No alla costituzione di parte civile nel processo sulla responsabilità dell'ente

di Elisa Ceccarelli

di Elisa Ceccarelli*Anche la Cassazione si pronuncia sulla spinosa questione circa la possibilità di costituirsi parte civile nel processo di accertamento sulla responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti dipendenti da reato.Quadro normativo. Come si ricorderà, secondo il dato normativo, la responsabilità dell'ente sorge con la realizzazione di un reato da parte di una persona fisica legata da un rapporto funzionale con l'ente stesso. Oltre a questo criterio di collegamento occorre la finalizzazione del reato commesso a vantaggio o nell'interesse della persona giuridica.In aggiunta, vi sono due ulteriori presupposti uno oggettivo che consiste nella violazione di una regola prudenziale da parte dell'ente stesso ed uno soggettivo di appartenenza dell'autore del reato ad una determinata categoria.Sulla possibilità di costituirsi parte civile. Il superamento dell'antico brocardo societas delinquere non potest, però, ha determinato l'insorgere di alcune problematiche, tra le quali, quella relativa alla possibilità di costituirsi parte civile nel processo de quo.É evidente che con questo meccanismo si determina l'inserimento di una richiesta risarcitoria di natura privatistica nel processo penale. Il soggetto civilmente danneggiato dal reato può far valere le proprie pretese direttamente nel relativo procedimento di accertamento della responsabilità amministrativa con il grande vantaggio di poter così avvalersi degli effetti benefici dell'attività istruttoria svolta durante il dibattimento e quindi indirettamente anche di quella investigativa, certamente dotata di poteri più penetranti della parte privata.Il caso. Nel caso in esame il G.u.p. emetteva sentenza di patteggiamento nell'ambito di un procedimento molto complesso dov'erano imputate numerose persone e società per i reati di associazione per delinquere, corruzione, appropriazione indebita e per illeciti amministrativi ex D.Lgs. numero 231/2001.In particolare la società condannata al pagamento delle spese ed onorari in favore delle parti civili costituite ricorre per cassazione per chiedere l'annullamento della sentenza assumendo che nei processi nei confronti degli enti ex D.Lgs. numero 231/2001 non è ammessa la costituzione di parte civile.La Cassazione nella sentenza numero 2251 depositata il 21 gennaio 2011 qui leggibile come documento correlato accoglie il ricorso in riferimento a questo punto.Gli orientamenti della giurisprudenza. É opportuno richiamare brevemente i due diversi orientamenti che hanno tenuto banco nelle corti di merito negli ultimi anni.Primo orientamento. Parte della giurisprudenza Tribunale di Torino, 12 gennaio 2006 Tribunale di Roma, 21 aprile 2005 Tribunale di Napoli, 25 gennaio 2008 Tribunale di Milano, 5 febbraio 2008 è a favore della costituzione di parte civile nel processo volto ad accertare la responsabilità nei confronti dell'ente.Decisiva in tale senso sarebbe l'osservazione secondo cui già precedentemente l'entrata in vigore del D.Lgs. numero 231/2001, l'esercizio nel processo penale delle pretese civili nei confronti dell'ente per danni cagionati dal reato realizzato dalla persona fisica fosse consentito dall'art 2049 c.c. responsabilità del padrone committente per un fatto illecito del dipendente o del commesso , mediante la citazione del responsabile civile. Partendo dall'assunto che il D.Lgs 231/2001 ha introdotto una nuova fattispecie di illecito e che l'art 2043 c.c. farebbe espresso riferimento a qualsiasi fatto illecito, secondo parte della giurisprudenza il danneggiato deve ritenersi legittimato ad adire il giudice anche per ottenere dall'ente il risarcimento dei danni cagionati dalla realizzazione degli illeciti amministrativi ad esso riconducibili. La giurisprudenza concorde con questo orientamento fonderebbe la propria opinione anche sulla irrilevanza della qualificazione formale del tipo di responsabilità è vero che il legislatore definisce la responsabilità come illecito amministrativo dipendente la reato, ma la responsabilità aquiliana ex articolo 2043 c.c. può fondarsi anche su di un illecito amministrativo.La stessa qualificazione formale del tipo di responsabilità potrebbe anzi costituire elemento fondante dell'ammissione della costituzione di parte civile, in quanto la definizione di una responsabilità amministrativa ma comunque dipendente da reato costituirebbe il collegamento diretto con l'articolo 185 c.p Il secondo comma dell'articolo fonda l'obbligazione risarcitoria su %& lt %& lt ogni reato che abbia cagionato un danno& gt & gt e sarebbe da interpretarsi, nell'ottica dell'innovazione legislativa, sia come danno derivante dal reato che come illecito dipendente dallo stesso. La fonte di danno, secondo l'orientamento in parola, sarebbe il medesimo fatto qualificato sia come reato per la persona fisica che come illecito amministrativo per l'ente, pertanto il danno risulterà sempre e comunque legato eziologicamente al reato.Non pare inoltre che la lettera normativa possa considerarsi ostativa alla possibilità per il danneggiato di far valere la propria pretesa risarcitoria nel procedimento relativo all'accertamento della responsabilità dell'ente in primis, perchè la mancanza nel decreto di un richiamo espresso alla posizione della parte civile e del responsabile civile verrebbe comunque colmata con l'applicazione de residuo del c.p.p., sulla scorta di quanto affermato dagli articolo 34 e 35. I giudici di merito riterrebbero tale mancanza come una voluntas del legislatore di non appesantire il decreto stesso, con una gravosa riproposizione dell'impianto codicistico.L'orientamento giurisprudenziale in esame ritiene di trovare conferma della propria posizione anche per il tramite di alcune omissioni 1 del decreto stesso.In ossequio poi ad un più alto principio di parità di trattamento, non sembrerebbe possibile escludere la costituzione della parte civile senza esporsi a ben più gravi censure di costituzionalità in ordine alla violazione della ragionevolezza delle discriminazioni.Secondo orientamento. La maggior parte della giurisprudenza di merito Tribunale di Milano, 9 marzo 2004 Tribunale di Torino, 27 novembre 2004 Tribunale di Milano, 25 gennaio 2005 Tribunale di Milano, 11 luglio 2007 Tribunale di Milano, 11 dicembre 2006 Tribunale di Milano, 18 aprile 2008 ritiene invece di andare di contrario avviso. Innanzitutto, secondo i giudici di merito, l'ente non potrebbe essere soggetto