L'utilizzo del termine pregiudicato può costituire diffamazione anche se indirizzato ad un soggetto già condannato con sentenza definitiva

Si deve prendere in considerazione non soltanto il significato letterale della frase pronunciata dall'agente, ma soprattutto, su un piano di offensività, l'effetto materiale che tale comportamento ha prodotto sulla reputazione della vittima.

Con la pronuncia numero 475, depositata l’8 gennaio 2015, la sez. V della Cassazione torna ad esaminare i confini della libertà di espressione e, per altro verso, il possibile effetto esimente delle sue declinazioni in materia di diffamazione, tema da sempre oggetto di notevole contenzioso incrementato esponenzialmente dai nuovi spazi di comunicazione offerti dalla Rete . Il caso. Il giudizio a quo nasce come sviluppo processuale di una vicenda nota alle cronache mondane, piuttosto risalente, nell'ambito del quale si è generato un acceso contrasto tra i difensori delle parti. Più in dettaglio, durante il processo civile radicato per quantificare i danni patiti da Ilona Staller per la diffamazione a mezzo stampa commessa, nel corso di un'intervista, dal legale dell'ex marito condannato per tale condotta con sentenza passata in giudicato , l'imputato – difensore di altra parte nella medesima causa – avrebbe offeso la reputazione di un suo collega, definendolo, comunicando con più persone, un «pregiudicato». La sentenza con la quale il gdp di Roma l'aveva condannato, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di € 1.000 di multa, al risarcimento dei danni ed al rimborso delle spese in favore della costituita parte civile, era stata confermata, in sede d'appello, dal Tribunale capitolino. L'impugnazione promossa dall'imputato – con rinuncia alla prescrizione – riposava su due diversi ordini di censure della seconda, di minore importanza, si dirà infra, con riferimento al provvedimento assunto dalla Corte quanto alla prima, con essa si lamentava violazione degli articolo 595, 51 c.p. e 21 Cost., sul presupposto, da un lato, della natura tecnica del termine pregiudicato utilizzato dall'agente, che, nell'occasione, risultava funzionale ad assolvere scopi defensionali e, dall'altro, dell'intervento dell'esimente del diritto di critica. Dopo aver sinteticamente riassunto lo svolgimento delle fasi di merito e le argomentazioni del ricorrente, la decisione s'addentra nei profili giuridici, per arrivare poi all'integrale rigetto del ricorso. Lo fa, non prima di un'essenziale premessa volta a chiarire i fatti, per come emergono incontestati dal compendio probatorio. In particolare, si ribadisce come le Corti di merito abbiano correttamente reputato le frasi proferite dall'agente non puri argomenti tecnici finalizzati a disquisire sul quantum del profilo risarcitorio – d'altronde mai avrebbero potuto esserlo, posto che la lesione riguardava l'immagine della Staller e non del suo difensore – ma semplici conseguenze di una reazione scomposta del professionista dinanzi all'esito di una delle udienze, per lui poco soddisfacente. In specie, costui avrebbe commentato la concessione di un rinvio da parte del Giudice Istruttore rivolgendosi alla collega ed affermando «Sei di una crassa ignoranza». Alla replica, con la quale l'offesa affermava di essere orgogliosa della propria ignoranza, egli soggiungeva « e questi sono i risultati, il titolare del tuo studio è un pregiudicato». Il termine ed il suo significato. Ed infatti, le modalità con le quali il vocabolo è stato adoperato assumono, nel caso di specie, rilevanza decisiva. L'attributo, pur lato sensu tecnico e corrispondente ad una condizione giudiziaria reale – il titolare dello studio in questione aveva effettivamente riportato, come si diceva, condanna definitiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa – è stato utilizzato, ad avviso della Suprema Corte, per «imporre un marchio di stigmatizzazione generale» che va ben oltre il riferimento ad una circostanza realmente accaduta, esprimendo un significato deteriore «trasgressore, soggetto a giusta sanzione» e, per di più, estendendo la propalazione lesiva anche ai certamente incolpevoli