La costituzione di parte civile in sede penale estingue il processo civile. E l’assoluzione del denunciato esclude il risarcimento

In tema di rapporti tra processo civile e processo penale, la costituzione di parte civile determina, in caso di identità di oggetto, il trasferimento dell’azione civile nel processo penale e la rinuncia automatica ed implicita al giudizio civile, con estinzione del medesimo rilevabile d’ufficio. L’assoluzione penale del denunciato esclude, quindi, il risarcimento in sede penale e nel giudizio civile già estinto.

Il principio si argomenta dalla sentenza numero 7633/12, depositata il 16 maggio. Il caso problemi con gli assegni. Due soggetti concordavano di acquistare insieme una partita di piastrelle e, a tal fine, uno dei due emetteva un assegno bancario con propria firma in favore dell’altro e questi lo girava al commerciante di piastrelle a scopo di garanzia, onde bloccare la merce ordinata. Qualche mese dopo, il traente informava colui cui aveva consegnato il proprio assegno di avere chiuso il conto corrente e lo invitava a chiedere al commerciante la restituzione dell’assegno, anche offrendo a quest’ultimo altro assegno. Il commerciante, però, poneva all’incasso l’assegno che veniva, successivamente, protestato e, poi, il medesimo apponeva sull’assegno protestato un’ulteriore firma illeggibile. Il traente, quindi, informava la Procura della Repubblica ed in sede cautelare civile otteneva, ex articolo 700 c.p.c., un provvedimento di sospensione della pubblicazione del protesto. Nel successivo giudizio civile dinanzi al tribunale monocratico, di riassunzione del contenzioso cautelare, l’attore allegava, a titolo di risarcimento, anche il danno da reato e, dopo l’interrogatorio formale delle parti, il commerciante convenuto eccepiva che, nelle more, era iniziato, nei propri confronti, un procedimento penale nel quale il ricorrente si era costituito parte civile così, il giudice istruttore invitava le parti a precisare le conclusioni e, poi, rigettava la domanda come improcedibile, anche nei riguardi di altri soggetti non denunciati estranei in sede penale. In secondo grado, il giudice confermava il dispositivo, integrava la motivazione del giudice precedente ma dichiarava l’inesistenza della causa d’improseguibilità nei confronti delle altre controparti estranee al procedimento penale il medesimo appellante traente reclamava la mancata ammissione di una prova testimoniale. In sede penale, il medesimo convenuto/denunciato veniva assolto per non avere commesso il fatto. Oggetto e punti focali della vicenda. Il caso, già esaminato dalla Corte di Appello di Lecce 17 aprile 2010, numero 210 , verte in tema di responsabilità civile e penale, obbligazioni e fatti illeciti, azione in giudizio civile e costituzione di parte civile in sede penale, pendenza ed estinzione del processo, eccezione. Nella fattispecie, sotto il profilo formale-procedurale, bisogna stabilire se la costituzione di parte civile in sede penale determini la rinuncia implicita e/o automatica all’azione civile pendente ovvero il trasferimento, in sede penale, dell’azione risarcitoria esperita nel processo civile se, cioè, la costituzione di parte civile sia qualificabile come fatto estintivo del contenzioso civile e/o fatto impeditivo alla prosecuzione del medesimo. Inoltre se la statuizione giurisdizionale sia abnorme e, cioè, se il tribunale monocratico possa dichiarare improseguibile l’azione proposta anche nei riguardi di estranei al procedimento penale se l’eccezione di estinzione del processo civile sollevata non nella prima udienza successiva al fatto estintivo sia da qualificarsi tardiva e, quindi, se il magistrato sia tenuto a rilevare tale tardività se il giudice possa rigettare la domanda nel merito per infondatezza o anche per sola improcedibilità se il giudice d’appello possa decidere nel merito o debba rinviare al primo giudice. Sul piano sostanziale, invece, bisogna stabilire se sia possibile, o meno, richiedere il risarcimento per l’altrui condotta posta in essere quale sia il fatto costitutivo della pretesa risarcitoria quali siano i danni riconoscibili se possa essere dichiarato responsabile colui che aveva ricevuto l’assegno e che l’aveva consegnato al commerciante se trattasi di obbligazioni ex delicto . Segnatamente, è necessario valutare i rapporti tra processo civile e processo penale e le ulteriori conseguenze, in tema di risarcimento, del provvedimento penale sulla rilevanza-punibilità, o meno, del fatto denunciato alterazione del titolo di credito per ottenere il vantaggio di non apparire come ultimo giratario del titolo ed accertare se la domanda proposta in sede civile, instaurata tra parti processuali e per danni differenti dall’azione esperita in sede penale su cui quindi il giudice penale non potrebbe pronunciarsi , sia qualificabile come autonoma ed indipendente dal fatto-reato denunciato in sede penale o, viceversa, se sussista correlazione tra i due processi. All’uopo, vanno richiamati gli articolo 75, comma 1 c.p.p. 185 c.p. 2967 c.c. 99, 112, 115, 116, 189, 307 e 308 c.p.c Nella fattispecie, è da notare che il commerciante, negoziando l’assegno, ha violato i patti contrattuali di non mettere all’incasso prima della consegna della merce l’assegno dato in garanzia e ha provocato la levata del protesto in capo al traente, facendo credere di avere girato a terzi l’assegno. I danni e le azioni processuali i poteri dei diversi giudici. Sul piano sostanziale, il fatto illecito può produrre diversi tipi di nocumento in tal caso, è possibile agire, separatamente, per il risarcimento di ciascun danno, senza che ciò comporti rinuncia ex lege agli atti del processo civile Cass. numero 5224/06, Cass. numero 13007/00 . Quando la fonte del danno è la medesima nel caso in esame, l’illegittima levata del protesto , vi è identità di oggetto tra azioni e a nulla rileva, in tal senso, la quantificazione del danno. Segnatamente, in tema di imputabilità e responsabilità, il magistrato è tenuto a valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento il medesimo, però, deve considerare le risultanze probatorie effettivamente emerse nel corso dell’istruttoria. Pertanto, dopo un provvedimento giudiziale ammissivo dei mezzi di prova, il giudice non può pervenire immediatamente alla conclusione di irrilevanza delle risultanze della prova, senza avere anteposto alla decisione la sostanziale valutazione della prova medesima Cass. numero 2724/76 così, in sede di legittimità, il ricorrente che denunci la presunta mancata ammissione, in appello, di una prova testimoniale ha l’onere di indicare specificamente le circostanze formanti oggetto della stessa prova. Al giudice di merito spetta, a prescindere ed indipendentemente dall’esame della fondatezza dell’azione costituzione esperita in sede penale, l’accertamento dell’identità in relazione al petitum ed alla causa petendi e personae Cass. numero 7396/03 ovvero la valutazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda giudiziale tale accertamento è incensurabile in sede di legittimità, ove non siano dedotti vizi di motivazione Cass. nnumero 6293/03, 5180/83, 3439/81 . La sindacabilità