In tema di responsabilità dei maestri e precettori, la presunzione di responsabilità che, ex articolo 1218 c.c., grava sull’insegnante allorché l’allievo si sia procurato un’autolesione, è superata quando l’evento lesivo rientri tra quelli che, secondo regole di normale prevedibilità, possono scaturire dall’attività della disciplina impartita. Affinché l’insegnante risponda del danno riportato dall’allievo è necessario accertare il collegamento eziologico tra la condotta, attiva o omissiva, del maestro e l’evento lesivo medesimo. Nel caso di specie il Tribunale di Messina ha respinto la domanda attorea perché l’allievo si era procurata la lesione nel corso di un normale esercizio di danza sportiva .
Il caso deciso dal Tribunale di Messina, con la sentenza che si annota, ha affrontato la questione della responsabilità per fatto colposo del maestro per i danni riportati dall’allievo a seguito di una storta occorsa durante una lezione di danza. Nello specifico, il giudice del merito, muovendo dalla considerazione secondo cui nella valutazione cognitiva deve essere prestata attenzione al contenuto sostanziale della pretesa, ha statuito che il collegamento causale tra l’evento ed il danno era ascrivibile alla responsabilità del maestro solo ove fosse stato accertato il collegamento eziologico effettivo tra la condotta omissiva o attiva del maestro stesso e l’evento pregiudizievole patito dall’allievo. Il fatto. Il genitore di una minore, allieva di una accademia di danza, citava in giudizio la medesima scuola unitamente alla Federazione Italiana Danza sportiva ed ad un ente di rappresentanza assicurativa, al fine di ottenere una pronuncia di condanna al risarcimento dei danni riportati dalla figlia a seguito di una distorsione alla caviglia ed al collo del piede, verificatisi durante una lezione. Assumeva l’attore che la responsabilità del danno fosse da ricondursi al fatto colposo esclusivo dell’accademia, poiché l’infortunio della minore si era consumato all’interno della scuola e durante l’esecuzione di uno specifico esercizio. Nella memoria parte attrice, a sostegno della propria tesi, adduceva che la storta si sarebbe verificata nell’ambito di un allenamento in cui l’insegnante, non soddisfatta della prestazione dell’allieva, induceva la minore alla ripetizione dell’esercizio di qui lo sforzo eccessivo avrebbe provocato l’infortunio. La controparte respingeva ogni addebito di responsabilità. Risarcimento escluso manca la prova che la maestra abbia costretto l’allieva a ripetere più e più volte l’esercizio. Il giudice, nel decidere il caso, non ritenendo provata la circostanza dell’induzione allo sforzo fisico da parte dell’insegnante, rigettava la domanda di risarcimento del danno. Invero, nel motivare il provvedimento, il magistrato adito sosteneva che la presunzione di responsabilità gravante sull’insegnante per il danno procuratosi dall’allievo fosse superabile ove l’evento lesivo rientrasse, come in effetti, tra quelli che possono naturalmente scaturire dall’attività relativa alla disciplina impartita, quale conseguenza ordinaria pur se accidentale. Appare utile ai nostri fini di sintesi evidenziare come la responsabilità presunta ex articolo 2048 c.c., collocandosi nell’alveo della responsabilità aquiliana, trovi oramai pacifica applicazione nelle ipotesi di danno cagionato ad un terzo dall’allievo ex multis Cass. civ. 5967/10 . Diversamente, il vincolo che si instaura tra l’allievo e l’insegnante, come nel caso deciso dal giudice di Messina, presupponendo l’esistenza di un rapporto di natura negoziale articolo 1218 c.c. per contatto sociale, impone una diversa qualificazione del rapporto stesso che, quindi, deve essere considerato di natura contrattuale. Ne scaturisce che il maestro assume un obbligo di protezione e vigilanza affinché l’allievo non si procuri un danno. Ad ogni buon conto, la qualificazione del rapporto, contrattuale o extracontrattuale, non può prescindere dalla concreta dimostrazione del fatto e dal suo collegamento causale al contegno dell’insegnante. Il giudice, dopo aver esaminato le dichiarazioni testimoniali, è giunto ad escludere la responsabilità dell’insegnante questo perché, diversamente da quanto sostenuto dall’attore, era rimasta indimostrata la