passivo di una pretesa risarcitoria diretta avanzata dalla parte civile. Ai fini della costituzione di parte civile nel processo penale sono previsti presupposti tassativi ai sensi degli articolo 74 c.p.p. e 185 c.p L'ente non sembrerebbe potersi qualificare né come autore del reato né come soggetto chiamato a rispondere civilmente per il fatto del colpevole.Nel decreto verrebbe inoltre richiamata in più punti, la responsabilità amministrativa dell'ente stesso secondo i giudici di merito accertata la detta responsabilità amministrativa non vi è spazio perché l'ente, sulla base della stessa, possa essere chiamato a rispondere civilmente per le restituzioni o il risarcimento del danno. Sicuramente non può farlo sulla base degli articolo 185 c.p. e 74 c.p.p. in quanto, lo si ripete, l'ente non è l'autore del reato, ma di un comportamento ben differente dal medesimo .Questa distinzione emergerebbe con chiarezza dagli articolo 5 e 6 del decreto ove si individuano i soggetti che, commettendo il reato, fanno scattare la responsabilità dell'ente e gli oneri a carico di quest'ultimo per evitare la condanna.A favore di tale conclusione vi sarebbe principalmente la mancata previsione dell'istituto della costituzione di parte civile fatto ritenuto significativo dall'orientamento in esame, posto che la detta normativa disciplina molteplici istituti paralleli a quelli penali e processuali ad esempio il principio di legalità, alla successione delle leggi, al sistema sanzionatorio, a quello cautelare, alla contumacia, alla prescrizione, alla fase delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, ai riti speciali e specularmente, specifiche disposizioni di legge che nella legge processuale penale menzionano la parte civile o comunque ad essa fanno riferimento, sono ribadite nel decreto, senza alcun riferimento però a quest'ultimo soggetto processuale.L'esclusione dall'articolo 54 del decreto della possibilità per la parte civile di richiedere il sequestro diversamente dall'articolo 316 c.p.p. assumerebbe ad univoco segnale legislativo di non voler prevedere nel processo contro gli enti alcuna attività della parte civile.Non sarebbero inoltre risolutivi i rimandi agli articolo 34 e 35.Il fatto che il legislatore ritenga applicabili le norme del c.p.p. in quanto compatibili, implicherebbe, secondo questo orientamento che il ricorso all'analogia, o meglio, la trasposizione di un istituto dalla sede di un corpo normativo ad un'altra debba essere vagliata con particolare attenzione interpretativa. Questa accortezza produrrebbe una trasposizione non in blocco dell'istituto de quo, tanto più che una delle facoltà più significative della parte civile la richiesta di sequestro viene espressamente esclusa 2 .Infine il decreto 231/2001 intitola la Sezione II del capo II Soggetti, giurisdizione e competenza ed in essa non vi è alcuna menzione della parte civile, differentemente da quanto avviene nel libro I del codice di procedura penale in cui viene compiutamente disciplinata la detta parte.Dall'esame sistematico delle diverse disposizioni del decreto sarebbe opportuno dedurre, secondo questo orientamento, che pur avendo il legislatore qualificato la responsabilità amministrativa dell'ente non ha per scelta, qualificato l'illecito come penale, pur consentendo l'applicazione di alcuni principi fondamentali propri di diritto penale sostanziale e processuale.La giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ritiene di condividere quest'ultimo orientamento.Del tutto privo di rilevanza è il riferimento al nomen di responsabilità posto che finirebbe con il ricondurre tutta la problematica ad una questione meramente nominalistica.Al fine di giungere a conclusioni appropriate occorre effettuare una compiuta analisi del testo normativo, dal quale, secondo la Suprema Corte, se ne ricava non solo la totale mancanza di riferimenti espressi alla costituzione di parte civile ma in aggiunta la presenza di richiami diretti che escludono questa possibilità.Ci si riferisce all'articolo 27 ed al 54 come sopra richiamati.Orbene, tutto ciò costituisce una inequivoca dimostrazione della precisa volontà del legislatore di escludere la costituzione di parte civile nel processo in esame anche perché la forzatura interpretativa si porrebbe in netto contrasto con il nuovo art 111 Cost. il quale ribadisce il necessario rispetto del principio di legalità.Per la Suprema Corte sono del tutto prive di fondamento le tesi del ricorrente le quali individuerebbero il fondamento della possibilità di costituirsi parte civile sia perché l'illecito dell'ente è fatto produttivo di danni risarcibili ex articolo 2043 cod. civ. sia nel fatto che la responsabilità della società sia per fatto proprio .In riferimento al primo punto, si osserva che la costituzione di parte civile nel processo penale non rappresenta un principio generale dell'ordinamento, ma una deroga alla completa autonomia e separazione tra il processo civile e quello penale non solo, ma non sembra individuabile un danno derivante dall'illecito amministrativo diverso da quello prodotto dal reato.Deve essere ribadita l'autonomia dell'illecito addebitato all'ente, dovendo distinguersi la sua responsabilità da quella della persona fisica e riconoscendo che l'eventuale danno cagionato dal reato non coincide con quello derivante dall'illecito amministrativo di cui risponde l'ente .Non possono considerarsi danni prodotti dall'illecito amministrativo quelle ripercussioni negative che si determinano sugli interessi dei soci, dei creditori e dei dipendenti dell'ente per effetto dell'applicazione delle sanzioni a seguito dell'accertata responsabilità dell'ente in quanto l'eventuale lesione dei diritti di questi soggetti non torva la sua causa diretta nell'illecito amministrativo.Ultimo argomento utilizzato a sostegno del ricorrente è la ratio del decreto e, cioè, quella di tutelare gli interessi del danneggiato dal fatto illecito al pari dell'interesse alla punizione dell'ente. Il riferimento è agli articolo 12 e 17 del decreto che consentono all'ente di ottenere la riduzione o l'esclusione delle sanzioni interdittive in caso di avvenuto risarcimento dei danni nonché l'articolo 19 che prevede la riduzione della confisca per la parte di profitto che può essere restituita al danneggiato.Per la Suprema Corte le norme richiamate si riferiscono al danno derivante dal reato e non a quello dell'illecito amministrativo del tutto privo di significato ove eventuali meccanismi di ravvedimento elaborati dal legislatore non hanno rilievo sulla possibilità o meno di costituzione di parte civile nel processo de quo.