è, cioè, limitata alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite Cass. nnumero 17947/2006 e 2467/06 e senza che sia condizionante la formula adottata dalla stessa parte Cass. numero 22893/2008 . Quanto al giudice d’appello, va detto che egli deve rimettere la causa al primo giudice in caso di riforma della sentenza che ha pronunciato l’estinzione del processo articolo 354 comma 2 e 308 c.p.c. , anche quando quest’ultima sia contenuta in un provvedimento del tribunale monocratico di primo grado Cass. 15253/05, Cass. numero 1342/99, Cass. numero 2151/92 . All’uopo, è da sottolineare che è soggetta a reclamo l’ordinanza del giudice istruttore purché egli non operi come giudice monocratico e, in tal caso, il provvedimento ha natura di sentenza Cass. nnumero 2151/1992, 15253/2005, 14592/07 e 18242/08 , impugnabile con gli ordinari mezzi Cass. nnumero 4592/07, 11434/07, numero 950/05, 8092/04 il ricorrente, peraltro, può formulare istanza di rimessione al primo giudice. Va precisato che la sentenza/declaratoria di estinzione definisce il giudizio e non è omologabile all’ordinanza adottata, dopo aver preso atto della causa d’estinzione dal tribunale in composizione monocratica Cass. nnumero 1434/2008 e 4470/1995 perciò, il giudice d’appello non può rimettere la causa al primo giudice, bensì deve trattenerla e deciderla nel merito Cass. numero 22917/2010 . Va ricordato, poi, il principio di autosufficienza del ricorso in sede di legittimità il giudice deve, cioè, essere in grado di operare sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza dovere potere colmare le eventuali lacune con indagini integrative, onde verificare ex actis la veridicità delle asserzioni e la correttezza del giudizio a quo Cass. nnumero 19715/10, 9748/10, 5479/06, 10357/05, 19138/04, 11895/03 . Le conseguenze del trasferimento la questione pregiudiziale. Il punto èstabilire se il trasferimento dell’azione civile nel processo penale determini automaticamente l’estinzione del giudizio civile o debba essere eccepito dalla parte Cass. nnumero 17172/07, 8737/97, 5167/95, numero 4368/92, 158/85 si precisa, a riguardo, che, in analogia con l’articolo 306, comma 3, c.p.c., il giudice penale può dichiarare, d’ufficio ed anche in grado di appello, l’estinzione del processo civile Cass. nnumero 5656/98, 295/91, 2104/87, numero 3439/81 . A proposito, va ricordato che l’azione civile proposta in sede civile può essere trasferita nel processo penale finché non sia stata pronunciata, in sede civile, sentenza di merito anche non passata in giudicato. Avvenuto il trasferimento, non è consentita la pendenza, davanti a giudici diversi, di più processi per la stessa causa il trasferimento stesso genera rinuncia agli atti del giudizio Cass. numero 13946/05 e la stessa azione ed il medesimo processo proseguono in sede penale, purché l’atto di costituzione di parte civile sia strutturato in termini di atto introduttivo modellato sul disposto di cui all’articolo 163 c.p.comma articolo 78 c.p.p. . Tale fatto impeditivo alla prosecuzione del processo civile non richiede l’eccezione di parte ed è rilevabile anche ex officio in quanto riguarda l’interesse all’ordinato esercizio della giurisdizione il quale sovrasta il potere dispositivo delle parti e non è, pertanto, disponibile dalle parti Cass. nnumero 18193/07, 189/01 . La costituzione di parte civile in sede penale impedisce, ipso iure, la prosecuzione del processo civile ed è rilevabile d’ufficio. Il trasferimento dell’azione civile nel processo penale produce, di diritto, la rinuncia dell’attore al giudizio civile e, pertanto, il magistrato civile, previo accertamento dell’identità delle due azioni, deve dichiarare, anche d’ufficio, l’estinzione del processo, senza che sia necessaria alcuna attività ulteriore dell’attore o della controparte Corte Cost. numero 211/02 , una formale e separata rinuncia in sede civile e/o l’accettazione delle altre parti costituite, alla condizione però che dagli atti risulti l’avvenuto trasferimento dell’azione civile nel processo penale. L’articolo 75 c.p.p. supera, peraltro, il vaglio della ragionevolezza e della compatibilità con l’articolo 24 Cost. Il trasferimento esclude la riviviscenza del medesimo processo civile già dichiarato estinto. Ergo , l’assoluzione, in sede penale, del convenuto civile/denunciato penale rende inaccoglibile la richiesta di risarcimento-danni.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 aprile – 16 maggio 2012, numero 7633 Presidente Trifone – Relatore Giacalone In fatto e in diritto 1. C C. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, G Q. , S A. e la Camera di Commercio di Lecce, esponendo che nel settembre 1999 egli e l'A. avevano concordato di acquistare insieme una partita di piastrelle dalla Ditta Centro Ceramiche del Q. e a tale scopo egli aveva emesso un assegno bancario di lite 3.300.000 in favore dell'A. , il quale lo aveva a sua volta girato al Q. a scopo di garanzia, onde bloccare la mercé ordinata che nel febbraio 2000 egli aveva informato l'A. di aver chiuso il conto corrente e lo aveva invitato a chiedere al Q. la restituzione dell'assegno che il Q. , violando gli accordi, lo aveva posto all'incasso e l'assegno era stato perciò protestato in data 31.3.2000 che il Q. aveva poi contraffatto l'assegno, apponendo sul titolo, successivamente al protesto, un'ulteriore firma illeggibile che di tale ulteriore condotta illecita era stata informata la Procura della Repubblica che in sede cautelare egli aveva ottenuto il 19.1.2001 un provvedimento del Tribunale di sospensione della pubblicazione del protesto che aveva quindi interesse ad iniziare il giudizio di merito per sentir disporre la cancellazione del proprio nominativo dall'elenco dei protesti, accertare la responsabilità dei convenuti e condannare chi di dovere al risarcimento del danno, da liquidarsi in Euro 40.000,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia, con vittoria di spese. L'A. , costituitosi in giudizio, deduceva di non avere alcuna responsabilità, in quanto l'assegno era stato posto all'incasso dal Q. . Quest'ultimo, a sua volta, contrastava la domanda e la ricostruzione dei fatti fornita dall'attore. La Camera di Commercio rimaneva contumace. Dopo 1 interrogatorio formale delle parti, all'udienza del 10.1.2005 il Q. eccepiva che nelle more era stato iniziato nei suoi confronti procedimento penale ed il C. si era costituito parte civile, così rinunciando alla domanda attrice. A seguito di tale eccezione, il giudice istruttore invitava le parti a precisare le conclusioni e, all'esito, il Tribunale rigettava la domanda siccome improcedibile e condannava l'attore al rimborso delle spese processuali in favore dei convenuti costituiti, osservando che il C. si era costituito parte civile nel procedimento penale pendente nei confronti del Q. per i medesimi fatti oggetto di causa e che perciò l'azione civile era divenuta improcedibile ai sensi dell'articolo 75 c.p.p 2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il 17 aprile 2010, la Corte di Appello di Lecce rigettava l'appello del C. , previa integrazione della motivazione della sentenza di primo grado. In particolare, osservava