circostanza della reale costrizione da parte della maestra a ripetere più volte lo sforzo fisico, tanto da provocare nell’allieva un stanchezza tale da aver causato l’infortunio. Il quadro probatorio, infatti, aveva dimostrato come la storta dell’allieva fosse occorsa durante un normale esercizio di danza rientrante tra quelli usualmente praticati nella disciplina l’autolesione, quindi, avrebbe potuto essere evitata soltanto con l’astensione da parte dell’allieva al compimento di quel dato movimento in termini v. anche Cass. civ. numero 11453/03 , integrando l’incidente l’ipotesi del caso fortuito in tal senso v. anche Cass. civ. numero 24835/2011 . Sostanzialmente l’attività fisica durante la quale l’allieva aveva subito l’infortunio era innocua, essendo una normale coreografia programmata, senza particolare grado di difficoltà e, dunque, non potenzialmente pericolosa secondo l ’id plerumque accidit.
Tribunale di Messina, sez. I Civile, sentenza 11 – 12 giugno 2012, numero 1230 Dott. Giuseppe Bonfiglio Fatto e diritto Il giorno 15.1.2004, verso le ore 18 30, F. M. stava partecipando ad una lezione di danza all’interno dei locali dell’Accademia Danza Teatro Musica “ARTS”, quando riportava una distorsione alla caviglia e al collo del piede. Assumendo che la responsabilità del fatto fosse addebitabile per colpa all’Accademia, Giuseppe M., agendo in nome e per conto della figlia, all’epoca minorenne, ha chiesto che quella fosse condannata al risarcimento dei danni conseguenti, unitamente alla Federazione Italiana Danza Sportiva a cui l’Accademia era associata e alla A.R.A. – Attività e Rappresentanze Assicurative s.r.l Divenuta frattanto maggiorenne, F. M. si è costituita insistendo nelle domande iniziali. L’Accademia Danza Teatro Musica “ARTS” ha respinto l’addebito di responsabilità. L’A.R.A. – Attività e Rappresentanze Assicurative s.r.l. ha negato di essere tenuta a qualche titolo verso l’attrice, limitandosi essa, in forza di un accordo contrattuale, a istruire nella sede stragiudiziale i sinistri per conto di compagnie di assicurazione su cui gravava l’obbligo di provvedere alla eventuale liquidazione. Peraltro – ha aggiunto – nessun obbligo sarebbe potuto sorgere verso F. M., posto che costei si era iscritta alla F.I.D.S. in data successiva a quella del sinistro. Ha infine contestato la domanda nel merito e ha chiesto la condanna della M. al risarcimento del danno da lite temeraria. La Federazione Italiana Danza Sportiva F.I.D.S. non si è costuituita. Preliminare alla verifica intorno alla fondatezza della domanda, è la corretta qualificazione di questa. Il titolo giuridico causa petendi che l’attrice ha posto a fondamento delle domande è costituito dalla asserita responsabilità dell’Accademia presso la quale essa frequentava lezioni di danza per un fatto colposo. I canoni sulla cui base la domanda processuale va interpretata sono definiti in modo stabile nella giurisprudenza di legittimità il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, qual è desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante Cass. numero 19331/07 Cass. numero 2916/04 , nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto Cass. numero 27428/05 Cass. numero 15802/05 Cass. numero 8225/04 . In tale operazione ermeneutica bisogna avere riguardo all’intero contesto dell’atto, tenendosi conto della sua formulazione letterale nonché del suo contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza che la formula adottata dalla parte stessa assuma peso condizionante Cass. numero 14751/07 Cass. numero 17760/06 Cass. numero 5491/06 . È da notare che il fatto posto a fondamento della pretesa risarcitoria è stato descritto nell’atto di citazione con massima asciuttezza espressiva «M. F., mentre partecipava alla lezione di danza, a causa di una violenta storta, avvertiva un forte dolore al collo del piede destro e alla caviglia destra» «Ritenuto che l’infortunio della minore si è verificato all’interno dei locali della suddetta Accademia, non vi è dubbio, che il medesimo infortunio è addebitabile a fatto e colpa esclusivi della stessa Accademia» pag. 2 . Soltanto con la memoria del 29.7.2007 l’attrice ha specificato che la “storta” si era verificata nell’ambito di un allenamento nel corso del quale