Decisa la reintegra perché il dipendente è stato considerato incapace di intendere e di volere in quella fase. Certificati medici e relazione del consulente sufficienti per dare solidità alla decisione presa in appello.
di Attilio IevolellaDimissioni da lavoro sull'onda del dramma per un padre morente? Vanno considerate nulle, se l'azienda nega ferie e permessi per stare vicino alla persona cara. La situazione contingente, difatti, rende la persona incapace di intendere e di volere.L'importante pronuncia - assunta dalla Cassazione, con sentenza numero 17977, sez. Lavoro, depositata l'1 settembre - riguarda un dipendente di Poste Italiane, che aveva preferito abbandonare il lavoro, piuttosto che star lontano dal genitore sofferente.Né ferie, né permessi Il rapporto del lavoratore - protagonista, suo malgrado, della vicenda - con l'azienda è complicato sin dalle prime battute. L'assunzione arriva dopo una sentenza, che aveva dichiarato nullo il termine apposto all'originario contratto. Una volta completato il reinserimento, per il lavoratore arriva una terribile notizia le condizioni di salute del padre si sono aggravate.Unica opzione è chiedere delle giornate di ferie o, in alternativa, dei permessi per raggiungere la persona cara, ma l'azienda risponde picche .e il dipendente abbandona. La reazione del lavoratore è assolutamente improvvisa prende armi e bagagli e dà le dimissioni, pochi giorni dopo aver ricominciato a lavorare. Gli affetti prevalgono sulla necessità di un'occupazione, e sul bisogno di soldi.Ma la questione non si chiude assolutamente così La nuova battaglia giudiziaria. Il fronte decisivo, in questo caso, è la validità delle dimissioni. Su questo punto, il lavoratore afferma, prima dinanzi al Giudice del lavoro e poi dinanzi alla Corte d'appello, che le dimissioni erano state date in condizioni di incapacità di intendere e di volere, per il grave sconvolgimento determinato dalla situazione di non poter raggiungere il padre , gravemente malato e poi deceduto. Di conseguenza, chiede l'annullamento e la reintegra nel posto di lavoro, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate.In primo grado l'istanza viene respinta, in secondo grado, invece, viene accolta.Pronta la reazione dell'azienda, che presenta ricorso in Cassazione, contestando, su tutta la linea, la decisione della Corte d'Appello.Incapace sì o no? Nodo gordiano, in questa ottica, la mancata valutazione, secondo l'azienda, di circostanze importanti, ovvero la genericità dei certificati medici presentati dal dipendente e l'essersi presentato , il lavoratore, presso la segreteria per assumere informazioni per il trasferimento e, poi, per manifestare l'intenzione di rassegnare le dimissioni, richiedendo anche la restituzione del 'libretto di lavoro' . Tutti elementi dai quali desumere, sempre secondo l'azienda, che il lavoratore non aveva agito d'impulso .La tesi, però, non viene accolta dai giudici di piazza Cavour, che, al contrario, richiamano il principio con cui si afferma perché l'incapacità naturale del dipendente possa rilevare come causa di annullamento delle sue dimissioni, non è necessario che si abbia la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, ma è sufficiente che tali facoltà risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell'atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo venire meno, quindi, la consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere .Tale valutazione, comunque, è riservata al giudice di merito. Ebbene, in questo specifico caso, il lavoratore ha fornito seri indizi sul suo possibile stato di incapacità naturale all'atto delle dimissioni, rifacendosi a certificati medici, relativi a quel periodo, che evidenziano una personalità borderline, con necessità di terapia farmacologica e di assistenza familiare e la stessa irragionevolezza del suo comportamento . E anche il consulente ha concluso che le dimissioni sono state date dal lavoratore quando non era in grado di rendersi conto di quel che faceva né di esprimere una valida decisionalità , perché preda di una reazione a corto circuito di natura patologica, emersa sulla base di un disturbo di personalità .Sì, per la Cassazione. Queste valutazioni, compiute in appello, sono sorrette da congrua motivazione , sottolineano i giudici di Cassazione. Di conseguenza è logico il rigetto del ricorso proposto dall'azienda, e la conferma della decisione di annullare le dimissioni e di stabilire il reinserimento del lavoratore. Quest'ultimo, quindi, al momento di abbandonare il lavoro era incapace di intendere e di volere, sopraffatto dalla vicenda del padre morente.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 luglio - 1° settembre 2011, numero 19777Presidente Roselli - Relatore NobileSvolgimento del processoCon ricorso del 7-11 -2002 esponeva di aver ottenuto nei confronti della società P.I. la riammissione nell'attività lavorativa presso il CMP di Milano Roserio, con effetto dal 9-4-2002, a seguito di sentenza con la quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto dalle parti al contratto del 3-1-2001, ma dopo essersi puntualmente presentato a riprender servizio, ricevuta la notizia dell'aggravamento delle condizioni di salute del padre, disperato perché la società non voleva concedergli ferie o permessi per raggiungerlo immediatamente, aveva dato le dimissioni in data 12 aprile 2002.Il , sostenendo che tali dimissioni erano state date in condizioni di incapacità di intendere e di volere, per il grave sconvolgimento determinato dalla situazione di non poter raggiungere il padre, poi deceduto il 15 maggio successivo, ne chiedeva l'annullamento con l'ordine di reintegra nel posto di lavoro e la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate.Il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano, con sentenza numero 803/2004, rigettava la domanda.Sull'appello del , resistito dalla società, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza depositata il 4-9-2006, in riforma della pronuncia di primo grado, annullava le dimissioni e condannava la società a riammettere in servizio il e pagargli le retribuzioni dalla data della sentenza.Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre motivi.Il ha resistito con controricorso.Motivi della decisioneCon il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 414 c.p.c. e vizio di motivazione e lamenta che la sentenza ha omesso qualsiasi motivazione in ordine all'eccezione sollevata in via preliminare da Poste Italiane, di inammissibilità della produzione nel giudizio d'appello del certificato medico redatto in data 24 febbraio 2004 e già ritenuto tardivo in primo grado .Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'articolo 428 c.c. , ossia circa la rilevanza della buona fede del datore di lavoro e, in ogni caso, del fatto che controparte non sia stata in grado di dimostrare il contrario.Premesso che nella fattispecie va applicato l'Cass. 16-12-2009 numero 26364 , osserva il Collegio che tali motivi risultano inammissibili per mancanza dei requisiti imposti dalla detta norma processuale.L'articolo 366 bis c.p.c., infatti, nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell'articolo 360, primo comma, c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all'esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione e formalità espressiva va funzionalizzata, come attestato dall'articolo 384 c.p.c., all'enunciazione del principio di diritto ovvero a dicta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al numero 5 dell'articolo 360 c.p.c. il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata , è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione v. Cass. 25-2-2009 numero 4556 .In particolare il quesito di diritto, in sostanza, deve integrare in base alla sola sua lettura la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo cfr. Cass. 7-4-2009 numero 8463 e deve comprendere l'indicazione sia della regola iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile v. Cass. 30-9-2008 numero 24339 .Pertanto, come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui nuovamente enunciato ex articolo 366 bis c.p.c., consiste proprio nell'imposizione al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed auto sufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglio esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità v. Cass. 24-7-2008 numero 2040, cfr. Cass. S.U. 10-9-2009 numero 19444 .Nell'ipotesi, poi, prevista dall'articolo 360 numero 5 c.p.c., come pure è stato precisato e va qui nuovamente enunciato, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo al quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità v. Cass. S.U. 1-10-2007 numero 20603, Cass. 20-2-2008 4309 . Tale sintesi deve essere evidente ed autonoma - v. Cass. 30-12-2009 numero 27680, Cass. 7-4-2008 numero 8897, Cass. S.U. M0-2007 numero 20603, Cass. 18-7-2007 numero 16002 - e non può essere ricavata implicitamente dall'esposizione complessiva del motivo stesso.Orbene, nella fattispecie, la società ricorrente, che pur ha denunciato sia violazioni di norme di diritto sia vizi di motivazione, in relazione ai detti primi due motivi non ha formulato alcun quesito di diritto e neppure ha espresso una chiara sintesi autonoma dei vizi di motivazione denunciati, con conseguente inammissibilità dei motivi stessi.Con il terzo motivo, corredato dal relativo quesito di diritto, la ricorrente, denunciando violazione dell'116 c.p.c., nonché vizio di motivazione, in sostanza si duole che la sentenza impugnata si è limitata a recepire in maniera apodittica le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, omettendo di considerare circostanze quali la genericità dei certificati medici e l'essersi il recato più volte presso la segreteria per assumere informazioni per il trasferimento e, poi, per manifestare l'intenzione di rassegnare le dimissioni richiedendo anche immediatamente la restituzione del libretto di lavoro , dalle quali si evinceva che il lavoratore non aveva agito d'impulso.Tale motivo risulta in parte inammissibile e in parte infondato.Come questa Corte ha più volte affermato e va qui nuovamente enunciato, perché l'incapacità naturale del dipendente possa rilevare come causa di annullamento delle sue dimissioni, non è necessario che si abbia la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, ma è sufficiente che tali facoltà risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell'atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo quindi venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere la valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata v. Cass. 15-1-2004 numero 515 .Peraltro, così come in generale, anche con riferimento a tale accertamento di merito, va affermato che la violazione degli Cass. 6-3-2006 numero 4766 .Orbene nella fattispecie la Corte territoriale dopo aver rilevato che il ha fornito seri indizi di un possibile suo stato di incapacità naturale, quando rassegnava le dimissioni, attraverso certificati medici che si riferiscono al periodo nel quale dette le dimissioni che evidenziano una personalità borderline, con necessità di terapia farmacologica e di assistenza familiare e per la stessa irragionevolezza del suo comportamento, che si colloca in un tale contesto , si è riportata alle risultanze della CTU affidata ad un noto specialista in malattie nervose e mentali , il quale ha concluso che il si è dimesso non essendo stato in grado - essendo in preda ad una reazione a corto-circuito di natura patologica in lui emersa sulla base condizionante di un cronico e polimorfo disturbo di personalità - di rendersi conto di quel che faceva, tantomeno di esprimere al riguardo una valida decisionalita .Tale accertamento di merito, conforme al principio sopra richiamato e sorretto da congrua motivazione resiste alle censure della ricorrente e non è suscettibile di riesame in questa sede.Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza va condannata ai pagamento delle spese in favore del .P.Q.M.Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al le spese liquidate in euro 20,00 oltre euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.