che il trasferimento dell'azione civile nel processo penale produce di diritto, a norma dell'articolo 75, primo comma, c.p.p., la rinuncia dell'attore al giudizio civile, sicché il giudice civile deve anche d'ufficio dichiarare l'estinzione del processo senza che sia necessaria l'accettazione delle altre parti , alla sola condizione che dagli atti risulti il trasferimento dell'azione civile nel processo penale, previo accertamento dell'identità delle due azioni quella promossa in sede civile e quella esercitata nel processo penale , alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle stesse Cass. 14/05/2003 numero 7396 . Il C. , costituendosi parte civile nel processo penale pendente nei confronti del Q. , aveva certamente trasferito in sede penale l'azione risarcitoria che aveva esercitato contro il Q. nel presente giudizio si legge nell'atto di costituzione di parte civile Il pregiudizio lamentato è costituito dalla condotta del Q. , il quale, violando i patti contrattuali di non mettere all'incasso l'assegno, dato in garanzia, ha negoziato il titolo in questione provocando, così, la levata del protesto in capo al C. , facendo credere di aver girato a terzi il titolo. Il danno patrimoniale lamentato è pari a Euro 2.000, 00, pari cioè alla somma portata dal titolo maggiorata delle spese di protesto, della penale del 10% e degli interessi legali del 2,5%. Il danno morale, invece, è dovuto all'ingiusto disagio d'animo che la parte lesa ha patito in conseguenza della illecita levata del protesto e della grave offesa perpetrata nei confronti della propria persona da parte dell'imputato a mezzo dell'alterazione del titolo in questione. Tali danni si quantificano in Euro 3.000,00 o in quella somma maggiore o minore ritenuta equa . . Come risulta evidente, sebbene oggetto del processo penale fosse soltanto il preteso reato di falso commesso dal Q. attraverso la contraffazione dell'assegno dopo il suo protesto, con la costituzione di parte civile il C. ha proposto un'azione risarcitoria che ha come fatto costitutivo un comportamento illecito più complesso rispetto alla mera contraffazione dell'assegno , in quanto nella dichiarazione di costituzione di parte civile il C. ha addebitato al Q. di avere dapprima messo all'incasso l'assegno ricevuto in garanzia, così provocandone l'illegittimo protesto, e poi apposto sul titolo la falsa firma di girata, in modo da indurlo in errore, facendogli credere che altri aveva messo all'incasso l'assegno e che quindi egli non era responsabile dell'illegittima levata del protesto. Lo stesso complesso comportamento illecito il C. ha allegato come fatto costitutivo della pretesa risarcitoria esercitata in questo processo, risultando evidente dalla lettura dell'atto di citazione che l'attore non si è soltanto lamentato che il Q. avesse posto all'incasso l'assegno contro pacta, ma anche che Io avesse contraffatto dopo il protesto e del resto proprio quest'ultima circostanza ha indotto il Tribunale in sede di reclamo ad accordare ex articolo 700 c.p.c. la sospensione della pubblicazione del protesto. Pertanto, correttamente il primo giudice ha dichiarato improseguibile l'azione civile proposta contro il Q. , a nulla rilevando che il procuratore di quest'ultimo non avesse sollevato l'eccezione di estinzione nella prima udienza successiva al fatto estintivo rappresentato dalla costituzione di parte civile , in quanto il fatto impeditivo alla prosecuzione del processo rappresentato dal trasferimento in sede penale dell'azione civile è rilevabile anche d'ufficio, attinendo all'interesse all'ordinato esercizio della giurisdizione, che non è disponibile dalle parti Cass. 28/08/2007, numero 18193 . Viceversa, il Tribunale ha erroneamente dichiarato improseguibile pure l'azione proposta contro l'A. e la Camera di Commercio, del tutto estranei al processo penale. Tuttavia la statuizione di rigetto della domanda contenuta nel dispositivo della sentenza impugnata è corretta, per cui ben può la Corte limitarsi a integrarne la motivazione. Non è vero infatti che l'A. abbia reso dichiarazioni confessorie al contrario, egli ha addossato tutta la responsabilità al Q. , sostenendo di aver consegnato allo stesso l'assegno in garanzia, di avergli successivamente comunicato che il conto era stato chiuso e di aver addirittura offerto altro assegno al Q. , in modo da poter ottenere la restituzione del titolo a firma del C. . Analogamente, le deposizioni testimoniali raccolte nel giudizio di primo grado non hanno assolutamente suffragato l'ipotesi di una eventuale responsabilità dell'A. , in quanto il teste I. funzionario di banca ha dichiarato di non conoscere gli accordi intervenuti tra le parti, mentre la teste F. moglie dell'A. ha riferito che fu il Q. a mettere all'incasso l'assegno, in violazione degli accordi intervenuti, in base ai quali il pagamento delle piastrelle doveva avvenire contestualmente alla loro consegna per cui il Q. non poteva incassare l'assegno prima di consegnare la mercé . Né potrebbe giungersi all'accertamento della responsabilità dell'A. attraverso l’escussione dell'unico teste S D.B. non sentito in primo grado, in quanto i capitoli di prova che lo stesso dovrebbe confermare sono tutti diretti ad imputare l'illegittima levata del protesto al Q. e non all'A. , avendo il C. sostenuto nella memoria istruttoria depositata in prime cure il 28.11.2002 che l'assegno da lui emesso era rimasto sempre in possesso del Q. e che per contratto il pagamento della mercé doveva avvenire soltanto al momento della consegna, sicché non si riusciva ad immaginare quale responsabilità potesse individuarsi a carico dell'A. , il quale si sarebbe limitato secondo la prospettazione dello stesso C. a girare l'assegno ed a consegnarlo al Q. , il quale ben sapeva che non poteva incassarlo prima della consegna delle piastrelle. 3. Nel proprio ricorso per cassazione il C. propone le seguenti quattro censure il Q. resiste con controricorso e chiede il rigetto del ricorso. 3.1. Violazione e falsa applicazione degli articolo 75 c.p.p., 185 c.p., 99 e 112 c.p.c. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa i punti decisivi della controversia e precisamente in ordine a al presunto intervenuto trasferimento dell'azione civile nel procedimento penale e alla conseguente rinuncia dell'attore al giudizio civile b alla non rilevata diversità delle azioni petitum e causa petendi fatte valere nel giudizio civile e penale dal C. c all'individuazione dei criteri dell'azione risarcitoria proponibile in sede penale in relazione all'articolo 360 c.p.c. numero 3 e 5 c.p.c La sentenza impugnata risulterebbe errata ed illegittima, dato che, nella fattispecie, non sussisterebbe alcuna identità tra le domande, dato che l'azione fatta valere dall'attore in sede civile non sarebbe la stessa che ha fatto valere nel procedimento penale, in quanto diversi risultano essere il petitum e la causa petendi. Q.G. , è stato imputato per i reati di cui agli articolo 485 e 491 c.p., per aver apposto dopo la propria una falsa girata sull'assegno indicato in atti, al fine di procurarsi il vantaggio di non apparire quale ultimo giratario del titolo. La costituzione