Soltanto i dati contabili possono dimostrare che la ditta individuale è sotto la soglia di fallibilità relativamente ai parametri di attivo patrimoniale, ricavi e indebitamento. Sono questi i criteri che la riforma della legge fallimentare ha introdotto al posto della prevalenza del lavoro sul capitale. All'imprenditore il compito di dare i numeri un’inversione dell’onere probatoria sarebbe troppo gravosa per il P.M. o per il creditore, spesso nell’impossibilità di reperire informazioni certe.
Così si espressa la Prima sezione Civile della Cassazione nella sentenza – con deposito del 30 luglio – numero 13542/12. Limiti sforati. La Corte di Appello di Ancona respingeva il reclamo proposto da un titolare di una ditta individuale avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento. Il giudice rilevava che ai fini della fallibilità doveva aversi esclusivo riguardo ai limiti dimensionali dell’impresa e non più alla nozione civilistica di “piccolo imprenditore” di cui all’articolo 2083 c.c. Il soggetto, cui incombeva l’onere probatorio, non aveva dovutamente attestato di essere rimasto sotto il limite negli ultimi tre anni di attività. Seguiva il ricorso in Cassazione. Perimetro di fallibilità, prima della riforma. Il ricorrente muove dal presupposto – sbagliato – che nel regime anteriore all’entrata in vigore dei decreti legislativi nnumero 5/2006 e 167/2007, l’accertamento della qualità di piccolo imprenditore prescindesse totalmente dalla verifica dei parametri dimensionali dell’impresa. In realtà la Suprema Corte ha affermato più volte Cass. nnumero 2455/08, 12847/05, 20640/04 e 18835/02 la prevalenza del lavoro sul capitale quale criterio identificativo del piccolo imprenditore, tenendo conto dell’attività svolta, dell’organizzazione dei mezzi impiegati e delle ripercussioni che il dissesto produce nell’economia generale. Le nuove linee-guida. L’introduzione di concreti criteri dimensionali, in luogo dell’astratto parametro della prevalenza del lavoro, ha ampliato il novero dei soggetti non assoggettabili a fallimento e ha posto in capo all’imprenditore l’onere di dimostrare il possesso congiunto dei requisiti – attivo patrimoniale, ricavi e indebitamento – che possono esonerarlo. Non si può pretendere, altresì, che il creditore alleghi dati contabili di cui non ha la disponibilità l’assunto del ricorrente, secondo il quale tale onere andrebbe capovolto di fronte alla qualifica di piccolo imprenditore ex articolo 2083 c.c., non è percorribile. Questione di legittimità costituzionale respinta al mittente. Sul tema è intervenuto in passato anche il giudice delle leggi sentenza numero 198/2009 , sottolineando che il ribaltamento dell’onere sul creditore o sul P.M. renderebbe per costoro spesso impossibile ottenere l’accoglimento dell’istanza proposta. Il Tribunale potrebbe sì detenere un ampio potere officioso di indagine, ma nel caso esaminato il titolare della ditta – nei gradi di giudizio meritori – non si è premurato di sollecitare i giudici nella direzione di acquisizioni ex officio. Il ricorso viene quindi respinto, importando poco la grandezza o la piccolezza dell’imprenditore
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 22 maggio – 30 luglio 2012, numero 13542 Presidente Fioretti – Relatore Cristiano Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza del 10.1.09, ha respinto il reclamo proposto da I L. , titolare della ditta individuale EGO, avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento. La Corte territoriale, per quanto nella presente sede ancora interessa, ha rilevato che, ai sensi del novellato articolo 1 L. fall., ai fini della fallibilità di un'impresa deve aversi esclusivo riguardo ai limiti dimensionali indicati dal secondo comma della norma, e non più alla nozione civilistica di piccolo imprenditore di cui all'articolo 2083 c.c., ed ha escluso che il L. , cui incombeva il relativo onere, avesse provato di non aver superato quei limiti negli ultimi tre anni di attività. I L. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi. Il curatore del Fallimento di I L. e le creditrici istanti, Display s.r.l., FDI Italia s.r.l. ed Interfashion s.p.a. non hanno svolto difese. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo di ricorso, L. denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 1 comma 2 L. fall., 2221 e 2083 c.c Assume che l'opzione interpretativa della Corte territoriale, secondo cui il novellato articolo 1 della L. fall, avrebbe delineato un perimetro di non fallibilità, all'interno del quale trova collocazione il piccolo imprenditore, sembra presupporre una modifica normativa al contenuto dell'articolo 2083 c.c., addirittura nel senso del suo ampliamento, sino a ritenere creata una sorta di nuova categoria di piccolo imprenditore, ma non tiene conto del contrasto stridente fra le due disposizioni, l'una legata a parametri rigidi di carattere patrimoniale e l'altra ancorata alle modalità attraverso cui i ricavi vengono prodotti, a prescindere dal loro ammontare. Osserva che, poiché l'articolo 2221 c.c. non è stato abrogato, detta interpretazione contrasta con la soppressione del riferimento alla nozione di piccolo imprenditore, in precedenza richiamata dall'articolo 1 L. fall., avvenuta ad opera del d.Lgs. numero 169/07. Sostiene che alla luce delle modifiche apportate dal c.d. correttivo, il 2 comma della norma va invece interpretato quale deroga alla regola generale, stabilita dall'articolo 2221 c.c., della non fallibilità del piccolo imprenditore. 2 Col secondo motivo, denunciando ulteriore violazione degli articolo 1 comma 2 L. fall., 2221 e 2083 c.c., nonché violazione dell'articolo 2697 c.c., il ricorrente sostiene che, rimasta ferma la regola generale della non assoggettabilità a fallimento del piccolo imprenditore, ricadrebbe sul creditore istante l'onere di provare che colui che sia così qualificabile ha superato i limiti dimensionali di cui all'articolo 1 comma 2 L. fall I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti. Il ricorrente muove dall'errato presupposto che, nel regime anteriore all'entrata in vigore dei decreti legislativi nnumero 5/06 e 167/07, l'accertamento della qualità di piccolo imprenditore - non soggetto a fallimento ai sensi dell'articolo 2221 c.c. e del precedente testo dell'articolo 1 L. fall. - prescindesse totalmente dalla verifica dei parametri dimensionali dell'impresa. In contrario, anche sotto la previgente disciplina, questa Corte ha costantemente affermato che la prevalenza del lavoro sul capitale, quale criterio identificativo del piccolo imprenditore non fallibile, andasse apprezzata in concreto, tenendo conto dell'attività svolta, dell'organizzazione dei mezzi impiegati, dell'entità dell’impresa e delle ripercussioni che il dissesto produce nell'economia generale cfr. Cass. nnumero 2455/08,3690/200, nonché, in tema di impresa artigiana, fra le tante, Cass. nnumero 12847/05, 20640/04, 18835/02, che escludono la rilevanza, ai fini della fallibilità, dell'iscrizione all'apposito albo . Il legislatore della riforma, peraltro, proprio allo scopo di superare i contrasti interpretativi sorti in ordine alla nozione di piccolo imprenditore, ha delimitato l'area dei soggetti non fallibili non più attraverso il rinvio all'articolo 2083 c.c., ma attraverso la previsione di una soglia quantitativa riferita ai tre requisiti, da considerare congiuntamente, dell'attivo patrimoniale, dei ricavi e dell'ammontare dell'indebitamento al di sotto della quale non può farsi luogo alla dichiarazione di insolvenza Cass. numero 13086/010 . Come correttamente osservato dalla Corte di merito, l'introduzione di concreti criteri dimensionali, in luogo dell'astratto criterio della prevalenza del lavoro sul capitale, ha indubbiamente ampliato il novero degli imprenditori non assoggettabili a fallimento, includendovi anche gli esercenti di attività commerciali che non sarebbero mai state considerate piccole ai sensi dell'articolo 2083 c.c. tuttavia la questione sollevata dal ricorrente se l'articolo 1 comma 2 della L. fall., riformata abbia ridefinito la portata dell'articolo 2083 c.c., creando una sorta di nuova categoria di piccolo imprenditore, o se, piuttosto, abbia introdotto una deroga all'articolo 2221 