* Dottoranda di ricerca in diritto dell'economia nell'Università di PisaNote 1 L'articolo 54, ad esempio, non prevede alcun potere in capo alla parte civile, anzi, nel richiamare espressamente la disciplina del sequestro conservativo del codice di procedura penale, con riferimento all'articolo 316 c.p.p. limita il riferimento al quarto comma, omettendo il comma secondo quello che consente anche alla parte civile la richiesta sui beni dell'imputato o del responsabile civile ed il comma terzo ossia quello che stabilisce che il sequestro richiesto dal P.M. giova anche alla parte civile . Ovviamente tale specificità e la puntualità potrebbe far ritenere non colmabile la lacuna ai sensi dell'articolo 34. Tuttavia ciò dimostrerebbe invece, secondo l'orientamento in esame, la volontà del legislatore di introdurre una specifica deroga alla disciplina generale in materia di sequestro ma non implicherebbe necessariamente una deroga più ampia ai principi generali in materia di parte civile. Si osserva ancora che il sequestro conservativo potrebbe essere sempre autorizzato dal giudice civile dinnanzi al quale sia proposta azione civile per il risarcimento. 2 Secondo questo filone giurisprudenziale mancherebbero ulteriori significativi riferimenti alla parte civile ad esempio, l'articolo 27 sancisce che l'ente risponde con il suo patrimonio o con il fondo comune dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria, il tutto in assenza di qualsiasi riferimento al danno risarcibile.L'articolo 69 prevede che, in caso di condanna, il giudice applichi all'ente le sanzioni e lo condanna al pagamento delle spese processuali, sempre in mancanza di riferimento al risarcimento del danno, laddove il c.p.p. appronta un'articolata normativa in tema di decisione sulle questioni civili.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 ottobre 2010 - 22 gennaio 2011, numero 2251Presidente Di Virginio - Relatore FidelboSvolgimento del processo1. - Il G.u.p. del Tribunale di Milano nell'ambito di un complesso procedimento in cui risultavano imputate numerose persone e società in ordine a reati di associazione per delinquere, corruzione, appropriazione indebita, oltre che per illeciti amministrativi ex D.Lgs. numero 231 del 2001, ha applicato la sentenza di patteggiamento in epigrafe indicata nei confronti, tra l'altro, di A. V. mesi 9, giorni 15 di reclusione ed Euro 178,00 di multa, pena sospesa, con la condanna al pagamento delle spese e onorari in favore della parte civile costituita, Agenzia delle Entrate , F. O. mesi 9, giorni 15 di reclusione ed Euro 200,00 di multa, pena sospesa, con la condanna al pagamento delle spese e onorari in favore della parte civile costituita, Agenzia delle Entrate , P. C. anni 1 di reclusione, pena sospesa, con la condanna al pagamento delle spese e onorari in favore della parte civile costituita, Agenzia delle Entrate , Iniziative Industriali s.p.a. sanzione pecuniaria di Euro 28.000,00, con la confisca della somma di Euro 92.744,63 , O.M.S. Salieri s.r.l. sanzione pecuniaria di Euro 42.000,00 e divieto di pubblicizzare beni o servizi per un anno, oltre la confisca della somma di Euro 325.000,00 e la condanna al pagamento delle spese e onorari in favore delle parti civili costituite, ENI s.p.a., ENIPower s.p.a. e SNAMProgetti s.p.a. .2. - Contro questa sentenza hanno presentato distinti ricorsi per cassazione V. A. e O. F. , deducendo i medesimi motivi.I ricorrenti, tramite il loro difensore di fiducia, hanno dedotto l'inosservanza degli articolo 444 e 129 c.p.p. perchè il giudice avrebbe dovuto dichiarare, ai sensi dell'articolo da ultimo citato, l'estinzione del reato di appropriazione indebita contestato ai capi B ed E , essendosi verificata la parziale prescrizione al momento della pronuncia della sentenza, intervenuta a distanza di quasi un anno dalla domanda di patteggiamento presentata dalle parti, con conseguente necessità di rideterminare la pena pattuita con riferimento al reato associativo più grave di cui al capo A .In ogni caso, eccepiscono l'avvenuta prescrizione anche degli altri reati, cioè dell'associazione per delinquere e dei residui episodi di appropriazione indebita.3. - Con il ricorso presentato nell'interesse di P. C. viene, preliminarmente, impugnata anche l'ordinanza resa il 10.7.2008 con cui il giudice ha dichiarato inammissibili le richieste di applicazione della pena - per i reati contestati ai capi P1 e P3 - e di giudizio abbreviato - per il reato di appropriazione indebita di cui al capo P2 - avanzate dall'imputato, ritenendo incompatibili le due diverse istanze di definizione del procedimento.In ogni caso, il ricorrente ha eccepito la nullità della sentenza pronunciata ex articolo 444 c.p.p. - anche in relazione al reato di cui al capo P2 -, sostenendo che la richiesta di applicazione concordata della pena per tutti i reati sarebbe stata una scelta obbligata dal rigetto, illegittimo, dell'istanza di giudizio abbreviato.Infine, con l'ultimo motivo censura la medesima sentenza per inosservanza dell'articolo 129 c.p.p., limitatamente all'ipotesi dell'appropriazione indebita, rilevando l'insussistenza del reato.4. - Ha proposto ricorso per cassazione anche la società Iniziative Industriali, per mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo l'erronea qualificazione giuridica del fatto.Dopo aver premesso che alla società è stato contestato l'illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 231 del 2001, articolo 25, comma 3 dipendente dal reato di corruzione commesso dall'amministratore delegato, G. G. , nei confronti di G. F. , dipendente dell'ufficio tecnico di Snamprogetti, al fine di ottenere commesse industriali relative all'impianto di Wafa, in Libia, si assume che la sentenza ha erroneamente ritenuto che G. F. rivestisse la qualifica di pubblico ufficiale, presupposto indefettibile per la configurabilità del reato di cui all'articolo 321 c.p. - contestato all'amministratore delegato - e per poter ipotizzare lo stesso illecito amministrativo a carico della società.In realtà, secondo la ricorrente il presunto corrotto sarebbe un dipendente di una società per azioni, con capitale detenuto interamente da Eni s.p.a., svolgente attività d'impresa in regime di diritto privato, a cui non si applica nè la legge quadro in materia di appalti pubblici, nè la normativa in materia di appalti pubblici di pubbliche forniture, pertanto estranea a pubbliche funzioni.Si rileva