di parte civile nel procedimento penale effettuata dal C. avrebbe appunto ad oggetto il risarcimento dei danni patrimoniali e morali quali conseguenza diretta dell'apparenza ingannevole creata dal Q. attraverso il fatto di reato, ossia l'alterazione del titolo di credito in questione al fine di procurarsi il vantaggio di non apparire quale ultimo giratario del titolo, per escludersi da qualsivoglia responsabilità per l'elevazione de protesto. Ciò si può agevolmente vedere da una semplice lettura dell'atto di costituzione di parte civile, prodotto in atti e dalle stesse richieste sostanziali indicate al di là delle espressioni utilizzate al fine di dare contezza solo della vicenda nel suo complesso rispettivamente in Euro 2000,00 per danni patrimoniali pari cioè alla somma portata dal titolo in questione oltre le spese anticipate dall'attore e gli interessi corrisposti al Q. ed Euro 3000,00 per i danni morali sofferti per la compiuta alterazione del titolo di credito da parte del Q. . La domanda del medesimo, invece, fatta valere nel presente giudizio civile risulterebbe del tutto autonoma e sganciata dal fatto di reato commesso dal Q. , atteso che deriva da una riassunzione nel merito dopo l'accoglimento da parte del Tribunale, in sede di reclamo, della richiesta cautelare ex articolo 700 c.p.c. di sospensione della pubblicazione del protesto illegittimo sul relativo bollettino, formulata dal C. . Con tale azione civile instaurata, non soltanto nei confronti del Q.G. , imputato nel procedimento penale, ma anche nei confronti dell'A. e della Camera di Commercio di Lecce, l'attore, dopo aver ottenuto la sospensione della pubblicazione del protesto sul relativo bollettino, ha chiesto in via principale di disporre in via definitiva la cancellazione del nominativo dell'attore dall'elenco dei protesti in relazione al titolo indicato in atti, nonché di accertare la responsabilità dei convenuti nella elevazione del protesto medesimo e per l'effetto condannare chi di dovere al pagamento in favore dell'attore della somma di L. 40.000.000 a titolo di risarcimento danni, conseguenti alla levata illegittima del protesto . Chiarito il petitum e la causa petendi dell'azione civile, risulterebbe evidente che la cancellazione del protesto illegittimo integra una domanda totalmente autonoma dal fatto di reato sia perché diretta alla CCIA di Lecce, quale organo esecutore, su cui il giudice penale non potrebbe, né avrebbe potuto pronunciarsi. Ne conseguirebbe che alcuna attinenza può avere la domanda azionata nel giudizio civile con quella azionata nel procedimento penale, atteso che diverso è il petitum e totalmente diversa è la causa petendi, oltre che in parte diverse sono anche le parti processuali. Inoltre, dall'esame dell'atto di citazione si evincerebbe con chiarezza un altro elemento, totalmente disatteso dalla Corte di Appello, ossia che la domanda risarcitoria proposta dal C. in sede civile ha per oggetto i danni diversi patrimoniali da protesto illegittimo, derivatigli dal discredito personale e commerciale che l'evento del protesto inevitabilmente comporta, in quanto conferisce pubblicità all'insolvenza del debitore. Parimenti dall'esame dell'atto di costituzione di parte civile, se correttamente letto e interpretato, risulterebbe evidente che l'attore ha chiesto i danni limitandoli esclusivamente a quelli da reato, ai sensi dell'articolo 185 c.p., che costituisce il fondamento delle obbligazioni ex delicto. Sul punto palese risulterebbe il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla presunta identità tra la domanda proposta in sede civile e quella trasferita in sede penale. L'espressione utilizzata dall'attore e ripresa dalla Corte territoriale in sentenza, secondo cui il pregiudizio lamentato è costituito dalla condotta del Q. , il quale ha negoziato il titolo in questione provocando così la levata del protesto in capo al C. , facendo credere di aver girato a terzi il titolo non potrebbe portare alla conclusione apodittica di ritenere che con l'atto di costituzione di parte civile l'attore abbia inteso proporre nel giudizio penale un'azione risarcitoria avente come fatto costitutivo un comportamento illecito del Q. più complesso rispetto alla mera contraffazione dell'assegno, posto che è lo stesso capo di imputazione che testualmente evidenzia il fine che l'imputato si era preposto che era quello di procurarsi il vantaggio di non apparire quale ultimo giratario del titolo che aveva fatto protestare. In tale contesto non vi sarebbe alcuna attinenza tra la domanda azionata in sede civile e quella fatta valere in sede penale solo nei confronti del Q. , in quanto la prima avrebbe per oggetto la cancellazione del protesto illegittimo e il risarcimento dei danni conseguenti alla illegittimità dell'evento - protesto mentre la seconda il risarcimento dei danni conseguenti non al protesto, ma al reato di falso e all'alterazione del titolo di credito commessa dal Q. dopo l'avvenuto protesto. Ne consegue che nella fattispecie non si sarebbe verificata alcuna automatica rinuncia all'azione civile da parte dell'attore ai sensi dell'articolo 75 c.p.p. né mai l'attore con l'atto di costituzione di parte civile avrebbe inteso rinunciare al giudizio civile e trasferire nel giudizio penale la stessa domanda proposta in sede civile rivolta peraltro anche verso altre parti non coinvolte nel procedimento penale e avrebbe ad oggetto, oltre il risarcimento dei danni, da discredito commerciale, la richiesta di cancellazione definitiva del protesto elevato illegittimamente. Allo stesso tempo, il riferimento nell'atto di citazione alla contraffazione dell'assegno dopo il protesto non giustificherebbe la conclusione apodittica e immotivata, come ha sostenuto la Corte territoriale, di aver allegato l'attore come fatto costitutivo della pretesa risarcitoria nel processo civile anche il danno da reato. L'errore della Corte di Appello consisterebbe nell'aver confuso l'esistenza di una correlazione tra i fatti dei due giudizi con l'identità tra essi, nonostante la loro innegabile diversità in contrasto con le linee direttici che si ricavano dalla giurisprudenza della stessa Suprema Corte in merito, secondo cui qualora un fatto illecito produca diversi tipi di danno è possibile pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri e particolarmente agire in sede civile per un tipo e successivamente costituirsi parte civile nel giudizio penale a carico del danneggiante per ottenere il risarcimento degli altri senza che questo comporti rinuncia ex lege agli atti del giudizio civile Cass. Sez. III Ord 10/03/2006 numero 5224 - Cass. Sez. II 2/10/2000 numero 13007 . Secondo il resistente, l'odierno ricorrente non avrebbe riportato testualmente il contenuto della costituzione di parte civile e, in particolare, la richiesta di risarcimento danni vera e propria, che così aveva formulato “il pregiudizio lamentato è costituito dalla condotta del Q. il quale . ha negoziato il titolo in questione provocando così la levata del protesto in capo al C. . Il danno patrimoniale è pari ad Euro 2.000, 00 . 