c.c., rendendo fallibili anche i piccoli imprenditori che abbiano superato, negli ultimi tre anni di attività, 300.000 Euro di attivo patrimoniale o 200.000 Euro di ricavi, od abbiano contratto debiti per un ammontare superiore ai 500.000 Euro è, nella specie, del tutto priva di rilievo, posto che ciò che la norma stabilisce con chiarezza è che spetta all'imprenditore di dimostrare il possesso congiunto dei requisiti dimensionali che escludono la sua fallibilità. Tanto, del resto, in piena coerenza con il principio di prossimità della prova vigente nel nostro ordinamento Cass. numero 13533/01, e, nel suo solco, Cass. nnumero 17874/07, 9439/08 , non potendosi porre a carico del creditore l'onere di allegare dati contabili di cui non ha la disponibilità e che sono, invece, nella piena disponibilità del debitore. L'assunto del L. , secondo cui tale onere andrebbe capovolto qualora il debitore sia qualificabile piccolo imprenditore ai sensi dell'articolo 2083 c.c., sembra, d'altro canto, fondarsi sull'esistenza di una sorta di presunzione - non ricavabile dalle norme codicistiche - di appartenenza a tate categoria di coloro che sono iscritti nella specifica sezione del R.I. e che esercitano l'impresa in via individuale e non tiene conto che, anche alla stregua della disciplina civilistica, la prevalenza dell'apporto personale del titolare rispetto al capitale investito andrebbe accertata in concreto. 3 Con il terzo motivo, L. solleva questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1 comma 2 L. fall., per violazione dell'articolo 3 Cost., nella parte in cui addossa al debitore l'onere di provare la propria non assoggettabilità a fallimento. Anche questo motivo è infondato. La questione è stata infatti già esaminata e dichiarata inammissibile dal giudice delle leggi che, con la sentenza numero 198 del 2009, ha sottolineato come l'eventuale ribaltamento dell'onere della prova sul creditore o sul P.M. renderebbe spesso impossibile per costoro ottenere l'accoglimento dell'istanza proposta ed ha altresì rilevato che, in materia, residua in ogni caso in capo al Tribunale un ampio potere officioso di indagine, il cui uso prudente e consapevole costituisce strumento di per sé idoneo ad evitare, nei limiti di quanto ragionevolmente dovuto, che siano dichiarati fallimenti che, date le caratteristiche del debitore, sarebbero ingiustificati. È appena il caso di aggiungere che, nella specie, tale secondo profilo neppure rileva, posto che il L. , pur avendo partecipato ad entrambi i gradi del giudizio di merito, non ha inteso assolvere al proprio onere né ha mai sollecitato l'esercizio da parte del Tribunale o della Corte territoriale dei poteri di acquisizione d'ufficio della prova previsti dalla L. fall 4 Con il quarto motivo, il ricorrente deduce vizio di insufficiente motivazione della sentenza impugnata, che non avrebbe chiarito perché l'articolo 1 della L. fall., riformata avrebbe allargato il novero degli imprenditori non assoggettabili a fallimento, e solleva ulteriore profilo di incostituzionalità della norma, per violazione dell'articolo 76 Cost., per aver, al contrario, ed in contrasto con quanto previsto dalla legge delega, esteso l'area della fallibilità anche ai piccoli imprenditori. Il motivo va, nella sua prima parte, dichiarato inammissibile, atteso il difetto di interesse del ricorrente a ri proporre la questione - dedotta anche con il primo mezzo di ricorso - della portata estensiva o derogatoria dell'articolo 1 comma 2 l.fall., priva, come già si è detto, di effettiva attinenza alla decisione. Infine, la questione di legittimità costituzionale della norma sotto il profilo della violazione dell'articolo 76 L. fall., è stata già dichiarata infondata dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 198/09 essa, peraltro, è irrilevante nel presente giudizio, nel quale il L. non ha fornito alcuna prova della sua qualità di piccolo imprenditore, e va pertanto dichiarata inammissibile. Poiché il curatore del Fallimento e le creditrici istanti non hanno svolto difese, non v'è luogo alla liquidazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.