come la commessa relativa alla fornitura di tubi per la costruzione di un impianto presso il sito di Wafa è consistita nell'esercizio di una comune attività imprenditoriale, regolata interamente da strumenti di diritto privato.D'altra parte, anche prendendo in esame la collocazione e i poteri di F. G. nell'ambito della Snamprogetti deve comunque escludersi la qualifica di pubblico ufficiale, non avendo alcuno dei poteri autoritativi sintomatici di tale qualifica, nè poteri deliberativi.Infine, si esclude che possa ritenersi la qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo a G. F. , in quanto non è rinvenibile alcuna finalità diretta al conseguimento di interessi pubblici.5. - Con il ricorso proposto dalla società O.M.S. Saleri, tramite il difensore di fiducia, si lamenta l'errore contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata là dove indica la somma da confiscare in Euro 325.000,00 ricomprendendovi anche la sanzione pecuniaria di Euro 42.000,00, già indicata nello stesso dispositivo.In questo modo non sarebbe stato correttamente ratificato l'accordo delle parti.Con un secondo motivo la società ricorrente chiede l'annullamento della sentenza nella parte in cui ha pronunciato la condanna alle spese e onorari in favore delle parti civili costituite.Si assume, infatti, che nel processo nei confronti degli enti di cui al D.Lgs. numero 231 del 2001 non è prevista la possibilità di costituzione di parte civile.6. - Nella sua requisitoria scritta il procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi di A., di F. e di P., nonchè quello presentato nell'interesse della società Iniziative Industriali.Per quanto riguarda il ricorso della O.M.S. Saleri, il procuratore generale ha ritenuto infondato il motivo con cui la società censura la sentenza per avere ritenuto ammissibile la costituzione delle parti civili, mentre ha chiesto che sia accolta l'istanza di correzione del dispositivo della sentenza in relazione alla somma oggetto di confisca.7. - I difensori di A., F. e P. hanno presentato memorie difensive con cui hanno replicato alla requisitoria scritta del procuratore generale lo stesso hanno fatto i difensori delle due società.Nell'interesse delle parti civili costituite, Eni s.p.a. e Enipower s.p.a., è stata depositata un'articolata memoria difensiva per sostenere l'ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti di cui al D.Lgs. numero 231 del 2001, proponendo in via subordinata, qualora si dovesse ritenere che il sistema del D.Lgs. numero 231 del 2001 non consenta la costituzione di parte civile, questione di costituzionalità dell'articolo 74 c.p.p. e articolo 185 c.p. per violazione degli articolo 3 e 24 Cost Per l'Agenzia delle Entrate, anch'essa costituitasi parte civile nei confronti di A., F. e P., l'avvocatura generale dello Stato ha chiesto l'inammissibilità dei ricorso da questi presentati.Infine, il difensore di A. e F. ha depositato una sentenza del Tribunale di Milano che, nei confronti di altri imputati, ha ritenuto prescritti gli stessi reati contestati ai due sopra menzionati.Motivi della decisione8. - I ricorsi presentati nell'interesse di V. A. e F. O. sono inammissibili.8.1.- I motivi dedotti, comuni ad entrambi i ricorrenti, riguardano la mancata dichiarazione di prescrizione dei reati.Sotto un primo profilo si lamenta che il G.u.p. non abbia rilevato l'estinzione parziale per prescrizione del reato di appropriazione indebita intervenuta dopo l'accordo tra le parti e prima della sentenza di patteggiamento, con riferimento ad alcune condotte.Preliminarmente, deve confermarsi il più recente orientamento della Cassazione, che esclude che con il patteggiamento l'imputato rinunci alla prescrizione, con conseguente impossibilità di farla valere quando sia maturata prima della sentenza ex articolo 444 c.p.p La rinuncia alla prescrizione presuppone, ai sensi dell'articolo 157 c.p.p., così come novellato dalla L. numero 251 del 2005, articolo 6 una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti, sicchè la domanda di patteggiamento non può considerarsi una implicita rinuncia alla prescrizione, anche perchè lo stesso articolo 444 c.p.p., comma 2 prevede l'ipotesi che il giudice prosciolga per una delle cause previste dall'articolo 129 c.p.p., in cui rientra anche il caso dell'estinzione del reato per prescrizione.Il limite temporale per rilevare tale causa di estinzione del reato - così come una delle altre ipotesi di proscioglimento previste dall'articolo 129 c.p.p. - è costituito dalla verifica cui è tenuto il giudice ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., comma 2.Tuttavia, occorre considerare che il giudice del patteggiamento riscontra l'eventuale esistenza di una delle cause di non punibilità attraverso una ricognizione allo stato degli atti, che può condurre a una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. soltanto se le risultanze disponibili rendano palese l'obiettiva esistenza di una di queste cause, indipendentemente dalla valutazione compiuta dalle parti e senza la necessità di alcun approfondimento probatorio e di ulteriori acquisizioni in questi termini, Sez. unumero , 25 novembre 1998, numero 3, Messina .Per quanto riguarda la prescrizione, il giudice è tenuto a dichiararla quando accerta l'avvenuto decorso del termine stabilito per il reato enunciato nel capo di imputazione, ma il controllo che deve operare non deve implicare alcun tipo di accertamento, dovendo la prescrizione risultare dagli atti.Nel caso in esame, invece, per rilevare la prescrizione parziale, così come dedotta dai ricorrenti, il giudice avrebbe dovuto procedere ad accertamenti di fatto non compatibili con il rito speciale di cui all'articolo 444 c.p.p Così, riguardo alla posizione di V. A. deve rilevarsi che le date dei bonifici costituenti le condotte appropriative, cui fanno riferimento i ricorrenti per sostenere la intervenuta prescrizione parziale, non sono nemmeno menzionate nel capo di imputazione, nè indicate nella sentenza in ordine alla posizione di F. O., per il quale si assume l'intervenuta prescrizione anche del reato associativo, l'accertamento della estinzione dei reati viene dedotta nello stesso ricorso attraverso una serie di dati di fatto e di valutazioni circa il tipo di concorso nei reati il cui accertamento si rivela del tutto incompatibile con il rito prescelto.8.2. - Con un distinto motivo i ricorrenti, inoltre, rilevano che, successivamente alla pronuncia della sentenza, si sarebbe verificata la prescrizione anche dei residui