si dovevano compiere delle «piroette sulle “mezze punte”» e sarebbe stata anzi la continua ripetizione dell’esercizio, la cui esecuzione non aveva soddisfatto l’insegnante, ad avere indotto uno sforzo eccessivo e, quindi, l’infortunio. Pur con queste precisazioni, rimane una incertezza di fondo sul titolo della responsabilità che la M. ha inteso addebitare all’Accademia. Ad una prima apparenza, la pretesa si potrebbe fondare sulla regola della presunzione di responsabilità fissata dall’articolo 2048 c.c. che, al secondo comma, così stabilisce «i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza». È ormai pacifico che «la presunzione di responsabilità posta dall’articolo 2048, secondo comma, c.c. a carico dei precettori e dei maestri trova applicazione limitatamente al danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito dell’allievo essa, pertanto, non è applicabile in ordine all’azione di risarcimento del danno che l’allievo abbia, con la sua condotta, procurato a se stesso» Cass. numero 10030/06 nello stesso senso, Cass. numero 5967/10 . Piuttosto, l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola o all’istituto, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che quello procuri un danno a se stesso. Si ritiene inoltre – non importa qui verificare se plausibilmente o meno – che tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona cfr. Cass. numero 24456/05 . La responsabilità per il danno che l’allievo si procura da se stesso ha perciò natura non extracontrattuale, ma contrattuale. La domanda sembra comunque ancorata ad un titolo di responsabilità contrattuale, essendosi limitata l’attrice ad allegare il fatto della frequenza della scuola di danza e il fatto dell’infortunio, deducendo su tali basi una responsabilità dell’Accademia. Bisogna tuttavia dire che «in tema di responsabilità dei soggetti obbligati alla sorveglianza di minori, nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, sia che si invochi la presunzione di responsabilità posta dal secondo comma dell’articolo 2048 c.c., sia che si configuri la responsabilità come di natura contrattuale, la ripartizione dell’onere della prova non muta, poiché il regime probatorio desumibile dall’articolo 1218 c.c. impone che, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile all’obbligato» Cass. numero 8067/07 . Ciò significa che il problema della qualificazione si stempera nella sua importanza una volta che lo si guardi dal lato delle conseguenze pratiche in punto di riparto dell’onere della prova. È possibile adesso sottoporre al vaglio il materiale istruttorio. Stando alla deposizione di Maria Carbone – zia della M. – l’infortunio si era verificato mentre l’allieva stava eseguendo un esercizio di danza con l’uso di una sedia, nell’ambito delle prove dei saggi previsti per la fine dell’anno si trattava – a dire della stessa – di una «coreografia molto impegnativa». Del fatto la testimone ebbe notizia dalla figlia, anche essa allieva dell’Accademia. Tale narrazione nulla dice di utile ai fini della ricostruzione del fatto storico nel senso che non offre dati concreti o particolari oggettivi atti a fondare un predicato di responsabilità in capo alla scuola di danza. L’aggettivo «impegnativa», infatti, di per sé non illustra quali fossero gli aspetti interni o le circostanze esterne tali per cui la coreografia dovesse realmente intendersi «impegnativa». Né giova di più a caratterizzare l’esercizio il fatto che questo prevedesse l’utilizzo di una sedia, trattandosi di un atto in sé non pericoloso e non allarmante. Più ricca di contenuto è la deposizione resa da Maddalena Billeci, l’insegnante che all’epoca impartiva lezioni di danza alla M Ha riferito la testimone che la M. era caduta «nell’eseguire i movimenti di routine» e più precisamente «mentre camminava sulle punte dei piedi, indossando le scarpette da punta» a causa di una perdita dell’equilibrio tale movimento veniva eseguito a corpo libero e dunque la sedia era, in quel momento, un semplice elemento scenico . Gli assunti dell’attrice circa l’avvenuta costrizione, da parte dell’insegnante, a ripetere più volte lo stesso esercizio con l’induzione ad uno sforzo fisico – e in definitiva ad una stanchezza – «oltre i limiti» pagg. 5-6 della