Impugnazione del lodo arbitrale: al Giudice solo un controllo di legittimità

Il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale ha ad oggetto unicamente la verifica della legittimità della decisione resa dagli arbitri, non il riesame delle questioni di merito ad essi sottoposte pertanto l’accertamento in fatto compiuto dagli arbitri, qual è quello concernente l’interpretazione del contratto oggetto del contendere, non è censurabile nel giudizio di impugnazione del lodo, con la sola eccezione del caso in cui la motivazione del lodo stesso sia completamente mancante od assolutamente carente.

Così la pronuncia della Cassazione del 10 settembre 2012, numero 15085, interviene, confermando il proprio pregresso orientamento, per definire i limiti del Giudice a fronte di un’impugnazione del lodo arbitrale. Il caso. La vicenda decisa dalla Cassazione con la sentenza che qui si pubblica prende le mosse da un arbitrato avviato sulla base di una clausola compromissoria relativa all’esatta interpretazione di un contratto intercorso tra due società di produzione e distribuzione cosmetici, sotto il profilo dell’esistenza o meno di una clausola di esclusiva e la sua reciprocità. Gli arbitri rigettavano la domanda promossa in via principale ma accoglievano quella riconvenzionale promossa dalla convenuta, in punto di risarcimento del danno. Confermato dalla Corte di Appello, il lodo in questione viene quindi sottoposto all’esame della Corte di Cassazione, adducendo l’errata interpretazione, da parte degli arbitri, delle clausole contenute nel contratto sopra menzionato. Contestazione del lodo quando si può ricorrere al Giudice? Una volta depositato dagli arbitri il lodo, questo può essere oggetto di impugnazione, secondo quanto previsto dall’articolo 827 c.p.c., solo per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo. In particolare, per quanto interesse in questa sede in ragione della decisione in commento, l’articolo 829 c.p.c. prevede, tra l’altro, che l’impugnazione per nullità sia ammessa se il lodo non contiene l’esposizione sommaria dei fatti, il dispositivo o sia privo della sottoscrizione degli arbitri. Interpretazione del lodo il Giudice dell’impugnazione ha poteri limitati. La Cassazione, con la sentenza numero 15085/2012, si richiama ad alcune recenti pronunce sui limiti che sussistono in capo al giudice in presenza di una contestazione su un lodo arbitrale e, in particolare, se viene contestata l’’interpretazione del lodo stesso sotto il profilo della carenza di motivazione. Secondo l’orientamento consolidato in giurisprudenza, se agli arbitri è devoluta l’interpretazione di un contratto, il lodo arbitrale è impugnabile soltanto per violazione delle regole di diritto il giudice dell’impugnazione non può sindacare la logicità della motivazione salvo che questa sia addirittura inesistente o talmente inadeguata da non permettere la ricostruzione dell’iter logico seguito dagli arbitri per giungere ad una determinata conclusione , né sindacare la valutazione degli elementi probatori operata dagli arbitri nell’accertamento della comune volontà delle parti. Ciò, del resto, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 360, numero 5, c.p.c., per quanto concerne il ricorso per cassazione. In particolare il vizio di motivazione. Il difetto di motivazione della pronuncia arbitrale, come vizio riconducibile all’articolo 829 c.p.c., primo comma, numero 5, in relazione all’articolo 823 c.p.c., è ravvisabile ove la motivazione manchi del tutto o sia a tal punto carente da non consentire di comprendere l’iter del ragionamento degli arbitri e di individuare la ratio della decisione adottata quando, invece, attraverso i comuni canoni di interpretazione e le regole di logica giuridica, tale ratio decidendi sia comunque ravvisabile, l’esigenza di motivazione posta dal legislatore deve considerarsi soddisfatta corollario dei principi appena enunciati è che appartiene alla valutazione del giudice dell’impugnazione del lodo determinare se esso contenga un’esposizione dei motivi sufficiente a far intendere il percorso logico seguito dagli arbitri, mentre il controllo della Suprema Corte resta limitato ad accertare se la Corte di Appello abbia adeguatamente motivato in relazione ai motivi di impugnazione del lodo. Svolte queste premesse, la Cassazione, da un esame degli atti del giudizio di legittimità, rigetta il ricorso ritenendo che il percorso logico adottato dalla Corte di Appello è privo di vizi e del tutto logico a ciò si affianca una motivazione che, seppur succinta, è anch’essa esente da vizi o contraddizioni logiche e che, quindi, deve essere confermata. La Cassazione