11 danno morale, invece, è dovuto all'ingiusto disagio d'animo che la parte lesa ha patito in conseguenza dell'illecita levata del protesto . E continua Invece ? , l'azione civile odierna mira ad accertare la responsabilità dei convenuti nella elevazione del protesto e per l’effetto condannarli al pagamento di L. 40.000.000 a titolo di risarcimento danni conseguenti alla levata illegittima di protesto . L'oggetto è identico la fonte del danno, cioè, è sempre la medesima illegittima levata di protesto , cambia solo la quantificazione del danno che, paradossalmente, risulta assai minore in sede penale, pur alla presenza di un'ipotetica fattispecie di reato, estranea all'azione civile. La Corte d'Appello avrebbe colto, leggendo gli atti originari, l'identità delle due azioni, senza contare che l'ipotetica alterazione del titolo non è un fatto acquisito, cioè provato, come si vorrebbe far credere. 3.1.2. La censura è infondata. La regola di cui all'articolo 24 cod. proc. penumero previgente riprodotta sostanzialmente in quella di cui all'articolo 75, primo comma, del vigente , secondo cui il trasferimento dell'azione civile in sede penale comporta di diritto la rinuncia dell'attore al giudizio civile che di conseguenza va dichiarato estinto anche d'ufficio, postula che tra le due azioni vi sia identità di oggetto, in relazione alla causa petendi e al petitum e di soggetti, il cui accertamento - che prescinde e deve essere condotto indipendentemente dall'esame della fondatezza dell'azione esperita con la costituzione di parte civile - è rimesso all'apprezzamento di fatto del giudice di merito, come tale incensurabile in sede di legittimità ove non siano dedotti vizi di motivazione Cass. numero 6293 del 2003 5180/1983 3439/1981 . Del resto, l'interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all'ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l'identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite Cass. numero 17947/2206 2467/2006 . 3.1.3. Nel caso in esame, la valutazione compiuta dal giudice di merito circa l'identità delle due azioni è adeguatamente motivata sulla scorta del puntuale esame, condotto in parallelo dalla Corte territoriale sulla dichiarazione di costituzione di parte civile - ritenuta riguardare l'esercizio di azione risarcitoria avente come fatto costitutivo un comportamento illecito non limitato alla contraffazione dell'assegno, ma esteso alla previa messa all'incasso del titolo, tanto da provocarne il protesto illegittimo e quindi all'apposizione su di esso della falsa firma di girata, per evitare di essere ritenuto responsabile dell'illegittima levata del protesto - e sulla pretesa azionata nel presente processo, consistente non solo nella messa in circolazione del titolo, contrariamente alle pattuizioni intercorse tra le parti, m anche nella contraffazione del medesimo dopo il protesto. È stata, così, congruamente valutata la volontà della parte in relazione alle finalità dalla stessa perseguite, senza che risulti alterato il senso letterale, ma senza eh sia condizionante la formula adottata dalla parte stessa Cass. 22893/2008 . 3.2. Violazione e falsa applicazione degli articolo 307 - 99 - 112 c.p.c Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa i punti decisivi della controversia e precisamente in ordine a alla rilevata automatica estinzione del giudizio civile b alla mancata rilevazione della tardività dell'eccezione di estinzione del giudizio fatta valere dal Q. , c alla nullità dell'intero procedimento, in relazione all'articolo 360 numero 3-4-5 c.p.c. La sentenza impugnata risulterebbe errata ed illegittima, per palese violazione delle norme processuali in materia di estinzione del giudizio. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, l’estinzione del giudizio civile a seguito del trasferimento dell'azione civile nel processo penale non si produce automaticamente, ma in tanto opera in quanto l'effetto estintivo sia eccepito dalla parte ai sensi dell'articolo 307 c.p.c. Cass. 6/8/2007 17172 Cass. 1997 numero 8737 Cass. 1992 numero 4368 . Una volta ricondotta l'estinzione dell'azione civile conseguente al trasferimento di essa nel processo penale ex articolo 75 c.p.p. alla norma dell'articolo 307 c.p.c., risulta evidente che tale eccezione di parte deve essere formulata perentoriamente entro i termini previsti dal comma 4 della disposizione in questione ossia prima di ogni altra difesa. Se cosi non fosse, non avrebbe senso alcuno l’espressione utilizzata dal legislatore nella disposizione indicata, che testualmente recita l'estinzione opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni sua difesa . La Corte di Appello avrebbe disatteso ogni indagine in ordine al momento in cui sarebbe stata sollevata dalla parte interessata l'eccezione di estinzione, in danno del ricorrente, limitandosi ad affermare soltanto che essa è rilevabile anche d'ufficio. La Corte territoriale, pertanto, avrebbe errato nel condividere l'iter logico giuridico del giudice di primo grado, il quale aveva dichiarato l'improcedibilità della domanda del C. sulla base di un'eccezione preliminare formulata da controparte che non poteva trovare ingresso nel processo, essendo anche inammissibile, per essere stata formulata tardivamente, molto dopo il verificarsi del presunto evento estintivo risulta provato che il C. si è costituito parte civile con atto depositato all'udienza del 15/10/2002 mentre la difesa del Q.G. ha formulato l'eccezione suindicata solo ali udienza del 10/1/2005 e dunque tardivamente, posto che avrebbe potuto farla valere in giudizio già all'udienza del 11/5/2004, primo e unico momento utile successivo al presunto fatto estintivo per formulare l'occorrente difesa. Secondo il resistente, invece, la lettera dell'articolo 75 c.p.p. sarebbe chiara L'azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. L'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio . . L'articolo 307, invece, si intitola Estinzione del processo per inattività delle parti se l'azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito, quest'ultimo è altresì il momento ultimo, appunto, per la proposizione dell'eccezione. Inoltre, l'eccezione d'intempestività della deduzione avrebbe dovuto proporsi in primo grado. Controparte non solo trascurerebbe la chiara lettera delle norme indicate, ma aggiungerebbe anche che l'eccezione ex articolo 75 fu avanzata, in primo grado, tardivamente. Trascurerebbe, però, che detta eccezione di tardività comunque irricevibile mai fu eccepita in primo grado, ma solo in appello, quindi tardivamente. Quindi, lo stesso ricorrente sarebbe già incorso nello stesso errore che attribuisce al Q. l'eccezione di tardività avrebbe dovuto essere avanzata in primo grado, e non successivamente, in sede di conclusionale nel secondo e poi nel presente grado. 