle domande formulate. Resta da esaminare la fondatezza del diritto di N.G. a pretendere da S.R. l’indennità di occupazione corrispondente al 50% della proprietà del cespite. Per principio consolidato dì questo Tribunale l’uso diretto del bene comune altro non è che l’attuazione del diritto dominicale, salvo l’obbligo da parte del comproprietario che gode in via esclusiva del compendio di non impedire agli altri condividenti l’eguale e diretto uso del bene ovvero, di trarre dal bene i frutti civili, con l’effetto che colui che utilizza in via esclusiva il bene comune non è tenuto, in via di principio, a corrispondere alcunché al comproprietario pro indiviso che risulti inerte , mentre se il comproprietario abbia manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera.diretta, l’occupante è tenuto al pagamento, della corrispondente quota di frutti civili traibili dal godimento indiretto dell’immobile. Nella specie, risulta da parte di una manifestazione di ségno contrario all’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta, se è vero che in sede di accordo omologato della separazione personale del 22/2/06 e hanno concordato l’assegnazione in godimento esclusivo dell’appartamento di via in Roma alla sola . Né varrebbe eccepire che siffatto intendimento sarebbe stato sovvertito con l’espressa domanda di rimborso della quota di indennità di sua spettanza formulata introducendo il presente giudizio, perché, una volta omologate, le condizioni della separazione sono modificabili solo in seguito ad apprezzamento giurisdizionale del mutamento di circostanze che le hanno fondato da parte del competente giudice della separazione, non già per unilaterale dissenso o ripensamento dell’originaria Intesa che avrebbe erroneamente accordato l’assegnazione al coniuge pur senza coabitazione dei figli. Le spese di lite vanno compensate integralmente non emergendo dagli atti elementi per ritenere l’attività processuale delle parti viziata da eccessive pretese o inutili resistenze. Tutte le spese di CTU valse a pervenire alla divisione devono essere poste in via definitiva a carico della parte attrice, la quale si è sostanzialmente giovata del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda di scioglimento della comunione e divisione dell’appartamento di via in Roma e dei suoi arredi rigetta la domanda di di condanna di al pagamento dell’indennità di occupazione corrispondente al 50% della proprietà del cespite compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio pone definiti-vamente a carico dell’attore le spese di consulenza tecnica, provvisoriamente liquidate con provvedimento del 22/9/10.