collaboratori dello studio professionale coinvolto. In altre parole, dunque, si prende in considerazione non soltanto il significato letterale della frase pronunciata dall'agente, ma soprattutto, su un piano di offensività, l'effetto materiale che tale comportamento ha prodotto sulla reputazione della vittima. Il diritto di critica. Quanto all'invocata scriminante, poi, quest'ultima non può trovare applicazione, in ragione della necessità di bilanciare l'importante prerogativa costituzionalmente tutelata con la clausola generale di protezione apprestata dal c.d. degli articolo 2 e 3 Cost., per «evitare che il cittadino che si trovi nella condizione personale e sociale di persona processata e/o condannata, divenga in maniera indenne, perenne bersaglio del discredito dei consociati». Il Collegio riafferma, in questo senso, l'esigenza di assicurare una residuale tutela dell'immagine sociale anche a chi sia gravato da precedenti giudiziari, non potendo legittimare una sorta di perenne strumento di offesa – nei casi in cui le specifiche modalità espressive così lo qualifichino – nei confronti di cittadini che, così, sarebbero illegittimamente discriminati. La condanna alle spese. Viene rigettato, infine, anche il secondo motivo, con il quale si contestava violazione di legge consistente nella liquidazione, a titolo di refusione delle spese del grado di appello, di una somma complessiva pari a quasi il triplo dei massimi tariffari fissati nelle apposite disposizioni ministeriali. Sul punto, la motivazione si limita a sancire come si tratti di questione che esorbita il sindacato di legittimità, statuendo altresì, rispetto all'unico profilo affrontabile, la congruità e completezza della giustificazione addotta, dal Giudice d'Appello, su questo aspetto. Conclusioni. L'arresto in esame si colloca in un consolidato solco esegetico, presentandosi corretto nei presupposti dogmatici, condivisibile nel risultato processuale ed apprezzabile nell'approccio pragmatico. Senza troppe dissertazioni teoretiche, che si sarebbero rivelate inutili e ridondanti, si concentra sul punto più significativo l'effettiva lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice, oggettivamente intaccato non tanto dalla formula lessicale scelta, quanto dai connotati che le si sono attribuiti, usandola in quella forma ed in quell'ambiente. Riprende, dunque, una linea interpretativa già espressa più volte riguardo condotte realizzate con il mezzo della stampa, che valorizza l'equilibrio formale, consistente nella terminologia, nell'esposizione e, non di meno, nella presentazione grafica dell'elaborato cfr. Corte d'Appello di Milano, numero 2390/2009 e, per l'articolata esposizione dei parametri di valutazione della liceità dell'espressione del diritto di cronaca, Cass. numero 5259/1984 . Il profilo viene compiutamente analizzato, bilanciando l'oggetto giuridico con l'altra libertà in campo quella di espressione ed optando per la prevalenza in concreto della tutela della reputazione, in una logica applicativa che ben si coniuga con la concretezza propria della materia penale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 luglio 2014 – 8 gennaio 2015, numero 475 Presidente Marasca – Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 9.12.2011, il tribunale di Roma ha confermato la sentenza 19.7.2010 del giudice di pace della stessa sede, con la quale l'avvocato G.S. è stato condannato,previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di Euro 1.000 di multa, al risarcimento dei danni,liquidati in Euro 8.000, e al rimborso delle spese in favore della parte civile, in quanto ritenuto colpevole del reato di diffamazione in danno del collega Gu.Ma. , per aver offeso, comunicando con più persone, la sua reputazione, pronunciando, il giorno 11.12.2002, le seguenti parole L'avvocato Gu.Ma. è un pregiudicato, il titolare del vostro studio è un pregiudicato . Nell'interesse dell'imputato - che ha rinunciato alla prescrizione - è stato presentato ricorso per i seguenti motivi 1. violazione di legge,in riferimento agli articolo 595, 51 c.p., 21 Cost. le due sentenze di merito non hanno