3.2.2. La censura è infondata. La Corte non ignora che la questione giuridica dedotta nel secondo motivo è stata, nel corso degli anni, oggetto di divergenti decisioni in sede di legittimità, con riguardo specialmente alla previsione di cui all'articolo 24 del previgente codice di rito penale. Da una parte, l'indirizzo che riconduceva l'ipotesi del trasferimento dell'azione civile in sede penale nell'ambito dell'articolo 307 c.p.c., si da richiedere, per l'operatività dell'estinzione del giudizio civile, l'eccezione della parte interessata in tal senso, oltre alla citata Cass. numero 6293/2003, in motivazione Cass. 8 settembre 1997, numero 8737 11 maggio 1995, numero 5167 9 aprile 1992, numero 4368 19 gennaio 1985, numero 158 26 gennaio 1982, numero 5209 dall'altra si contrappose l'orientamento secondo cui il trasferimento dell'azione civile nel processo penale a seguito della costituzione di parte civile, costituendo a norma dell'articolo 24 c.p.p. citato una rinuncia dell'attore all'azione civile, consentiva al giudice di questo, adito per le restituzioni e per il risarcimento dei danni derivati dal reato, di dichiarare, in analogia con il disposto dell'articolo 306, terzo comma, c.p.c., l'estinzione del processo stesso d'ufficio, anche in grado di appello così, Cass. 5656/1998 15 gennaio 1991, numero 295 27 febbraio 1987, numero 2104 26 febbraio 1986 30 gennaio 1982, numero 595 25 maggio 1981, numero 3439 15 giugno 1979, numero 3383 nonché, meno recentemente, 16 luglio 1964, numero 1913 . Tuttavia, non è dubitabile che, se si pone mente alla giurisprudenza formatasi in relazione alla previsione di cui all'articolo 75 c.p.p. del 1988, secondo cui l'esercizio della facoltà di trasferire l'azione civile nel processo penale - esercitabile fin quando non sia emessa sentenza di merito, anche non passata in giudicato - comporta la rinuncia agli atti del giudizio , l'orientamento prevalente è ormai nel senso che il fatto impeditivo alla prosecuzione del processo in sede civile, non solo opera di diritto, ma è rilevabile d'ufficio. 3.2.3. Si è, infatti, affermato e deve ribadirsi che il trasferimento dell'azione civile nel processo penale produce di diritto la norma dell'articolo 75 cit. è nel senso che l'esercizio della facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio la rinuncia dell'attore al giudizio civile, sicché il giudice civile deve anche d'ufficio dichiarare l'estinzione del processo, senza che sia necessaria l'accettazione della parte, alla sola condizione che dagli atti risulti l'avvenuto trasferimento dell'azione civile nel processo penale, sul fondamento, ben s'intende, dell'accertata identità alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni personae, petitum, causa petendi delle due azioni Cass. numero 7396 del 2003 . 3.2.4. L'affermazione era stata preceduta da altra motivata decisione che - pur inquadrando il fenomeno del trasferimento dell'azione civile nel processo penale non tanto nell'area dell'estinzione del processo civile, quanto in quella dei rapporti tra processi quello civile e quello penale , sicché esso andrebbe considerato non già un fatto che estingue il primo, quanto un fatto che ne impedisce il proseguimento, non potendo pendere davanti a giudici diversi più processi per la stessa causa e consentendo l'ordinamento alla parte di chiedere che, sulla domanda proposta al giudice civile, provveda ormai il giudice penale - ha precisato che si tratta di una preclusione che ha ragione d'essere dichiarata in quanto sussiste nel momento in cui è rappresentata al giudice, ma che non richiede eccezione di parte, perché attiene, come si è visto per la litispendenza, ad un interesse all'ordinato esercizio della giurisdizione che sovrasta il potere dispositivo delle parti Cass. numero 189 del 2001 , 11 principio è stato ripreso, sia pure incidentalmente, da un'altra decisione Cass. numero 18193 del 2007 - anch'essa orientata a ritenere che il trasferimento dell'azione risarcitoria dal processo civile a quello penale non si configuri come fatto estintivo del processo civile, bensì come fatto impeditivo della sua prosecuzione e che, comunque si qualifichi, la preclusione che ne deriva non possa essere dichiarata se al momento della declaratoria abbia già esaurito i suoi effetti - la quale ha affermato che tale declaratoria, peraltro, prescinde dall'eccezione di parte perché attiene all'interesse all'ordinato esercizio della giurisdizione che non è disponibile dalle parti . 3.2.5. A questo filone - almeno sul punto della rilevabilità ufficiosa della causa del trasferimento dell'azione civile in sede penale - è riconducibile anche un'altra meditata decisione Cass. numero 13946 del 2005, in motivazione , per la quale, a seguito dell'articolo 75 c.p.p. del 1988, norma secondo cui il trasferimento dell'azione civile in sede penale comporta rinuncia agli atti del giudizio e non produce più di diritto la rinuncia dell'attore al giudizio civile , la lettera della legge e la nuova disciplina in tema di rapporti tra azione civile e azione penale consentono, dunque, di affermare che l'articolo 75, 1^ comma, c.p.p. del 1988 contempla un'ipotesi di rinuncia agli atti del giudizio civile, con conseguente estinzione rilevabile di ufficio, senza che siano necessarie, ai fini della produzione dell'effetto estintivo, né una formale e separata rinuncia in sede civile, né l'accettazione della parti costituite. Questa decisione - che pure si pone in netto e motivato contrasto con l'orientamento riportato al punto precedente 3.2.4. , ritenendo di ricondurre l'indicato trasferimento all'area dei fenomeni estintivi del processo civile ed escludendo, comunque, la riviviscenza dello stesso in contrasto, quanto a ciò, con le più recenti decisioni in argomento oltre alla citata Cass. 18193/2007, si veda Cass. numero 15995/2011 - per quanto qui rileva, ha, invece, affermato che il maggior tecnicismo legislativo abbia, con la riforma del 1989, disegnato un complesso sistema di rapporti tra procedimenti che può così sintetizzarsi 1 la proposizione dell'azione civile dinanzi al giudice civile, se trasferita nel processo penale il che risulta possibile fino a quando non sia stata pronunciata sentenza civile di merito anche non definitiva comporta rinuncia agli atti del giudizio civile 2 la rinuncia agli atti del giudizio comporta, ipso ture, l'estinzione del processo civile, senza che sia necessaria alcuna attività ulteriore dell'attore o della controparte Corte cost. 211/2002 3 La stessa azione ed il medesimo processo proseguono in sede penale ancora Corte Cost. 211/2002 , come confermato dal disposto dell'articolo 78 c.p.p. che, a differenza dell'articolo 94 vecchio codice, esige la strutturazione dell'atto di costituzione di parte civile in termini di vero e proprio libello introduttivo dell'azione modellato sul disposto di cui all'articolo 163 c.p.c., a pena di inammissibilità . . 3.2.6. Tale articolato indirizzo - che, pur muovendo, nelle sue espressioni, da divergente inquadramento del fenomeno traslativo in esame, concorda sulla rilevabilità d'ufficio della causa del trasferimento e si fonda anche sul rilievo del Giudice delle Leggi circa l'ininfluenza - ai fini della ragionevolezza dell'articolo 75 c.p.p. e della sua compatibilità con l'articolo 24 Cost. - della mancata previsione che il trasferimento dell'azione civile nel processo penale avvenga solo se vi è l'accettazione delle parti costituite v. Corte cost., ord. numero 211/2002, cit. - induce a ritenere superato il divergente orientamento, riproposto negli ultimi anni da una pronuncia della Corte che si limita, peraltro, a riproporre puramente e semplicemente il principio secondo cui l'estinzione del giudizio, derivante dal trasferimento dell'azione civile nel processo penale, non si produrrebbe automaticamente, ma in tanto opererebbe in quanto l'effetto estintivo sia eccepito ai sensi dell'articolo 307 c.p.c. Cass. numero 17172/2007 . Ne deriva l'infondatezza della censura di cui al secondo motivo. 