richiama anche il principio di autosufficienza del ricorso. Le doglianze illustrate dalla parte ricorrente, ad avviso del S.C., si prestano, inoltre, ad essere censurate e, quindi, rigettate, sotto il profilo della c.d. autosufficienza del ricorso. Secondo l’orientamento ormai non controverso, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione comporta che il ricorrente, ove intenda contestare, in sede di legittimità, le affermazioni dei giudici di merito circa l’interpretazione di una clausola contrattuale e la sua invalidità, abbia l’onere di trascrivere integralmente il contenuto della clausola controversa. In particolare, con riferimento al caso di specie, secondo i Giudici di Piazza Cavour, la denuncia in Cassazione del difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali deve essere accompagnata dall’indicazione specifica delle circostanze oggetto della prova o con la trascrizione del contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, ai fini del rispetto del requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione. A tale principio non si è attenuta la ricorrente, che non ha riportato il testo integrale della clausola contrattuale di cui si contesta l’interpretazione, in tal modo non consentendo alla Corte di Cassazione, cui è inibito l’accesso agli atti dei precedenti gradi di giudizio, di prendere contezza delle eventuali carenze motivazionali o interpretative della Corte di Appello.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 5 luglio – 10 settembre 2012, numero 15085 Presidente Vitrone – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo Con domanda di arbitrato depositata alla segreteria generale della Camera di Commercio di Bologna in data 7/11/01 e notificata il successivo 21/11/01,la Principi Attivi srl avviava giudizio arbitrale in forza di clausola compromissoria contenuta all'articolo 17 del contratto O.E.M. 15/2/98 con Piana Cosmetici spa ora AGGF spa . Con tale atto, la Principi Attivi srl, lamentando gravi violazioni da parte della Piana Cosmetici spa al suddetto contratto, ne chiedeva la condanna all'adempimento e al risarcimento del danno. Quest'ultima,con la propria memoria di costituzione, lamentava, a propria volta, l'inadempimento della Principi Attivi e segnalava il compimento di gravissimi atti di concorrenza sleale da parte della attrice. Chiedeva, quindi, la risoluzione del contratto per inadempimento e la condanna della Principi Attivi al risarcimento dei danni, indicati, sia pure in via orientativa, nella misura di Lit. 1.500.000.000. Oggetto della vertenza era l'esatta interpretazione del contratto O.E.M. del 15 dicembre 1998, che regolava gli acquisti da parte della Piana Cosmetici delle apparecchiature,attrezzature, accessori e servizi di assistenza tecnica nel campo della cosmesi a marchio RVB fabbricati dalla Principi Attivi risultando controversa la esistenza o meno di una clausola di esclusiva e la sua reciprocità. Con lodo deliberato e depositato in data 18/12/02, l'Arbitro respingeva le domande della Piana Cosmetici, la dichiarava inadempiente al contratto inter partes e la condannava al pagamento a favore della Principi Attivi srl del complessivo importo di Euro 459.114,20 oltre interessi. Con atto di citazione notificato in data 29 gennaio 2003, la AGGF Cosmetic Group, s.p.a., già Piana Cosmetici s.p.a. conveniva in giudizio, dinanzi alla Corte d'appello di Bologna, la Principi Attivi s.r.l., impugnando per nullità il lodo arbitrale. Quest'ultima si costituiva in giudizio, resistendo all'impugnazione, della quale chiedeva il rigetto opponendo altresì impugnazione incidentale condizionata. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza numero 1258 del 2005 rigettava il gravame. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la AGGF Cosmetic group spa sulla base di quattro motivi cui resiste con controricorso la Principi Attivi srl. Entrambe la parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta, sotto i profili della carenza di motivazione e della violazione di legge, la incompletezza della disamina operata dalla Corte d'appello bolognese, che avrebbe del tutto trascurato di prendere in considerazione ben quattro dei cinque profili di censura sollevati da essa ricorrente in ordine alla interpretazione del contratto operata dal lodo relativi alla violazione del canone di cui all'articolo 1362 c.c. alla erronea valutazione di comportamenti tenuti da soggetti diversi dagli stipulanti alla interpretazione della clausola di esclusività alla ritenuta esistenza di una logica di gruppo alla rilevanza attribuita alle condizioni generali di vendita. Il motivo contesta, inoltre, che la