Corona era a capo di un’attività economica organizzata avente ad oggetto la vendita di servizi fotografici non c’è nessuna finalità giornalistica nel chiedere soldi per non pubblicare delle foto compromettenti. La deroga alla necessità del consenso del titolare per pubblicarne dati sensibili tutela l’interesse pubblico all’informazione. Un profitto non correlato alla soddisfazione di tale interesse è senz’altro ingiusto.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 10995, depositata l’8 marzo 2013. I giornali e le riviste di gossip sono sempre alla ricerca di notizie scandalistiche o comunque relative a personaggi pubblici. I calciatori sono spesso protagonisti delle cronache mondane. Lo poteva essere anche in questo caso David Trezeguet, noto attaccante franco-argentino, che ha fatto le fortune della nazionale francese e della Juventus e che ora gioca nel campionato argentino, al River Plate. La richiesta estorsiva. All’epoca dei fatti era sposato, con un figlio, e stava affrontando una crisi coniugale. Viene fotografato di notte fuori da una discoteca con una giovane ragazza, dalla casa della quale viene immortalato uscire la mattina dopo. Il fotografo è un collaboratore di Fabrizio Corona, che, ricevute le foto, chiede al calciatore 25mila euro per non pubblicarle. Il giocatore paga in contanti, ma poi il caso salta fuori, Corona e il fotografo vengono condannati per trattamento illecito di dati sensibili, ex articolo 167 d.lgs. numero 196/2003, Codice della Privacy, reato assorbito, per Corona, dal più grave delitto di estorsione, ex articolo 629 c.p Ma le fotografie di un personaggio noto non sono pubblicabili? Corona ricorre per cassazione. Sostiene che le fotografie sono avvenute nella pubblica via e che, riguardando un personaggio pubblico, sono pubblicabili e quindi commerciabili, da cui il profitto sarebbe da considerarsi giusto. Sostiene poi che essendo le fotografie coperte dal diritto d’autore, oggetto del contratto non è stata la rinuncia alla pubblicazione loro pubblicazione, ma la cessione dei diritti sulle stesse. Il trattamento dati senza consenso deve avere esclusive finalità giornalistiche. La Corte rileva che sì le immagini riguardano un personaggio pubblico ritratto in una pubblica via e che quindi ci sarebbero gli estremi per applicare l’articolo 136, Codice della Privacy, che prevede che il trattamento dei dati sensibili effettuato nell’esercizio della professione giornalistica possa avvenire senza il consenso dell’interessato, necessario nella generalità dei casi. Ma sottolinea che tale trattamento deve essere effettuato «per l’esclusivo perseguimento» delle finalità giornalistiche. Corona ha chiesto i soldi direttamente a Trezeguet. Nel caso specifico, non solo Corona ed il fotografo non sono né giornalisti né pubblicisti, ma non hanno nemmeno operato per finalità giornalistiche. Non risulta infatti nessuna offerta ad alcun giornale di cessione delle foto per la pubblicazione. Corona si è rivolto direttamente al calciatore. Peraltro, siamo in presenza «di uno schema comportamentale collaudato che, per ammissione dello stesso imputato», era finalizzato ad instaurare trattative «aventi ad oggetto l’offerta in vendita di fotografie ritraenti persone note». Non rileva così in alcun modo il convincimento soggettivo di non commettere illecito penale, ma di concludere un semplice affare commerciale, per escludere il dolo. La minaccia nell’estorsione. In tema di estorsione la Corte ricorda che la «minaccia diviene contra ius quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, sia fatta non già per esercitare un diritto ma con il proposito di coartare la volontà di altri per ottenere scopi non consentiti o comunque risultati non dovuti rispetto a quelli conseguibili attraverso l’esercizio del diritto, che viene appunto strumentalizzato per scopi diversi da quelli per cui esso è riconosciuto e tutelato». Per la configurazione del reato il giudice ha correttamente valutato i rapporti tra le parti ed il contesto in cui si è sviluppata l’azione. Per questi motivi è da considerarsi ingiusto il profitto conseguito. La Corte respinge il ricorso e conferma la condanna a 5 anni di reclusione.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 18 gennaio – 8 marzo 2013, numero 10995 Presidente Cosentino – Relatore Fiandanese