reati, per cui chiedono che questa Corte ne dichiari l'estinzione.A questo proposito si rileva che una volta richiesta ed ottenuta pronuncia ai sensi dell'articolo 444 c.p.p. non può essere sollevata, con apposito ricorso per cassazione, la questione della prescrizione, se maturata successivamente, in quanto il procedimento speciale consensuale è stato già concluso con l'accordo delle parti e con la ratifica di esso da parte del giudice, sicchè sarebbe contraddittorio considerarlo in piedi ai fini della prescrizione Sez. 3^, 17.4.1998, numero 1241, Manovella Sez. 3^, 25 giugno 1997, numero 2535, Esposito .In questo caso, infatti, risulta superato il limite entro cui il giudice è tenuto a verificare la sussistenza delle cause di non punibilità indicate dall'articolo 129 c.p.p Peraltro, i ricorrenti hanno dedotto solo l'intervenuta prescrizione dei reati, senza avanzate alcuna ulteriore doglianza relativa alla decisione, sicchè deve ritenersi che si tratti di un ricorso apparente, inidoneo a instaurare il rapporto di impugnazione Sez. unumero , 27 giugno 2001, numero 33542, Cavalera .Anche sotto quest'altro profilo il ricorso deve considerarsi inammissibile.9. - Il ricorso proposto nell'interesse di P. C. è inammissibile.9.1. - L'imputato nel suo ricorso lamenta l'illegittimità dell'ordinanza del 10 luglio 2008, con cui il G.u.p. del Tribunale di Milano aveva ritenuto inammissibile la richiesta di giudizio abbreviato per il reato di appropriazione indebita, contestuale all'istanza di patteggiamento presentata, nella medesima udienza preliminare, in ordine agli altri reati oggetto di contestazione.Secondo il ricorrente il giudice ha erroneamente ritenuto l'incompatibilità delle distinte richieste e, a sostegno della sua tesi, cita un precedente di questa Corte, che ha ritenuto ammissibile la richiesta di rito abbreviato in relazione ad alcuni dei reati contestati nel caso in cui l'imputato richieda, per gli altri reati, l'applicazione della pena concordata Sez. 5^, 24 ottobre 2000, numero 4511, Torello .Deve, effettivamente, riconoscersi che vi è compatibilità tra richieste distinte di riti speciali quando non viene eluso il fine di deflazione processuale di tali giudizi, a differenza di quanto accade nel caso in cui l'imputato si limiti a presentare una domanda di giudizio abbreviato solo per alcuni reati, in cui la mancata definizione del processo, nella sua interezza, rende ingiustificato l'effetto premiale derivante dallo speciale rito voluto dal legislatore, al fine di deflazionare il ricorso alla fase dibattimentale per ciascun processo e non per ciascun reato, come è esplicitamente previsto dall'articolo 438 c.p.p., là dove parla di richiesta di definizione nell'udienza preliminare del processo riguardante il singolo imputato così, Sez. 2^, 27 marzo 2008, numero 20575, Di Paola Sez. 4^, 5 luglio 2006, numero 30096, Arcari Sez. 1^, 19 novembre 1999, numero 380, Favara .Tuttavia, in questa sede si deve prescindere dalla legittimità della decisione adottata dal G.u.p. del Tribunale di Milano, in quanto occorre considerare che le censure rivolte alla citata ordinanza sono contenute nel ricorso avverso la sentenza di patteggiamento che ha ratificato l'accordo delle parti, avente ad oggetto anche il reato di appropriazione indebita in sostanza, dopo il provvedimento del 10 luglio 2008 P. ha modificato la sua strategia difensiva, estendendo la richiesta di patteggiamento al reato di cui all'articolo 646 c.p., sicchè oggi non può dolersi di una scelta processuale che egli stesso ha consapevolmente compiuto.Nè può sostenere che si sia trattato di una scelta obbligata , conseguente all'ordinanza del 2008.È vero che l'imputato non avrebbe potuto limitare la definizione anticipata della sua responsabilità lasciando fuori dalla richiesta di patteggiamento il reato di appropriazione indebita, perchè la richiesta stessa sarebbe stata dichiarata inammissibile proprio in ragione della mancata definizione integrale del processo a suo carico Sez. 2^, 8 luglio 2010, numero 28696, P.G. in proc. Azzolina Sez. 1^, 12 novembre 2006, numero 6703, P,G. in proc. Ignacchiti tuttavia, avrebbe potuto impugnare l'ordinanza del 28 luglio 2008 per abnormità chiedendone l'annullamento.Tale impugnazione sarebbe stata possibile, in considerazione del fatto che si trattava di una richiesta di giudizio abbreviato incondizionato , rispetto alla quale il giudice non aveva il potere di rigetto Sez. 1^, 7 ottobre 2004, numero 43451, Riccardi Sez. 1^, 2 aprile 2004, numero 22287, Petrucci Sez. 1^, 2 luglio 2001, numero 30276, Sangani , e che il provvedimento di diniego causava una stasi processuale dell'udienza preliminare, stasi che nella specie è stata rimossa proprio dalla determinazione dell'imputato di modificare l'oggetto delle sue richieste processuali, proponendo per tutti i reati domanda di applicazione concordata di pena.9.2. - Con l'altro motivo proposto il ricorrente lamenta il mancato proscioglimento in sede di patteggiamento in ordine al reato di cui all'articolo 646 c.p., deducendo però non il vizio di motivazione, ma l'erronea applicazione dell'articolo 129 c.p.p Al riguardo si osserva che nel caso in esame non sussiste alcuna ipotesi di violazione di legge, non potendosi ritenere che il giudice avesse l'obbligo di emettere una sentenza di proscioglimento, così come assume il ricorrente.Ad escludere la denunciata violazione dell'articolo 129 c.p.p. è sufficiente la constatazione che il giudice ha motivato, seppure in maniera succinta, la mancanza dei presupposti per la pronuncia di proscioglimento.Anche a voler ritenere che il ricorrente abbia, in realtà, voluto censurare la motivazione della sentenza, si dovrebbe concludere ugualmente per l'insussistenza del vizio, dal momento che il giudice ha dato atto dell'avvenuta verifica richiesta dalla legge, escludendo che ricorrano le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. Sez. unumero , 27 settembre 1995, numero 10372, Serafino .10. - Il ricorso presentato nell'interesse della società Iniziative Industriali s.p.a. è inammissibile.Il problema posto dalla società ricorrente riguarda i limiti entro cui l'erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell'accordo delle parti e recepita dal giudice del patteggiamento, possa essere fatta valere davanti alla Cassazione, impugnando la relativa sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 c.p.p Su questo tema la Cassazione ha proposto filoni interpretativi non sempre omogenei, ricercando un punto di equilibrio tale