sentenza impugnata avrebbe omesso di motivare sulle diverse censure mosse alla ritenuta inesistenza di atti di concorrenza sleale. Con il secondo motivo si sofferma, in particolare, a criticare la decisione impugnata in relazione alla motivazione fornita circa la mancanza di violazione del criterio interpretativo di cui all'articolo 1362 c.c Con il terzo motivo la ricorrente ripropone l'erroneità della sentenza laddove ha ritenuto inammissibile la doglianza circa l'esistenza della concorrenza sleale. Con il quarto motivo censura la liquidazione del danno. I primi tre motivi del ricorso che presentano doglianze collegate possono essere esaminati congiuntamente. Poiché gran parte delle doglianze contenute nei primi tre motivi si imperniano sul vizio di motivazione,va premesso che il difetto di motivazione della pronuncia arbitrale, come vizio riconducibile all'articolo 829 c.p.c., comma 1, numero 5, in relazione al requisito di cui all'articolo 823 c.p.c., è ravvisabile solo ove la motivazione manchi del tutto o sia a tal punto carente da non consentire di comprendere l'iter logico del ragionamento compiuto dagli arbitri e d'individuare la ratio della decisione adottata Cass. 6 giugno 2001, numero 7600 Cass. 11 aprile 2001, numero 5371 Cass. 23 giugno 2001, numero 8529 . Il lodo, infatti, a norma dell'articolo 823 c.p.c., deve contenere unicamente l'esposizione sommaria dei motivi , esprimendo la sua ratio decidendi. In particolare contraddirebbe la natura ed la funzione del lodo ogni forma di revisione, nel merito, del giudizio degli arbitri, risultando ammissibile, in sede d'impugnazione, sulla valutazione dei fatti, solo la verifica dell'adempimento dell'obbligo su detto posto dall'articolo 823 c.p.c Cass. 4078/03, Cass. 10600/05, Cass. 10229/07 . Costituisce altresì principio consolidato quello secondo cui in sede di ricorso per Cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, al fine di verificare se la sentenza della Corte di Appello sia adeguatamente motivata in relazione all'impugnazione del lodo, il giudice di legittimità non può esaminare direttamente la pronuncia arbitrale, ma solo la pronuncia emessa nel giudizio d'impugnazione, con la conseguenza che il sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione della sentenza che ha deciso sull'impugnazione del lodo Cass. 6 novembre 2006, numero 236780 Cass. 9 maggio 2006, numero 10663 Cass. 26 settembre 2005, numero 18766 Cass. 23 dicembre 2004, numero 23900 . Pertanto, quando nel giudizio d'impugnazione sia stato denunciato un vizio della motivazione del lodo sul fatto, oggetto del giudizio di Cassazione può essere unicamente il riscontro della verifica, da parte della Corte di Appello, dell'esistenza nel lodo di una motivazione coerentemente idonea ad esprimere la ratio della statuizione adottata sul punto Cass. 10229/07 . Fatta questa premessa, si osserva che la prima parte del primo motivo ed il secondo motivo con i quali si contesta sotto diversi profili la violazione dei canoni ermeneutici di interpretazione del contratto, possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi si rivelano inammissibili. La Corte d'appello ha esaminato la motivazione fornita dal lodo in ordine alla interpretazione del contratto osservando che gli arbitri avevano rilevato che nel contempo tutte le macchine che sarebbero poi state marcate RVB dovevano essere vendute Piana,titolare esclusiva del marchio. Questo spiega anche letteralmente,la dizione contrattuale di cui alla clausola numero 1 del contratto 15.12.98 ed è pienamente in linea con quanto scritto nel patto numero 3”. Aggiunge poi la sentenza impugnata che la detta clausola numero 3 recitava. Principi Attivi conferisce a Piana . il diritto esclusivo di acquistare i prodotti a marchio RVB . In base a ciò ha ritenuto che il lodo ha proceduto all’interpretazione del contratto, non trascurando il senso letterale delle parole, cosi come previsto dall'articolo 1362 c.c., peraltro correlato ad ulteriori canoni ermeneutici, quale quello sistematico e quello rappresentato dal comportamento delle parti . Ha quindi concluso che, dovendosi escludere la disapplicazione dell'articolo 1362 c.c., non era possibile procedere ad una interpretazione della volontà delle parti diversa da quella accertata dall'arbitro . Tale motivazione appare conforme ai principi affermati da questa Corte e preliminarmente rammentati. La Corte distrettuale si è infatti soffermata sul dedotto vizio di interpretazione dei canoni ermeneutici di cui agli articolo 1362 e ss. del codice civile escludendone la sussistenza. Nel far ciò non era tenuta a rispondere a tutte le singole doglianze avanzate