Respinta la richiesta di un’università privata di vedersi versati quasi 5mila euro da un ex studente. Secondaria la mancata comunicazione della sospensione dell’attività didattica da parte dell’allievo. Ciò che conta è che la condizione del contratto che prevedeva la rinnovazione automatica dell’iscrizione all’anno accademico successivo non è stata specificamente firmata dal cliente.
Nessun rinnovo automatico – se la relativa clausola non è specificamente sottoscritta – dell’iscrizione all’Università privata. Legittima, di conseguenza, la scelta – anche se non comunicata – dello studente di sospendere il proprio percorso di studi, mentre l’ateneo non ha alcuna ragione di pretendere il pagamento di rette riguardanti anni successivi a quello ultimo di frequentazione effettiva Cassazione, ordinanza numero 15397/19, sez. sez. VI Civile - 2, depositata oggi . Rinnovo. Sul tavolo quasi 5mila euro, cioè la somma richiesta da una Università privata come pagamento delle rette per gli anni accademici 2011-2012 e 2012-2013, nonostante la decisione del cliente-studente di optare per la «sospensione dell’attività didattica». Prima il Giudice di Pace e poi i Giudici del Tribunale ritengono illegittima la pretesa avanzata dall’ateneo. Decisiva, in questa ottica, la constatazione della «nullità per mancata specifica sottoscrizione» della «condizione», indicata nel «modulo predisposto per l’iscrizione», in base alla quale «era prevista la rinnovazione automatica dell’iscrizione all’anno accademico successivo». Tale valutazione è confermata anche dai magistrati della Cassazione, i quali, replicando ai legali dell’Università, tengono a ribadire che «la mera dichiarazione di “aver letto e approvato quanto sopra riportato” non è, in ogni caso, idonea a far venire meno la violazione» prevista dall’articolo 1341 del Codice Civile, secondo cui “non hanno effetto, se non specificamente approvate per iscritto, le condizioni” che “sanciscono a carico dell’altro contraente tacita proroga o rinnovazione del contratto”. Non decisiva, invece, la «mancata prova» relativa alla «comunicazione» dello studente della «sospensione dell’attività didattica».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 16 gennaio – 6 giugno, numero 15397 Presidente Lombardo – Relatore Oricchio Rilevato che è stata impugnata dall'Università di cui in epigrafe la sentenza numero 3428/201 del Tribunale di Lecce con ricorso fondato su due ordini di motivi e resistito con controricorso della parte intimata. Deve, per una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, riepilogarsi, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue. La gravata decisione del Tribunale confermava la sentenza di primo grado, emessa dal Giudice di Pace di Lecce, che mandava assolto dall'onere di pagare l'ingiunta somma di Euro 4.915,00 a titolo di rette dovute per gli anni accademici 2011-2012 e 2012-2013. Il Giudice di Prime cure ed il Tribunale, in sede di appello, ritenevano la nullità per mancata specifica sottoscrizione ex articolo 1341 c.c. della condizione di cui al modulo predisposto per l'iscrizione universitaria de qua, in base alla quale era prevista la rinnovazione automatica dell'iscrizione all'anno accademico successivo e, quindi, la debenza delle rette per cui è controversia. Considerato che 1. Col primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione degli articolo 1341 e 1342 c.c. ai sensi dell'articolo 360, numero 3 c.p.comma 1.1 La doglianza è infondata. La gravata decisione risulta adottata in modo conforme ai principi di diritto, né la seconda firma invocata col motivo può indurre a far ritenere errata la decisione dei Giudici del merito. Al riguardo, in breve, può rammentarsi come la mera dichiarazione di aver letto ed approvato quanto sopra riportato in ogni caso non è idonea a far venir meno la ritenuta violazione dell'articolo 1341 c.comma Parte ricorrente, per di più, non adduce né espone ragioni idonee a modificare l'orientamento cui si è attenuta la sentenza impugnata. Nulla viene decisivamente addotto dalla parte ricorrente al fine di confutare, in punto di diritto, esattezza della decisione gravata. Al riguardo va ribadito il principio per cui in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all'articolo 360, numero 3 c.p.c. giusto il disposto di cui all'articolo 366, co. 1, numero 4 c.p.c. deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni di diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse Cass. numero 1317/2004 . Tanto con la conseguenza che spetta alla parte ricorrente l'onere nella fattispecie non adempiuto di svolgere specifiche argomentazioni intese a dimostrare come e perché determinate affermazioni contenute nella sentenza gravata siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità Cass. numero 635/2015 . Il motivo, in quanto infondato, va -dunque respinto. 2. Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 1453, 1460 e 2697 c.c. ai sensi dell'articolo 360, numero 3 c.p.comma Parte ricorrente ripropone, nella sostanza, la questione della valutazione della pretesa comunicazione con cui il Ca. aveva comunicato la sospensione dall'attività didattica. Il motivo è del tutto inammissibile in quanto non coglie la ratio della gravata decisione. L'impugnata sentenza ha dato espressamente conto della mancata prova della detta intervenuta comunicazione ed ha ritenuto fatto questo si rilevante che l'infondatezza della domanda azionata monitoriamente dalla ingiungente Università traeva fondamento unicamente dalla anzidetta ritenuta violazione dell'articolo 1341, II co. c.comma Il motivo è, quindi, inammissibile. 3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. 4. Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo. 5. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dell'articolo 13 del D.P.R. numero 115/2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 1.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.