3.3. Violazione e falsa applicazione degli articolo 24 Cost. - articolo 354 comma 2 c.p.c. - 112 c.p.c Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia e precisamente in ordine a alla rilevata correttezza della statuizione di rigetto della domanda contenuta nel dispositivo della sentenza impugnata e alla conseguente integrazione della motivazione b alla mancata rimessione del giudizio al primo giudice in relazione all'articolo 360 numero 3-4-5. La Corte d'Appello, dopo aver evidenziato in sentenza che il Tribunale di Lecce aveva erroneamente dichiarato improseguibile pure l'azione proposta contro le altre parti del giudizio Camera di Commercio, A. ha deciso ugualmente nel merito, integrando la motivazione apodittica di rigetto del primo giudice, violando le norme di diritto sopraindicate, in danno del ricorrente. Secondo costante giurisprudenza, ai sensi dell'articolo 354 comma secondo c.p.c., a norma del quale il giudice di appello deve rimettere la causa al primo giudice in caso di riforma della sentenza che ha pronunciato l'estinzione del processo a norma e nelle forme di cui all'articolo 308 stesso codice trova applicazione anche nell'ipotesi di giudizio monocratico in primo grado, in cui pur non sussiste la reclamabilità al collegio dei provvedimenti del giudice istruttore dichiarativi dell'estinzione del giudizio, sicché la remissione al primo giudice da parte di quello di appello è consentita anche quando la dichiarazione di estinzione sia contenuta in un provvedimento del giudice monocratico Cass. 20/07/2005 numero 15253 - Cass. 1/12/1999 numero 1342 - Cass. 21/2/1992 numero 2151 . Tale orientamento della Suprema Corte risulta coerente con il sistema e non può non essere condiviso anche alla luce della fattispecie, caratterizzata da una sentenza del Tribunale di Lecce palesemente errata e viziata, in quanto aveva dichiarato l'estinzione dell'intero giudizio, anche per le altre parti, rispetto alle quali il C. non si è mai costituito parte civile, né mai avrebbe potuto costituirsi. La corte territoriale avrebbe anche errato, ad integrare la motivazione di rigetto contenuta nel dispositivo della sentenza di primo grado, ritenendola comunque corretta. Tale dispositivo, con cui il Tribunale rigetta la domanda, siccome improcedibile , sarebbe una statuizione abnorme, non contenendo il rigetto della domanda nel merito per infondatezza, ma collegando il rigetto solo all’improcedibilità erroneamente dichiarata dell'intero giudizio nei confronti di tutte le parti, con la conseguenza che totalmente errata risulterebbe la sentenza del primo giudice ed in quanto tale non suscettibile d'integrazione della motivazione da parte del Giudice di Appello. Sul punto la pronuncia della Corte di Appello risulterebbe apodittica e insufficiente e non calata in un discorso motivazionale logico e adeguato, giuridicamente e processualmente corretto. 3.3.1. In ordine al presente terzo motivo, che prospetta un vizio processuale, occorre osservare quanto segue. Come emerge dalla premessa in fatto sopra riportata, la decisione di primo grado venne assunta dal Tribunale adito in composizione monocratica, all'esito della discussione, previa precisazione delle conclusioni, con la sentenza che definì quel grado di giudizio. Con il loro atto di gravame l'attore ne chiese la riforma rappresentandone all'organo superiore l'erroneità perché il Q. si era limitato a chiedere l'estinzione solo del giudizio promosso nei suoi confronti e non delle altre parti. La Corte territoriale ha respinto integralmente il gravame, correttamente dichiarando l'inesistenza della causa d'improseguibiltà nei confronti delle altre due controparti, rispetto alle quali confermava il dispositivo di rigetto, integrando la relativa motivazione, previo esame delle risultanze processuali, senza ricorrere alla rimessione al precedente grado di giudizio. Secondo il disposto dell'articolo 354 c.p.c., comma 2, il giudice d'appello rimette la causa al primo giudice anche nel caso di riforma della sentenza che ha pronunciato sull'estinzione del processo a norma e nelle forme dell'articolo 308 c.p.c Quest'ultima norma prevede al comma 2 che il collegio, in sede di reclamo proposto ai sensi dell'articolo 178 c.p.c., avverso l'ordinanza d'estinzione assunta dal giudice istruttore, provvede con sentenza se respinge il reclamo e con ordinanza non impugnabile se l'accoglie. Dal testo dell'articolo 178, comma 2, applicabile in questo processo, si desume che è soggetta a reclamo l'ordinanza del giudice istruttore purché non operi come giudice monocratico. In quest'ultimo caso, il provvedimento definisce il giudizio e siccome determina la chiusura del processo in base alla decisione di una questione pregiudiziale attinente al processo articolo 279 cod. proc. civ., comma 2, numero 2 , ha natura di sentenza, quale che sia la forma adottata. Secondo esegesi che si condivide e s'intende ora ribadire cfr. Cass. nnumero 2151/1992, 15253/2005, 14592/2007, 18242/2008 , esclusa l'esperibilità del reclamo ai sensi dell'articolo 308 c.p.c., la parte che si ritiene pregiudicata da tale ultimo provvedimento può impugnarlo con gli ordinari mezzi d'impugnazione Cass. 27 giugno 2007 nm 14592 17 maggio 2007 numero 11434 18 gennaio 2005 numero 950 28 aprile 2004 numero 8092 , e, nell'alveo di tale procedimento, è ammessa a formulare l'istanza di rimessione al primo giudice. L'ipotesi rientra, infatti, nell'assetto normativo risultante dal combinato disposto delle disposizioni richiamate, in quanto il provvedimento dichiarativo dell'estinzione, non reclamabile sol perché emesso da giudice monocratico, rientra comunque nell'archetipo tratteggiato dall'articolo 308 c.p.c 3.3.2. Diversamente accade nel caso, qual è quello di specie, in cui la decisione sia stata assunta dal tribunale in composizione monocratica ma dopo che la causa, precisate le conclusioni, sia stata trattenuta per la decisione ai sensi dell'articolo 189 c.p.c. La sentenza che, pronunciando l'estinzione, definisce il giudizio chiude quella fase processuale ai sensi dell'articolo 307 c.p.c., e quindi non è omologabile al provvedimento adottato nel caso contemplato dall'articolo 308 c.p.c., in cui il tribunale, in composizione unica, prende atto della causa d'estinzione e pronuncia relativa ordinanza v. Cass. numero 1434/2008, cfr. Cass. numero 4470/1995 . Non può perciò mutuarne la disciplina né in via estensiva né in via analogica. Il disposto dell'articolo 354 c.p.c., elenca tassativamente i casi di rimessione al precedente grado di giudizio, che rappresentano numerus clausus , ed è dunque norma di stretta interpretazione. Il corollario comporta che, nel caso in discussione, la rimessione degli atti al primo giudice non poteva essere disposta e il giudice di appello, investito