da conciliare le esigenze derivanti dal rito negoziale con la previsione del controllo affidato alla giurisdizione.Infine, è prevalso l'indirizzo volto a riconoscere che la qualificazione giuridica del fatto costituisce materia tendenzialmente sottratta alla disponibilità delle parti, sicchè l'errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lett. b Sez. unumero , 19 gennaio 2000, numero 5, P.G. in proc. Neri Sez. unumero , 29 novembre 2005, numero 17781, Diop .Tuttavia, in tali casi il controllo che deve effettuare il giudice di legittimità circa la corretta qualificazione giuridica ha un ambito necessariamente limitato, riferibile alla imputazione e alla motivazione della sentenza impugnata.Nella specie, da quanto contenuto nella contestazione e da quanto riportato nella sentenza appare corretta la valutazione compiuta dal giudice di merito, emergendo la descrizione di fatti rientranti in una serie di condotte corruttive poste in essere nell'interesse della società ricorrente da parte del suo amministratore, G. G. , e nei confronti di soggetti - non solo del dipendente della SnamProgetti - appartenenti a società e imprese partecipanti alle gare , quindi coinvolte in un pubblico servizio, rispetto ai quali deve quanto meno riconoscersi la qualifica di incaricato di pubblico servizio, anche in considerazione del fatto che il capo di imputazione menziona espressamente l'aggravante di cui all'articolo 319 bis c.p., da intendere riferita alla stipulazione di contratti nei quali sia interessata la pubblica amministrazione.Peraltro, la qualifica di incaricato di pubblico servizio non determina alcuna ricaduta negativa sull'accordo oggetto del patteggiamento, in quanto il D.Lgs. numero 231 del 2001, articolo 25, commi 3 e 4, prevede la medesima sanzione pecuniaria in relazione al reato di corruzione commesso nei confronti di un pubblico ufficiale ovvero di un incaricato di pubblico servizio.La circostanza che i soggetti cui si riferisce l'imputazione fossero società per azioni non appare sufficiente, allo stato degli atti, per escludere ogni connotazione pubblicistica all'attività da questi svolta, tenuto conto che la giurisprudenza della Cassazione ritiene che la qualità di incaricato di pubblico servizio va accertata, da parte del giudice di merito, esclusivamente sulla base della disciplina dell'attività oggettivamente considerata ed indipendentemente dal fatto che il suo esercizio sia affidato allo Stato o ad altri soggetti pubblici ovvero a privati.Il limitato spazio che residua al giudice per accertare la qualifica giuridica del fatto in sede di patteggiamento porta a ritenere giustificata la decisione adottata dal G.u.p. del Tribunale di Milano.11. - Il ricorso presentato nell'interesse della società O.M.S. Saleri è fondato.11.1. - Il rilevato contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza circa l'importo della confisca può essere eliminato con la procedura della correzione degli errori materiali.Dalla sentenza risulta che l'accordo delle parti prevedeva il pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 42.000,00, nonchè la messa a disposizione del prezzo e del profitto del reato in vista della confisca per Euro 283.000,00 di cui Euro 190.000,00 relativi alla tangente contestata ed Euro 93.000,00 pari a circa il 2% della somma dell'appalto in contestazione , per un importo complessivo di Euro 325.000,00 nel dispositivo il giudice, nel ratificare l'accordo, ha riportato correttamente l'ammontare della sanzione pecuniaria, ma a titolo di confisca ha indicato, erroneamente, l'importo complessivo di Euro 325.000,00, che già comprendeva la sanzione pecuniaria.Si è trattato di un mero errore materiale, che deve essere corretto sostituendo l'importo relativo alla confisca nella misura originariamente indicata nell'accordo, pari cioè a complessivi Euro 283.000,00.11.2. - Va accolto anche il motivo con cui si censura la sentenza per aver condannato, ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., comma 2, seconda parte, la società ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili costituite, ENI s.p.a., ENI Power s.p.a. e SNAMProgetti s.p.a., deducendo la violazione dell'articolo 185 c.p. e articolo 74 c.p.p. sul presupposto che la costituzione delle parti civili non è ammessa nel processo a carico degli enti.La questione sull'ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo in cui si accerta la responsabilità amministrativa della persona giuridica ai sensi del D.Lgs. numero 231 del 2001 deve essere esaminata in termini generali, non condividendosi le argomentazioni utilizzate dal procuratore generale, secondo cui la costituzione della parte civile sarebbe ammissibile solo nel rito speciale del patteggiamento.Non si comprende, infatti, per quali ragioni la possibilità di costituirsi come parte civile sarebbe preclusa nel procedimento ordinario, ma ammessa unicamente nel procedimento speciale del c.d. patteggiamento, sulla base di un argomento formale costituito dal richiamo contenuto nell'articolo 63, D.Lgs. cit., titolo 2^, libro 6^ del codice di procedura penale.Una simile differenziazione di disciplina non trova alcuna ragionevole giustificazione.11.2.1. - Il problema dell'ammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento a carico degli enti ha dato luogo a interpretazioni contrastanti sia nella dottrina, che nella giurisprudenza di merito.In alcuni casi l'esclusione della parte civile è stata giustificata con riferimento alla natura formalmente amministrativa della responsabilità prevista nel D.Lgs. numero 231 del 2001, mentre quanti propendono per la natura sostanzialmente penale di questo tipo di responsabilità da reato sono favorevoli a riconoscere tale possibilità in capo alla parte civile.In altri termini, il dibattito sulla questione in oggetto ha finito per investire il tema della natura della responsabilità degli enti, tema quanto mai incerto, su cui la giurisprudenza, almeno quella di legittimità, non si è ancora pronunciata in termini definitivi, mentre la dottrina si è divisa, proponendo una molteplicità di interpretazioni, che vanno dal riconoscimento della natura di vera e propria responsabilità penale, alla negazione di essa, per affermare che si tratti di una responsabilità amministrativa, fino a ritenere che ci si trovi dinanzi ad una sorta di tertium genus di responsabilità, diversa dalle tradizionali categorie della responsabilità penale e amministrativa, ma comunque riconducibile ad un modello latu sensu criminale, in cui vengono coniugati