comparsa conclusionale sono rimasti del tutto sforniti di riscontro probatorio, anche alla stregua della prova testimoniale acquisita – si noti – su richiesta dell’attrice stessa. È qui conveniente il richiamo ad un principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità «in tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, in caso di caduta di alunno di una scuola materna statale avvenuta accidentalmente nel corso di un gioco non presentante elementi di pericolo non è configurabile la responsabilità diretta dell’insegnante per il fatto illecito del minore che subisce il danno, qualora non risulti accertato né il concorso di colpa del minore né la responsabilità concorrente od esclusiva di altro minore danneggiante. Aggiungasi – fra l’altro – che, peraltro, la presunzione di responsabilità di cui all’articolo 2048 c.c. non è assoluta – come se si trattasse di ipotesi di responsabilità oggettiva – ma configura una responsabilità soggettiva aggravata in ragione dell’onere incombente all’insegnante o al precettore di fornire la prova liberatoria, onere che risulta assolto in relazione all’esercizio – da accertarsi in concreto – di una vigilanza adeguata all’età e al normale grado di comportamento dei minori loro affidati» Cass. numero 11453/03 . La sentenza riveste una speciale importanza perché ha escluso la responsabilità di una maestra per il danno riportato da un bambino a seguito di una caduta da una panca. Uno dei motivi basilari della pronuncia sta nel risultato dell’analisi della sequenza causale. Prima si deve risolvere il problema dell’accertamento del nesso eziologico tra azione od omissione ed evento sul piano materiale dopo va risolta la questione se il secondo sia riconducibile alla prima anche sul piano normativo. Nel caso esaminato dalla Corte, si era accertato che il bambino stava praticando, assieme ad un altro, un gioco tranquillo stando sul tappeto, senza che fossero emersi elementi atti a suscitare allarmi o a suggerire l’adozione di interventi preventivi o cautelativi la caduta si era così risolta in un accadimento repentino e imprevedibile. Il paradigma euristico torna utile per dare corretta soluzione al caso in esame. La M. era caduta mentre strava eseguendo un normale esercizio di danza, muovendosi sulle punte dei piedi che tale movimento rientri appieno tra quelli usualmente compiuti nella disciplina della danza risulta – oltre che da nozioni di comune esperienza – dalle allegazioni della M. stessa che, nella comparsa conclusionale pag. 5 , si è soffermata a illustrare quali siano i diversi tipi di scarpette da punta impiegate. In questo caso, così come in casi simili, non è possibile – concettualmente e materialmente – scindere il movimento corporeo dalla causa dell’infortunio, nel senso che la seconda è intrinseca al primo in definitiva, la caduta avrebbe potuto essere evitata unicamente con l’astenersi dal compiere il movimento. Posto allora che l’esercizio eseguito dalla M. rientrava nello schema normale della coreografia programmata posto che lo stesso non presentava alcun particolare profilo di difficoltà, a nulla rilevando, in contrario, che fosse presente come oggetto da usare a momenti una sedia e nulla significando che la coreografia fosse «impegnativa» peraltro, l’allieva doveva avere un certo grado di esperienza e di preparazione se si stava allenando per partecipare – e in effetti partecipava poi – a selezioni e saggi finali v. la deposizione della testimone Francesca Siracusano, madre di altra allieva posto ancora che non è risultato che la M. fosse stata indotta a intensificare gli sforzi oltre le sue capacità posto tutto ciò, non è possibile predicare alcun genere di responsabilità in capo all’Accademia. Stando così le cose, in nessun senso la condotta dell’insegnante di danza è stata causa – o anche soltanto concausa – del trauma distorsivo riportato dall’allieva l’affermazione di responsabilità in capo all’insegnante postula che esista, tra la condotta – attiva od omissiva – di questa e il danno capitato all’allievo, un legame eziologico effettivo. Legame che nella specie non sussiste e che si configura, invece, tra l’esercizio in sé della disciplina oggetto della lezione, condotta con modalità scevre da possibilità di rimprovero