dell'impugnazione avverso la sentenza, ritenendola illegittima, annullata la pronuncia d'estinzione, ben poteva e doveva trattenere la causa per la trattazione del merito. Devoluta alla cognizione del giudice superiore la questione di rito, a loro avviso erroneamente risolta nella sentenza appellata, come si è riferito, gli appellanti comunque manifestarono ritualmente il loro interesse alla definizione delle questioni riguardanti la vicenda sostanziale controversa, secondo il modello tipico dell'impugnazione, come emerge dalle conclusioni riportate nell'impugnata sentenza. Chiusa la fase rescindente con la correzione e l'integrazione della motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla dichiarata improseguibiltà del processo nei confronti delle parti diverse dal Q. , la Corte d'appello ha correttamente deciso la controversia nel merito. Di qui l'insussistenza dei vizi denunciati, dato che la sentenza impugnata si rivela in armonia con il principio secondo cui In tema di estinzione del processo quando il giudice istruttore nel corso del giudizio a cognizione piena opera come giudice monocratico, il provvedimento con cui dichiara che il processo si è estinto non è soggetto a reclamo e, siccome determina la chiusura del processo in base alla decisione di una questione pregiudiziale attinente al processo, ha natura di sentenza, anche se emesso in forma di ordinanza, impugnabile con gli ordinari mezzi di impugnazione. Ne consegue che la parte è ammessa a formulare al giudice di appello istanza di rimessione al primo giudice, ai sensi dell'articolo 354, secondo comma, cod. proc. civ. ravvivandosi l'ipotesi di cui all'articolo 308, secondo comma, cod. proc. civ Diversamente deve ritenersi quando l'estinzione sia stata deliberata dal tribunale in composizione monocratica solo dopo che la causa, precisate le conclusioni, sia stata trattenuta in decisione, ai sensi dell'articolo 189 cod. proc. civ. in tal caso, il giudice di appello ove non la ritenga sussistente, non può rimettere la causa al giudice di primo grado -non ricorrendo l'ipotesi contemplata dall'articolo 308, secondo comma, cod. proc. civ., richiamato dall'articolo 354 secondo comma, cod. proc. civ. ma deve trattenere la causa e deciderla nel merito Cass. numero 22917/2010 . 3.IV. Violazione e falsa applicazione degli ari 115 - 116 c.p.c. - 2967 cc Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa i punti decisivi della controversia e precisamente in ordine a alla valutazione delle prove b alla richiamata irrilevanza dell'escussione del teste S D.B. in relazione all'articolo 360 c.p.c. numero 3-5. La sentenza impugnata risulterebbe chiaramente errata e illegittima, avendo la Corte territoriale violato le norme e i principi di diritto in materia di valutazione delle prove. Affermare che non potrebbe giungersi all'accertamento della responsabilità dell'A. attraverso l'escussione dell'unico teste non sentito in primo grado, in quanto i capitoli di prova che lo stesso dovrebbe confermare sono tutti diretti ad imputare l'illegittima levata del protesto al Q. e non all'A. costituisce dichiarazione apodittica non sorretta da una motivazione adeguata e sufficiente e non si presenterebbe immune da vizi logici ed errori di diritto. Vero che il giudice,ai sensi dell'articolo 116 c.p.c., deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, ma è altrettanto vero che tale norma non esime il giudice dal valutare le risultanze probatorie effettivamente emerse nel corso dell'istruttoria, soprattutto quando la prova è stata già ammessa in quanto rilevante ai fini del decidere dal primo giudice. L'escussione del teste S D.B. , persona questa vicina al Q. , avrebbe potuto chiarire i rapporti tra le parti e in particolare con l'A. , nonché i fatti che hanno portato alla levata del protesto illegittimo in danno del ricorrente. La Corte di Cassazione più volte ha ribadito che viola l'articolo 116 c.p.c. il giudice, il quale dopo comunque che ci sia stata un provvedimento giudiziale ammissivo dei mezzi di prova, pervenga immediatamente alla conclusione negativa di rilevanza delle risultanze della prova, poiché tale giudizio si risolve in un'affermazione apodittica, non preceduta da alcuna sostanziale valutazione della prova medesima Cass. 14/7/76 numero 2724 . Il resistente deduce che l'avversa censura contiene eccezioni inammissibili il ricorrente vorrebbe introdurre un'ulteriore disamina nelle questioni di merito che non possono interessare il Giudice della legittimità. Ribadisce che il ricorrente chiede ancora una volta, nei confronti del Q. . 1. all'autorità giudiziaria civile 1 grado . di accertarne la responsabilità nell'elevazione del protesto, con conseguente condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla levata di protesto v. atto di citazione , quantificati in ben Euro. 20.658,28 2. All'autorità penale chiede la stessa cosa risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'illecita levata di protesto quantificati, questa volta, in Euro.5.000,00, v. atto di costituzione di parte civile ove si legge ancora, testualmente Il pregiudizio lamentato è costituito dalla condotta del Q. il quale ha negoziato il titolo in questione provocando così la levata di protesto in capo al C. . . Il C. insiste due volte nel chiedere il ristoro dei danni provocati dalla presunta illecita levata di protesto. Sarebbe palese la duplicazione della domanda di risarcimento Si fa notare, poi, che il Q. è stato assolto con formula piena, in sede penale, per non aver commesso il fatto. 3.4.1. Neanche questa censura coglie nel segno. Infatti, si deve ribadire che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione in appello di una prova testimoniale ha l'onere di indicare specificamente le circostanze formanti oggetto della prova medesima, affinché la Corte di Cassazione possa esercitare il controllo circa il carattere decisivo dei fatti che si assumono trascurati dal giudice di merito infatti, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere tale controllo sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, senza dover colmare le eventuali lacune con indagini integrative parimenti è necessario che il ricorrente alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire ex actis alla Corte di verificare la veridicità dell'asserzione Cass. numero 9748/2010 10357/2005 19138/2004 11895/2003 v. anche Cass. numero 19715/2010, ord. 5479/2006 . Nella specie, si rivela inammissibile il motivo per difetto di autosufficienza della relativa censura, essendosi il ricorrente limitato a indicare il teste e genericamente i temi sui quali doveva vertere la dedotta prova testimoniale, non consentendo così a questa Corte Cass. di verificare, sulla base del solo ricorso, la correttezza del giudizio di irrilevanza espresso su di essa dal giudice a quo. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza tra le parti costituite nulla per le medesime nei rapporti con quelle che non hanno svolto attività difensiva. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Q. , delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.800,00, di cui Euro 1.600,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.