elementi del sistema penale e amministrativo, nel tentativo di contemperare le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia .Sebbene questa Corte si sia pronunciata, per incidens, sulla natura della responsabilità, ritenendo che si tratti di un tertium genus Sez. 6^, 18 febbraio 2010, numero 27735, Brill Rover s.r.l. ed altro , tuttavia deve ritenersi, condividendo quanto sostenuto da autorevole dottrina, che lo specifico problema relativo alla ammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento a carico degli enti non dipenda, in maniera decisiva, dalla risposta sulla natura della responsabilità prevista nel D.Lgs. numero 231 del 2001.La soluzione, infatti, può essere svincolata dal tema relativo alla definizione della tipologia della responsabilità da reato, che rischia di diventare una questione meramente nominalistica, per essere affrontata attraverso l'esame positivo dei contenuti della speciale normativa che disciplina il processo nei confronti degli enti, vagliandone la compatibilità con l'istituto codicistico della costituzione di parte civile.In questo approccio ermeneutico il punto di partenza non può che essere la constatazione che nel D.Lgs. numero 231 del 2001 manca ogni riferimento espresso alla parte civile.La sistematica rimozione, nel D.Lgs. numero 231 del 2001, di ogni richiamo o riferimento alla parte civile e alla persona offesa porta a ritenere che non si sia trattato di una lacuna normativa, quanto piuttosto di una scelta consapevole del legislatore, che ha voluto operare, intenzionalmente, una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica la parte civile non è menzionata nella sezione 2^, capo 3^ del decreto dedicata ai soggetti del procedimento a carico dell'ente, nè ad essa si fa alcun accenno nella disciplina relativa alle indagini preliminari, all'udienza preliminare, ai procedimenti speciali, alle impugnazioni ovvero nelle disposizioni sulla sentenza, istituti che, invece, nei rispettivi moduli previsti nel codice di procedura penale contengono importanti disposizioni sulla parte civile e sulla persona offesa.Peraltro, accanto alla materiale assenza di riferimenti riguardanti la parte civile, il D.Lgs. numero 231 del 2001 contiene alcuni dati specifici ed espressi che confermano la volontà di escludere questo soggetto dal processo.Da un lato, vi è l'articolo 27 che nel disciplinare la responsabilità patrimoniale dell'ente la limita all'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria, senza fare alcuna menzione alle obbligazioni civili dall'altro lato, appare particolarmente significativa la regolamentazione del sequestro conservativo, di cui all'articolo 54.L'omologo istituto codicistico di cui all'articolo 316 c.p.p. pone questa misura cautelare reale sia a tutela del pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario , sia delle obbligazioni civili derivanti dal reato , in quest'ultimo caso attribuendo alla parte civile la possibilità di richiedere il sequestro invece, il D.Lgs. numero 231 del 2001, cit. articolo 54 limita il sequestro conservativo al solo scopo di assicurare il pagamento della sanzione pecuniaria oltre che delle spese del procedimento e delle somme dovute all'erario , sequestro che può essere richiesto unicamente dal pubblico ministero.Anche qui il legislatore ha compiuto una scelta consapevole, escludendo la funzione di garantire le obbligazioni civili, funzione che, nella struttura della norma codicistica, presuppone la richiesta della parte civile.11.2.2. - Già queste osservazioni, che fanno leva sull'interpretazione letterale delle norme che disciplinano il processo a carico degli enti, evidenziano la scelta, compiuta dal legislatore del 2001, favorevole ad escludere la parte civile e dimostrano come il tentativo di proporre un'interpretazione che porti ad applicare, in via estensiva o analogica, le disposizioni codicistiche sulla costituzione della parte civile si presenti di difficile attuazione, soprattutto perchè manca una vera e propria lacuna normativa da colmare.L'ampliamento della competenza del giudice penale ad occuparsi anche dell'azione civile avrebbe dovuto avvenire attraverso una esplicita previsione di legge e a questo proposito si è rilevato, da parte di attenta dottrina, che l'articolo 111 Cost., così come modificato, pretende il rispetto del principio di stretta legalità quale criterio direttivo di tutta la disciplina del processo penale , sicchè non sarebbe ammissibile ricorrere ad una interpretazione analogica dell'articolo 185 c.p. e articolo 74 c.p.p Tuttavia, parte della giurisprudenza di merito e della dottrina ritiene che sia possibile applicare direttamente l'articolo 185 c.p. e articolo 74 c.p.p. attraverso la clausola generale di cui al D.Lgs. numero 231 del 2001, articolo 34, sul presupposto della piena compatibilità dell'istituto della costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti.Invero, il tentativo di applicare direttamente nel D.Lgs. numero 231 del 2001 le due disposizioni menzionate non tiene conto del particolare meccanismo attraverso cui l'ente viene chiamato a rispondere per i reati posti in essere nel suo interesse o vantaggio.Il reato che viene realizzato dai vertici dell'ente, ovvero dai suoi dipendenti, è solo uno degli elementi che formano l'illecito da cui deriva la responsabilità dell'ente, che costituisce una fattispecie complessa, in cui il reato rappresenta il presupposto fondamentale, accanto alla qualifica soggettiva della persona fisica e alla sussistenza dell'interesse o del vantaggio che l'ente deve aver conseguito dalla condotta delittuosa posta in essere dal soggetto apicale o subordinato.In altri termini, all'accertamento del reato commesso dalla persona fisica deve necessariamente seguire la verifica sul tipo di inserimento di questa nella compagine societaria e sulla sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio derivato all'ente solo in presenza di tali elementi la responsabilità si estende dall'individuo all'ente collettivo, in presenza cioè di criteri di collegamento teleologia dell'azione del primo all'interesse o al vantaggio dell'altro, che risponde autonomamente dell'illecito amministrativo .Ne deriva che tale illecito non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone.Di conseguenza, se l'illecito amministrativo ascrivibile all'ente non coincide con il reato, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende, deve escludersi che possa farsi un'applicazione dell'articolo 185 c.p. e articolo 74 c.p.p., che