Se l'incidente è configurabile come reato, il diritto al risarcimento si prescrive in 5 anni a prescindere dalle condizioni di procedibilità dell'azione penale.
Se il fatto dannoso può essere astrattamente qualificato come reato, il diritto al risarcimento dei danni si prescrive in cinque anni e non in due, anche se non è stata proposta querela in sede penale. E’ il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza numero 23795 del 14 novembre scorso. La vicenda. I genitori di una bambina si rivolgevano al Tribunale per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla figlia a causa di un incidente stradale. La domanda veniva, però, rigettata, in primo e secondo grado, per prescrizione dell’azione risarcitoria. La coppia proponeva, allora, ricorso per cassazione. Il danno è conseguenza di reato il diritto al risarcimento si prescrive in due o cinque anni? Materia del contendere, nella vicenda in esame, è il termine prescrizionale del diritto al risarcimento dei danni subiti a causa di un fatto lesivo, in particolare un sinistro, qualificabile come reato. La Corte d’appello, facendo applicazione di un risalente orientamento giurisprudenziale, ha affermato che, ove manchi la proposizione della querela in sede penale, il termine di prescrizione per la richiesta dei danni dev’essere quella biennale. Prescrizione quinquennale. Non conta l’assenza di querela basta la qualificazione come reato del fatto illecito. Nel frattempo, però, la S.C. ha operato un revirement di cui si deve tener conto anche per risolvere il caso di specie ai fini dell’applicabilità del più lungo termine prescrizionale di cinque anni, ex articolo 2947, comma 3, c.p.c, è sufficiente l’astratta qualificazione come reato del fatto dannoso, indipendentemente dalle condizioni di procedibilità dell’azione e, quindi, dalla proposizione o meno della querela in sede penale. Pertanto, la S.C. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello per la decisione nel merito.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 ottobre – 14 novembre 2011, numero 23795 Presidente Filadoro – Relatore Travaglino Fatto e diritto Nel procedimento instauratosi nei confronti di R.F. e della compagnia assicuratrice Duomo Unione s.p.a. dinanzi al tribunale di Bologna dai genitori della minore C.V. per il risarcimento del danno subito da quest’ultima a seguito di un incidente stradale, il giudice di primo grado rigettò la domanda per intervenuta prescrizione del diritto azionato, con sentenza confermata dalla locale corte di appello in applicazione del principio di diritto predicato da questa corte regolatrice, a sezioni unite, con la sentenza 5121/2011, a mente della quale la mancata proposizione della querela in sede penale comportava l’applicazione del termine breve di prescrizione biennale e non anche del più lungo termine di cui all’articolo 2947 ultimo comma c.c. La sentenza è stata impugnata per cassazione dagli attori con ricorso sorretto da due motivi di censura. Resiste con controricorso la compagnia assicuratrice. Il ricorso è palesemente fondato nel suo primo motivo, che lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2947 comma 3, 590 e 157 c.p., poiché la doglianza anela all’affermazione di un principio di diritto del tutto conforme al dictum di cui a Cass. ss.uu. 27337/08, le quali, operando un radicale revirement rispetto alla propria, precedente giurisprudenza, hanno sancito l’opposto principio secondo il quale, ai fini dell’applicabilità del più lungo termine prescrizionale di cui al terzo comma dell’articolo 2947 c.c., è sufficiente la astratta qualificazione come reato del fatto dannoso, al di là e a prescindere dalle condizioni di procedibilità dell’azione. A tale regula iuris il collegio intende dare continuità, non ravvisandosi motivi per discostarsene, né offendo la odierna ricorrente, con il proprio atto di resistenza in questa sede, efficaci argomenti idonei a contrastarlo. Il secondo motivo che correttamente evoca il principio di diritto secondo il quale la coincidenza del termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno con quello stabilito dalla legge penale deve essere riferita a tutti i possibili soggetti della pretesa risarcitoria resta assorbito nell’accoglimento della prima censura. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto, e la sentenza impugnata conseguente cassata con rinvio alla corte d’appello di Bologna che, in altra composizione, in applicazione del principio di diritto dianzi esposto, provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Bologna in altra composizione.