con l'atto di impugnazione del lodo proprio perché, come in precedenza ricordatola Corte distrettuale in sede d'impugnazione è tenuta solo alla verifica dell'adempimento dell'obbligo posto dall'articolo 823 c.p.c Cass. 4078/03, Cass. 10600/05, Cass. 10229/07 e, cioè, la sussistenza della motivazione e che questa consenta di comprendere l'iter logico del ragionamento compiuto dagli arbitri e d'individuare la ratio della decisione adottata Cass. 6 giugno 2001, numero 7600 Cass. 11 aprile 2001, numero 5371 Cass. 23 giugno 2001, numero 8529 . Va aggiunto che le censure in esame non risultano rispettose del principio di autosufficienza del ricorso. Questa Corte ha a tale proposito ripetutamente affermato quando il ricorrente per cassazione censuri l'erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice del merito, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l'onere di trascriverle integralmente perché al giudice di legittimità è precluso l'esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura. Cass. 24461/05, Cass. 3075/06, Cass. 1825/07, Cass. 4178/07, Cass. 19044/10 . A tale principio non si è attenuta la ricorrente che non ha riportato il testo integrale della clausola contrattuale di cui si contesta l'interpretazione, in tal modo non consentendo a questa Corte, cui è inibito l'accesso agli atti di giudizio, di prendere contezza delle eventuali carenze motivazionali o interpretative da parte della Corte d'appello. La società ricorrente si è infatti limitata a trascrivere con il primo motivo di ricorso le censure mosse al lodo con l'atto di impugnazione,dal le quali non è comunque possibile desumere il contenuto delle clausole contrattuali contestate. Altrettanto deve dirsi per quanto concerne il secondo motivo, contenente l'esplicita censura di violazione dell'articolo 1362 c.c Sotto un diverso profilo, si osserva che la società ricorrente, in particolare con il secondo motivo, censura la interpretazione effettuata dalla decisione impugnata in riferimento alla clausola contrattuale numero 1 ed al patto numero 3, sostenendone l'inconsistenza logico-giuridica del ragionamento ma tale critica non viene mossa in relazione al testo della clausola contrattuale non riportata nel ricorso come appena detto ma in relazione alle censure avanzate con l'atto di impugnazione che non possono costituire il parametro di riferimento della correttezza del ragionamento interpretativo della Corte d'appello che va raffrontato esclusivamente con le clausole del contratto. Le doglianze in questione si rivelano quindi inammissibili prima ancora che infondate. Quanto alla seconda parte del primo motivo,con il quale si sostiene la mancanza di motivazione in ordine alle censure poste al lodo riguardo alla ritenuta insussistenza di atti di concorrenza sleale, la stessa va esaminata congiuntamente con il terzo motivo ponendo nella sostanza i due motivi la medesima doglianza. Le censure sono prive di fondamento. Nel caso di specie, la Corte d'appello ha rilevato, riguardo al motivo di impugnazione relativo alla concorrenza sleale, la riproposizione dei comportamenti dedotti a sostegno della esistenza di atti di concorrenza sleale e, in particolare, l'immissione sul mercato di prodotti identici a quelli marchiati RVB, commercializzati da Piana Cosmetici, a prezzi significativamente inferiori a quelli che la stessa Piana Cosmetici si era impegnata a praticare nonché lo storno di clientela e lo storno di agenti e rappresentanti di vendita. A tale proposito ha ritenuto che tale riproposizione fosse inammissibile in quanto “risolventesi in una richiesta di una diversa valutazione del fatti e delle prove, non consentita in sede di controllo di legittimità, quale esercitato nella fase rescindente dal giudice dell’impugnazione del lodo . In particolare ha osservato che il lodo ha ritenuto i sopracitati aspetti privi di sostanziale rilevanza per cui non era possibile sostituire a tale valutazione una diversa. Tale motivazione, ancorché non entri nel dettaglio dei singoli aspetti della motivazione del lodo, appare tuttavia sufficiente alla luce dei principi enunciati da questa Corte e dianzi ricordati secondo cui il lodo, a norma dell'articolo 823 c.p.c., deve contenere unicamente l'esposizione sommaria dei motivi , esprimendo la sua ratio decidendi. In particolare contraddirebbe la natura ed la funzione del lodo ogni forma di revisione, nel merito, del giudizio degli arbitri, risultando ammissibile, in sede d'impugnazione, sulla valutazione dei fatti, solo la verifica dell'adempimento dell'obbligo su detto posto dall'articolo 823 c.p.c Cass. 4078/03, Cass. 10600/05, Cass. 10229/07 . Se infatti