dato il necessario rilievo all'antecedente dell'avvenimento dell'11.12.02, ammesso pacificamente dal G. l'avv. Gu. aveva riportato,con sentenza irrevocabile, una condanna penale e una contestuale condanna generica al risarcimento dei danni, per il reato di diffamazione a mezzo stampa, in danno di S.I. , commesso nel corso di un'intervista, rilasciata in qualità di difensore dell'ex marito K.J. . La sentenza di condanna è stata riportata da organi di stampa ed è stata massimata e commentata da numerose riviste giuridiche. A questa sentenza penale era direttamente collegato il procedimento civile, avente ad oggetto la richiesta di liquidazione dei danni e nel corso del suo svolgimento sono state pronunciate le affermazioni incriminate. In questo processo civile vi era uno stretto nesso eziologico tra la natura del soggetto penalmente condannato e l'entità della somma da liquidare a titolo di risarcimento del danno. Ne consegue che le espressioni, dovendo essere necessariamente collocate e giudicate nel contesto dello svolgimento di questo processo civile, sono da essere considerate vere e,quindi, meritevoli dell'esimente di cui all’articolo 596 c.p., che è stata esclusa non correttamente dal giudice di appello. La norma prevede che la prova della verità è sempre ammessa se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o s'inizia un procedimento penale Nel caso di specie,quindi, il termine pregiudicato è pienamente giustificato dalla condanna penale definitiva, riportata dall'attuale parte civile. Il ricorrente invoca anche l'esimente dell'esercizio del diritto, a norma degli articolo 21 Cost. e 51 c.p. esiste il diritto di manifestare il propri pensiero in forma di critica e/o di asserzione di verità, senza distinzione di appartenenza ad una qualsiasi categoria, in presenza dei requisiti della verità del fatto, dell'interesse pubblico alla sua conoscenza e della continenza formale. La lettura della norma costituzionale rende chiaro che questo diritto spetta a chiunque , senza che possano prospettarsi classi di cittadini privilegiati,quali i giornalisti, mentre ai cittadini sia fatto obbligo di tacere la verità a pena di sanzione penale. Nel caso in esame esiste la verità del fatto, il termine usato pregiudicato ha natura tecnica e ha forma civile ed è pertinente, in quanto funzionale ad ottenere la liquidazione del danno, che aveva come presupposto il giudizio negativo dei giudici nei confronti di chi era stato ritenuto responsabile di diffamazione. La reiterazione del termine è dipesa dallo svolgimento della polemica in aula e non fa venir meno la base di verità e la sua pertinenza al giudizio civile in corso 2. violazione di legge in riferimento alla rifusione delle spese del grado di appello la materia delle spese è attualmente regolata dalle tariffe forensi, in base al decreto del ministero della Giustizia numero 127 dell'8.4 2004, i cui massimi tariffari sono stati superati dal giudice del tribunale quasi del triplo. Il ricorso non merita accoglimento. Il giudice di appello ha ritenuto di confermare - sulla base di numerose testimonianze e delle dichiarazioni dello stesso imputato - la ricostruzione del comportamento del G. , che ha pronunciato le seguenti frasi l'avvocato Gu. è un pregiudicato il titolare del vostro studio è un pregiudicato . Tali affermazioni, secondo un'articolata e razionale valutazione del tribunale, sono state ritenute non mera argomentazione tecnica riferita alla quantificazione del danno oggetto della causa civile patrocinata dall'avvocato G. , nell'ambito di esposizioni di dati tecnici finalizzati a stabilire se e quanto fosse risarcibile il danno che non riguardava, peraltro, il Gu. , ma altra persona offesa, S.I. . Si trattò invece, secondo un'incontestata scansione fattuale, di una reazione all'accoglimento,da parte del giudice, della richiesta, formulata dall'avv. R. moglie del Gu. e componente del medesimo studio professionale di rinviare il processo. Questo rinvio è stato commentato dal G. con la frase Sei di una crassa ignoranza rivolta alla collega, la quale ha risposto di essere orgogliosa della propria ignoranza. È lo