I disturbi della personalità possono trascendere lo stato emotivo e passionale. La loro intensità e gravità possono condizionare la capacità di intendere e di volere di una persona e, dunque, la sua imputabilità, sempre che vi sia un nesso eziologico tra il reato commesso e il disturbo, pur non rientrante in senso stretto nell’elenco delle malattie mentali.
Questo il principio che si può evincere dalla sentenza numero 29135/12 della Terza sezione Penale. Il caso. Contro un’accusa cocktail di violenza sessuale e lesioni personali aggravate in danno di due ragazze aggredite per strada, il giudice di prime cure, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato il prevenuto. In appello, la difesa dell’imputato si era giocata vanamente la carta della non imputabilità per vizio di mente. La Corte territoriale aveva infatti escluso che vi fosse una diminuzione della capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto. Disturbi avvalorati dalla stessa perizia. Gli accertamenti peritali disposti dalla Corte avevano tratteggiato disturbi della personalità in capo all’imputato, ma prima il perito e poi la Corte d’appello avevano incoerentemente concluso per la non incidenza della parafilia – che pur ammettono essere disturbo che può ridurre quantomeno l’aspetto volitivo sulla capacità di intendere e di volere del soggetto – sull’imputabilità. L’anatomia della capacità di intendere e di volere l’elemento cognitivo e l’elemento volitivo. Frettolosamente, la Corte non considerava che la capacità di intendere e di volere è composta di due elementi il primo dato dalla attitudine a comprendere il significato delle proprie azioni e delle conseguenze elemento cognitivo il secondo aspetto caratterizzato dalla idoneità ad autodeterminarsi e a controllarsi elemento volitivo . Imputabile è colui che racchiude entrambe queste capacità se anche solo è ridotta l’idoneità ad autodeterminare le proprie scelte, la capacità di intendere e di volere complessivamente intesa scema, travolgendo così l’imputabilità del soggetto. L’ingresso dei disturbi di personalità nella valutazione ad opera delle Sezioni Unite. Già le Sezioni Unite del 2005, con la sentenza Raso Cass. sent. 9163/2005 , avevano riconosciuto piena cittadinanza alle condizioni costituenti disturbi della personalità, quali parafilie, riguardo alla riconducibilità di tali condizioni al concetto di “infermità” richiesto dal codice penale, sdoganando il campo di indagine peritale dall’elencazione delle “malattie mentali” convenzionalmente elencate nei trattati di medicina psichiatrica. Requisiti richiesti sono però due a che tali disturbi della personalità abbiano consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere b che vi sia un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, da cui ritenere che il fatto di reato sia causalmente determinato dal disturbo. L’annullamento della sentenza impugnata il disposto dalla Cassazione ha dunque attinto dalle motivazioni di fondo che vedono la astratta possibilità che anche i disturbi della personalità possono incidere sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, portando ad escludere o anche solo a scemare, la sua imputabilità, in quanto nel caso concreto gli accertamenti disposti d’ufficio avevano concentrato l’attenzione nell’individuare condizioni patologiche e connessioni tra queste e le condotte poste in essere, senza considerare che anche i conclamati disturbi dell’imputato possono integrare quello stato di infermità rilevante ai fini di determinare se sussista o meno l’imputabilità, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 - 19 luglio 2012, numero 29135 Presidente De Maio – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5/10/2010 resa ai termine di rito abbreviato il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Sciacca ha condannato il sig. P. , previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante del risarcimento del danno giudicate equivalenti alla recidiva contestata, alla pena di 3 anni, 4 mesi e 10 giorni di reclusione per il reato previsto dagli articolo 81 cod. penumero , 609- bis , 582, 585, 576 cod. penumero commesso il 12/12/2009. 2. La Corte di appello di Palermo ha confermato integralmente la prima decisione, ritenendo che non sussistano dubbi circa la identificazione del sig. P. come l'aggressore che nella notte tra l’ omissis , dopo essersi parzialmente denudato, ha aggredito due ragazze che stavano camminando per la via e posto in essere con violenza condotte aventi carattere sessuale, tra l'altro provocando a una delle ragazze leggere lesioni personali ha, poi, ritenuto, al termine di un'ampia esposizione dei fatti e degli elementi probatori, che gli accertamenti peritali escludano l'esistenza di un vizio di mente dell'imputato, che invece è considerato esistente dalla consulenza di parte. Con atto di ricorso proposto nell'interesse del sig. P. la Difesa a Con primo motivo censura in modo radicale la motivazione con cui i giudici di appello hanno affrontato e risolto il tema della capacità di intendere e di volere del ricorrente al momento del fatto. Dopo avere sintetizzato i passaggi motivazionali della sentenza impugnata contenuti alle pagine 6, 7, 9, 10 e 11, dai quali sembra emergere l'adesione all'ordinanza con cui il Giudice delle indagini preliminari ha applicato all'imputato la misura degli arresti domiciliari al fine di consentire l'osservazione clinica e il trattamento per cronica intossicazione da alcool e disturbo da parafilie, il ricorso evidenzia che la motivazione si sviluppa in modo del tutto incoerente e illogico mediante l'esposizione pagg. 13-22 dell'esame del perito, dr. M. , per giungere poi in pochissime righe pag. 22 alla conclusione circa la piena capacità dell'imputato. Tale conclusione si pone in contrasto coi principi fissati dalle Sezioni Unite Penali della Corte con la sentenza numero 9163 del 2005 in ordine all'incidenza che i disturbi della personalità possono avere sulla capacità della persona