l'accertamento della Corte d'appello è limitato all'accertamento della esistenza o della mancanza della motivazione e, in caso positivo, al solo accertamento se dalla stessa sia possibile comprendere l'iter logico seguito dagli arbitri e di individuare la ratio della decisione adottata, è evidente che l'effettuazione di detto accertamento e la conseguente valutazione possano essere espressi in termini estremamente sintetici. Invero la Corte d'appello ha rilevato che la motivazione sussisteva, avendo gli arbitri rilevato che i predetti comportamenti erano privi di rilevanza sostanziale. Una volta effettuato questo accertamento, ne ha tratto la logica conseguenza che le censure in realtà proponevano una diversa valutazione degli accertamenti effettuati dagli arbitri e dunque chiedevano inammissibilmente un nuovo giudizio alla Corte distrettuale. La sentenza impugnata ha esaminato anche il profilo dell'inosservanza delle regole di diritto di cui all'articolo 1375 c.c., ed ha rilevato che la odierna ricorrente si era doluta del fatto che i comportamenti denunciati sotto il profilo della concorrenza sleale alienazione a terzi delle stesse macchine cedute a Piana con il marchio RVB, ma con prezzi inferiori rispetto a quelli praticati a Piana, operazioni di disturbo, storno di dipendenti ritardi nelle consegne ed omissioni nello svolgimento di manutenzione sui prodotti ceduti dovevano essere valutati anche secondo il principio dell'esecuzione del contratto secondo buona fede. A tale proposito la Corte distrettuale ha ritenuto che anche in questo caso si richiedesse un sindacato sull'operato degli arbitri i quali comunque avevano già rigettato la domanda di risoluzione del contratto proposta dalla Piana Cosmetici rilevando che non sussisteva un inadempimento della Principi attivi tale da giustificare la risoluzione del contratto. Tale motivazione appare del tutto adeguata alla luce di quanto in precedenza detto. I primi tre motivi vanno in conclusione respinti. Venendo all'esame del quarto motivo di ricorso, se ne rileva l'infondatezza. Invero la Corte d'appello ha fornito adeguata risposta ai motivi di doglianza rilevando che, per quanto riguarda la liquidazione del risarcimento del danno, trattandosi di valutazione equitativa ai sensi dell'articolo 1226 c.c. non era dato al giudice dell'impugnazione sostituire la propria valutazione a quella del lodo. Trattasi di valutazione del tutto conforme ai principi dianzi delineati ed alla giurisprudenza di questa Corte che ha già affermato che il potere discrezionale di determinare l'ammontare del danno in via equitativa ai sensi dell'articolo 1226 cod. civ., non essendo censurabile in sede di legittimità se non per vizi della motivazione, non può costituire motivo di impugnazione del lodo arbitrale per nullità derivante dall'inosservanza delle regole di diritto ex articolo 829, secondo comma, cod. proc. civ., il quale è ammissibile, in presenza di un error in iudicando , solo entro i confini della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360, numero 3, cod. proc. civ. Cass. 21802/06 . Nel caso di specie le doglianze contenute nell'atto d'impugnazione, lungi dal porre effettive questioni di violazione di legge, investono in realtà il merito della decisione arbitrale poiché sostengono che il dimensionamento dell'azienda Principi attivi non era tale da non poter giustificare la possibilità di conseguire quegli utili che il lodo aveva invece ipotizzato, richiedendo in tal modo una valutazione degli elementi di fatti acquisiti nel giudizio. Per quanto concerne l'asserita violazione delle norme in tema d'inadempimento contrattuale, e segnatamente dell'articolo 1453 c.c., la Corte d'appello ha ritenuto che l'arbitro abbia correttamente applicato la norma di diritto avendo rilevato che ormai l'adempimento della Piano Cosmetici era comunque divenuto impossibile essendo scaduto il limite temporale entro cui doveva essere effettuato ed ha conseguentemente valutato che la domanda della Principi attivi srl dovesse ritenersi di risarcimento del danno per risoluzione. Trattasi di interpretazione della domanda della parte che, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità, essendo la Corte di Cassazione è abilitata all'espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorché il giudice di merito abbia omesso l'indagine interpretativa della domanda, ma non se l'abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all'esito dell'indagine Cass. 5876/11 . La doglianza è pertanto inammissibile. Il ricorso va pertanto respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 10.000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.