stesso avvocato G. ad ammettere di essersi così rivolto alla R. e questi sono i risultati, il titolare del tuo studio è un pregiudicato . Secondo una valutazione pienamente lineare, sul piano logico e sul piano del senso comune, il tribunale ha ritenuto che le frasi furono quindi pronunciate a scopo puramente denigratorio, per evidenziare la pochezza giuridica e umana della collega R. quale componente di una studio professionale diretto dal pregiudicato Gu. . Di qui la ineludibile conseguenza logico-giuridica la rievocazione del passato giudiziario del difensore della controparte non è assolutamente inquadrabile nel tessuto del procedimento civile in corso e nel rapporto dialettico tra le parti, intrecciati e sviluppatisi nel corso dell'udienza 11.12.02 che peraltro si era ormai conclusa . Il ripetuto uso del termine pregiudicato è stato finalizzato a esprimerne il suo significato deteriore trasgressore, soggetto a giusta sanzione , non solo indirizzandolo al colpevole Gu. , ma estendendone la forza denigratoria, sul generale piano deontologico e professionale, al medesimo e a tutti i componenti dello studio da lui diretto. Il termine Realmente corrispondente al singolo capitolo della biografia giudiziaria del convenuto, è stato usato per imporre un marchio di stigmatizzazione generale non solo a quest'ultimo, come cittadino e come professionista, ma a tutto il metodo lavorativo dell'organizzazione professionale da lui diretta. Merita particolare attenzione il motivo di ricorso che propone una valutazione alternativa di tale condotta, in chiave non solo di astratta tecnica difensionale, ma anche di esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero in forma di critica e/o di asserzione di verità. Nel caso in esame tale diritto è stato esercitato mediante l’asserzione di un fatto vero condanna penale , rievocato con un termine tecnico, non qualificabile come mero epiteto, in quanto richiamante la reale natura di condannato. Il riconoscimento a questo diritto di rimuovere l'antigiuridicità di lesioni ai diritti fondamentali della persona va comunque contemperato con l'esigenza,sancita dagli articolo 2 e 3 della Costituzione, di evitare che il cittadino che si trovi nella condizione personale e sociale di persona processata e/o condannata divenga, in maniera indenne, perenne bersaglio del discredito dei consociati. Il richiamo all'attenzione dei cittadini di un evento screditante quale è una condanna penale deve razionalmente essere compiuto in un contesto che consenta alla rievocazione di intervenire direttamente nella sincronia degli eventi in corso e di suscitare necessaria e pertinente reazione nei destinatari. Razionalmente il tribunale non ha ritento che nel quadro storico, costituito dall'udienza 11.12.2002, svoltasi e conclusasi nell'aula del tribunale civile di Roma, abbia avuto necessaria e pertinente rilevanza nelle persone presenti la rievocazione della condanna riportata dal dirigente della studio professionale, un cui componente aveva ottenuto il rinvio del procedimento in corso. Non merita accoglimento anche il motivo attinente alla liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile le disposizioni di condanna alle spese processuali in favore della parte civile sono sottratte al sindacato di legittimità per l'aspetto della valutazione discrezionale riguardo ai parametri di commisurazione della somma dovuta. Nel caso in esame, va rilevato che il tribunale ha rispettato il dovere di fornire adeguata giustificazione della determinazione delle spese e della loro relativa congruità, richiamando il numero e l'importanza delle questioni, nonché la tipologia ed entità delle prestazioni difensive, in relazione al danno al decoro e all'immagine della persona offesa, diffamata nel proprio ambiente di lavoro, davanti ai suoi collaboratori e colleghi, in un'aula di udienza civile. Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al rimborso di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate in Euro 800,00. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso di quelle sostenute dalla parte civile liquidate in complessivi Euro 800,00.