in particolare, il perito e i giudici hanno concentrato l'attenzione sui concetti di malattia e vizio di mente e, escluso che vi sia in atti prova di una malattia, concluso in favore della piena capacità senza considerare che la stessa perizia avvalora l'esistenza di disturbi che la migliore scienza e le stesse Sezioni Unite ritengono, invece, possano avere effettiva influenza sulla capacità della persona anche qualora non siano riconducibili a una delle malattie elencate nei trattati di medicina. Del resto, lo stesso perito giunge ad affermare che la parafilia è un disturbo che può ridurre la capacità di volere, salvo poi aggiungere che la capacità di intendere non ne risulta influenzata, così che la Corte di appello sembra dimenticare che l'imputabilità risulta influenzata anche dalla riduzione di una sola delle due forme di capacità richieste b Con secondo motivo lamenta errata applicazione di legge ex articolo 606, lett.b cod. proc. penumero e vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero in relazione alla mancata applicazione dell'ipotesi di minore gravità del reato previsto dall'articolo 609-bis cod. penumero c Con terzo motivo lamenta vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett.e cod. proc. penumero difettando totalmente l'esposizione delle ragioni per cui è stato respinto il motivo d'appello relativo al reato contestato ai capo b come illustrato alle pagine 19 e 20 dell'impugnazione, posto che le dichiarazioni delle due ragazze aggredite non fasciano dubbi in ordine alla circostanza che la caduta che dette causa alle lesioni fu provocata dalla loro fretta di allontanarsi alla vista del giovane e che nessun concorso causale e nessuna volontà di aggressione possono essere a costui addebitati in relazione al capo b . Considerato in diritto 1.L'esposizione effettuata in premessa della vicenda processuale e dei motivi di ricorso consente alla Corte di procedere alla sintetica illustrazione dei motivi che supportano la presente decisione. 2. Va innanzitutto rilevato che il terzo motivo è fondato. La stessa ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito da conto del fatto che la giovane assunta come testimone delle condotte di reato subite dall'amica riferì di essere caduta mentre cercava di allontanarsi in fretta dal ragazzo che era comparso loro davanti e che in questo frangente aveva provocato anche la caduta dell'amica, così che la motivazione della sentenza di appello avrebbe dovuto confrontarsi con tale profilo che era stato sottoposto alla sua attenzione in sede di impugnazione. La motivazione sul punto è, invece, carente e la sentenza deve essere annullata con rinvio alla corte territoriale perché proceda all'esame del relativo tema. 3. Il secondo motivo di ricorso è, invece, manifestamente infondato, posto che la sintetica motivazione resa con riferimento alla applicabilità del comma 3 dell'articolo 609- bis cod. penumero deve essere considerata alla luce dell'ampia esposizione dei fatti e delle dichiarazioni della persona offesa, elementi da cui la Corte di appello ha dedotto l'esistenza di atti violenti e insistiti la cui connotazione giustifica il giudizio di non applicabilità della ipotesi di minore gravità prevista dalla norma citata si tratta, invero, di giudizio che non si pone in contrasto con l'interpretazione che la giurisprudenza ha dato della disposizione di legge e che non risulta manifestamente illogico avendo riguardo alla condizione in cui la condotta del ricorrente pose la persona offesa. 4. Venendo così ai primo e più articolato motivo di ricorso, la Corte ritiene che il ricorrente abbia fondatamente lamentato una non corretta applicazione dei principi interpretativi degli articolo 85 e seguenti cod. proc. penumero . La lettura della motivazione della sentenza impugnata rende evidente che la consulenza d'ufficio, accolta dai giudici di merito nel suo percorso logico e nelle sue conclusioni, ha concentrato la propria attenzione sulla ricerca di condizioni patologiche dell'imputato e sulla eventuale connessione esistente fra le condotte e una situazione di “malattia che possa giustificare un deficit cognitivo o volitivo tale da incidere sulla imputabilità. Sia il consulente d'ufficio sia i giudici di merito hanno omesso di analizzare la rilevanza potenzialmente autonoma che anche i disturbi della personalità possono rivestire ai fini della coscienza e volontà di un atto e di analizzare la riconducibilità nel caso concreto al concetto di infermità previsto dagli articolo 88 e 89 cod. penumero dei disturbi che la stessa consulenza ha rilevato come certamente esistenti il riferimento è alla parafilia e al disturbo narcisistico-esibizionistico connesso alla sfera sessuale . Tale indagine avrebbe dovuto essere condotta secondo i canoni interpretativi fissati dalle Sezioni Unite Penali con la sentenza numero 9163 del 22/1/2005, Raso, la cui motivazione illustra con chiarezza le ragioni che possono condurre i disturbi di personalità a trascendere il livello di mera anomalia caratteriale o di disarmonia della personalità così come a trascendere il semplice stato emotivo e passionale legato alla contingenza e possono, invece, avere consistenza, intensità e gravità tali da incidere sulla capacità di intendere e di volere e da scemare o, addirittura, escludere la condizione di imputabilità della persona. Per tali ragioni la Corte ritiene che la sentenza debba essere annullata sul punto e che, considerate le modalità dell'azione e le condanne già riportate dal sig. P. per fatti connessi alla sfera della sessualità, proceda ad un esame della sua personalità e delle sue condizioni al fine di accertare se i disturbi conclamati da cui è affetto possano o meno integrare lo stato di infermità rilevante ai sensi degli articolo 88 e 89 cod. penumero nei termini fissati dalla citata decisione delle Sezioni Unite Penali oltre che sul punto già evidenziato dalle lesioni . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Palermo, altra Sezione.