nei confronti dell’organizzazione della scuola, e l’evento lesivo. Ad evitare il quale sarebbe stato necessario, semplicemente, che la M. avesse rinunciato a praticare la disciplina o quanto meno a compiere quell’esercizio contemplato nel programma. Il principio fondamentale che struttura la responsabilità aquiliana è quello per cui non è possibile rispondere al di fuori di un accertato nesso di causalità tra la condotta e l’evento e nel caso di specie, l’evento si era verificato non per un qualche comportamento – positivo o negativo – dell’insegnante, ma per il fatto stesso del compimento dell’esercizio ginnico e come conseguenza, accidentale ma fisiologica, di questo, non evitabile nemmeno con l’adozione di qualche particolare cautela che non fosse quella di interdire all’allieva il movimento corporeo. Sintetizzando, la ratio decidendi può essere così formulata in tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, la presunzione di responsabilità che, ai sensi dell’articolo 1218 c.c., grava sull’insegnante per il danno che l’allievo si sia procurato da sé solo, è superata quando l’evento lesivo rientri tra quelli che, secondo uno standard di normale prevedibilità, possono scaturire ordinariamente dall’attività relativa alla disciplina impartita. Perché l’insegnante – e per esso l’istituto – possa essere chiamato a rispondere del danno riportato dall’allievo è infatti necessario che sia positivamente accertato un nesso causale tra la condotta, commissiva od omissiva, dell’insegnante medesimo e l’evento lesivo tale nesso non si configura nel caso in cui l’evento derivi dalla natura stessa o dal modo di essere della disciplina praticata, sì da esserne una conseguenza ordinaria e normale anche se accidentale. La domanda attorea va pertanto rigettata. Con riferimento alla domanda avanzata contro la A.R.A. s.r.l. emerge un ulteriore profilo di infondatezza la società infatti non aveva prestato alcuna garanzia per la copertura dei rischi derivanti dall’attività esercitata presso l’Accademia, con la conseguente mancanza assoluta di titolo perché ad essa l’attrice potesse rivolgere pretese risarcitorie di sorta. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo. E ciò anche rispetto alla A.R.A. s.r.l Infatti, «nell’ipotesi in cui, dichiaratosi interrotto il procedimento per il fallimento di una delle parti costituite, il curatore del fallimento, nei confronti del quale il processo sia stato riassunto, non si sia costituito, l’altra parte, rimasta soccombente, può essere condannata alle spese giudiziali relative alle attività processuali svolte dal fallito fino alla dichiarazione di interruzione del procedimento» Cass. numero 1153/71 . È fondata la domanda – che non può intendersi oggetto né di rinuncia né di abbandono cfr. Cass. numero 24331/08 – di condanna al risarcimento dei danni da lite temeraria. Ai sensi dell’articolo 96, comma 1 c.p.c., «se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza». L’accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno di cui all’articolo 96, comma 1 c.p.c. presuppone l’accertamento sia dell’elemento soggettivo mala fede o colpa grave , sia dell’elemento oggettivo entità del danno sofferto il primo presupposto si concretizza nella conoscenza della infondatezza domanda e delle tesi sostenute ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta conoscenza. L’attrice ha mancato di usare una normalissima diligenza nell’acquisire le informazioni atte a renderle noto quale fosse il ruolo giocato dall’A.R.A. nella vicenda ruolo che non era certamente quello di una compagnia assicuratrice tenuta per qualche verso a risarcire il danno. E non solo l’attrice, pur dopo che l’A.R.A. ha illustrato, a causa iniziata, in cosa consisteva quel ruolo, ha continuato nell’insistere nelle sue domande rivolte contro essa. L’altro presupposto – stando agli orientamenti più moderni – richiede, invece, l’esistenza di un danno e la prova da parte dell’istante sia dell’an che del quantum debeatur, il che non osta a che l’interessato possa dedurre, a sostegno della sua domanda, condotte processuali dilatorie o defatigatorie della controparte, potendosi desumere il danno subito da nozioni di comune esperienza anche alla stregua del principio, ora costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo articolo 111, comma 2 Cost. e della legge numero 89 del 2001, secondo cui, nella normalità dei casi e in base all’id quod plerumque accidit, ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali quali quelli di essere costretti a contrastare una ingiustificata iniziativa dell’avversario sovente in una sede diversa da quella voluta dal legislatore e per di più non compensata sul piano strettamente economico dal rimborso delle spese e onorari liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente , causano ex se anche danni di natura psicologica, che per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa così, Cass. numero 24645/07 . Secondo un indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità, ai fini della liquidazione del danno da responsabilità processuale aggravata è necessario che siano disponibili gli elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa, che consentano di identificare concretamente l’esistenza del danno medesimo Cass. numero 4096/07 Cass. numero 27383/05 . Il giudice può desumere l’esistenza e la consistenza del danno anche dalle nozioni di comune esperienza e dal pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stata costretta a contrastare un’iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario, danno che non può ritenersi senz’altro adeguatamente compensato, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese giudiziali, liquidabili secondo tariffe che non riguardano i rapporti tra la parte e il suo difensore Cass. numero 21393/05 Cass. numero 13355/04 Cass. numero 1592/94 Cass. S.U. ord. numero 712/89 . Nel caso di specie, appunto sulla base di presunzioni fondate su nozioni di comune esperienza, non si può non ritenere che la società abbia subito un danno consistito nei costi in senso lato amministrativi per ingaggio di personale e di approntamento di risorse materiali, ad esempio collegati ordinariamente alla gestione di una pratica contenziosa. Avuto riguardo alla durata del processo e alla complessità relativa del caso, il danno va prudentemente liquidato nella somma di 2.000,00 euro trattandosi di somma dovuta a titolo risarcitorio, sulla stessa, a far data dal deposito della presente sentenza, saranno da computare la rivalutazione secondo l’indice FOI dell’ISTAT e gli interessi al tasso legale sull’importo via via rivalutato mese per mese secondo il metodo indicato da Cass. S.U. numero 1712/95 . Non osta alla possibilità di una tale condanna il fatto che, dopo la riassunzione, la curatela del fallimento della A.R.A. non si sia costituita. La riassunzione del processo, operata a norma dell’articolo 303 c.p.c., comporta la dichiarazione di contumacia della parte che, benché costituita nella precedente fase del giudizio, non sia comparsa, ma da ciò non consegue che le domande dalla stessa parte proposte con l’atto di citazione o in via riconvenzionale debbano ritenersi rinunciate o abbandonate, in quanto tali domande sono relative ad un giudizio che prosegue nella nuova fase, dotata di tutti gli effetti processuali e sostanziali dell’originario rapporto così, Cass. numero 24331/08 . Naturalmente, tale pronuncia attribuisce un diritto sostanziale alla società, ma azionabile dalla curatela. P.Q.M. il Tribunale in composizione monocratica, pronunciando definitivamente sulle domande proposte nella causa iscritta al numero 4019/04 R.G., 1 rigetta la domanda proposta da F. M. 2 condanna F. M. a rimborsare all’Accademia Danza Teatro Musica “ARTS” le spese di lite che liquida in euro 5.000,00 per onorari ed euro 2.142,00 per diritti, oltre spese generali, C.P.A. e I.V.A. 3 condanna F. M. a corrispondere all’A.R.A. – Attività e Rappresentanze Assicurative s.r.l. la somma di euro 2.000,00, oltre rivalutazione secondo l’indice FOI dell’ISTAT e interessi al tasso legale sull’importo via via rivalutato mese per mese, a decorrere dalla data del deposito della presente sentenza e fino al pagamento o, in mancanza, fino al passaggio in giudicato della presente ordinanza 4 condanna F. M. a rimborsare alla A.R.A. – Attività e Rappresentanze Assicurative s.r.l. le spese di lite che liquida in euro 3.000,00 per onorari ed euro 1.305,00 per diritti, oltre spese generali, C.P.A. e I.V.A