invece contengono un espresso ed esclusivo riferimento al reato in senso tecnico.L'ostacolo maggiore all'applicazione diretta dell'articolo 185 c.p. nella disciplina del processo ex D.Lgs. numero 231 del 2001 - non importa se attraverso una interpretazione estensiva o analogica - è costituito dagli stessi limiti ermeneutici ed applicativi della norma citata, che si riferisce esclusivamente ai danni cagionati dal reato, nozione quest'ultima che non può coprire anche l'illecito dell'ente, così come delineato nel citato D.Lgs. numero 231 del 2001.Allo stesso modo, anche l'articolo 74 c.p.p. non può trovare applicazione attraverso la clausola di chiusura contenuta nel D.Lgs. numero 231 del 2001, articolo 34 in quanto esso consente la costituzione della parte civile in funzione del ristoro dei danni previsti dall'articolo 185 c.p., espressamente richiamato, cioè dei danni derivanti dal reato.In sostanza, l'impossibilità di procedere all'applicazione delle due norme richiamate discende dal fatto che per entrambe il presupposto per la costituzione di parte civile è rappresentato dalla commissione di un reato, non dell'illecito amministrativo.11.2.3. - Queste stesse obiezioni valgono anche nei confronti della tesi sostenuta nella articolata e approfondita memoria presentata nell'interesse di Eni s.p.a. ed Eni Power s.p.a. che, riprendendo argomentazioni proposte da un'autorevole dottrina, ritiene ammissibile la costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti, assumendo che la nuova ipotesi di illecito delineata dal D.Lgs. numero 231 del 2001 è, comunque, fonte di responsabilità civile ai sensi dell'articolo 2043 c.c., sicuramente azionabile in sede civile e poichè costituisce principio generale che anche in sede penale vi sia la possibilità di azionare tali pretese in base all'articolo 185 c.p. e articolo 74 c.p.p., una volta che la competenza del giudice penale è stata estesa all'illecito dell'ente non vi sarebbero ragioni per introdurre una diversa disciplina in materia, soprattutto considerando che l'ente risponde per fatto proprio e in misura del tutto autonoma rispetto alla condotta della persona fisica.Il ricorso all'articolo 185 c.p. viene giustificato sia per la sostanziale natura civilistica della norma, che ne consente l'applicazione anche analogica, sia per l'inscindibile collegamento della responsabilità dell'ente con l'illecito penale, situazione questa che legittima l'ingresso nel processo a carico dell'ente delle disposizioni in materia di costituzione della parte civile.Invero, tanto l'inquadramento dell'illecito dell'ente come fatto produttivo di danni risarcibili ex articolo 2043 c.c., quanto il riconoscimento che quella dell'ente sia una responsabilità per fatto proprio, non paiono argomenti idonei a dimostrare che in questo processo debba trovare spazio la disciplina sulla costituzione di parte civile, in mancanza di dati normativi positivi che autorizzino una tale conclusione.Sotto un primo profilo, si osserva come la gestione dell'azione civile nel processo penale, lungi dall'essere un principio generale dell'ordinamento, si presenti in realtà sotto specie di una deroga al principio della completa autonomia e separazione del giudizio civile da quello penale, affermato nel codice del 1988 in particolare dall'articolo 75 c.p.p., espressione del c.d. favor separationis , tanto che le disposizioni processuali che consentono la decisione nel giudizio penale dell'azione civile sono da considerare di natura quasi eccezionale.Sicchè deve convenirsi con chi, in assenza di ogni esplicito riferimento ad azioni diverse da quella penale e in mancanza di una qualunque base normativa al riguardo, esclude che nel processo ex D.Lgs. numero 231 del 2001 possa avere ingresso un'azione civile nei confronti dell'ente per ritenere che il giudice competente a conoscere l'illecito dell'ente sia anche competente a conoscere i danni derivanti da esso sarebbe stata necessaria una previsione espressa.Inoltre, la scelta del legislatore di non prevedere la costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti può trovare una ulteriore e ragionevole spiegazione sotto il profilo sostanziale, nel senso che non pare individuabile un danno derivante dall'illecito amministrativo, diverso da quello prodotto dal reato.Non convince la tesi, sostenuta nella memoria depositata dal difensore dell'Eni s.p.a. e dell'Eni Power s.p.a., secondo cui il danno prodotto dall'illecito amministrativo è pur sempre cagionato dal medesimo fatto che è reato per la persona fisica e illecito per l'ente , sicchè si tratterebbe di un fatto di entrambi i soggetti con la conseguenza che anche l'ente risponde dei danni causati dal suo contributo concorsuale al reato .In questo modo si finisce per sostenere che l'esercizio dell'azione civile nel processo disciplinato dal D.Lgs. numero 231 del 2001 riguardi il danno derivante dal reato, attribuendolo indifferentemente alla persona fisica e all'ente e negando, contraddittoriamente, che quella dell'ente sia una responsabilità per fatto proprio, che trova la sua ragione nella commissione di un illecito complesso, in cui il reato è solo uno degli elementi.Invece, va ribadita l'autonomia dell'illecito addebitato all'ente, dovendo distinguersi la sua responsabilità da quella della persona fisica e riconoscendo che l'eventuale danno cagionato dal reato non coincide con quello derivante dall'illecito amministrativo di cui risponde l'ente.In realtà, deve convenirsi con quella dottrina che, molto acutamente, ha evidenziato come i danni riferibili al reato sembrano esaurire l'orizzonte delle conseguenze in grado di fondare una pretesa risarcitoria , escludendo che possano esservi danni ulteriori derivanti direttamente dall'illecito dell'ente.È stato posto in risalto come non possano essere considerati danni prodotti dall'illecito amministrativo quelle ripercussioni negative che si determinano sugli interessi dei soci, dei creditori e dei dipendenti dell'ente per effetto dell'applicazione delle sanzioni a seguito dell'accertata responsabilità dell'ente, in quanto l'eventuale lesione dei diritti di questi soggetti non trova la sua causa diretta nell'illecito amministrativo peraltro, anche i danni subiti dai soci e dai terzi incolpevoli cui faceva riferimento la direttiva contenuta nell'articolo 11, lett. v della Legge Delega numero 300 del 2000, a cui non è stata data attuazione, non erano quelli derivanti direttamente dall'illecito amministrativo, ma costituivano anch'essi ricadute negative derivanti dall'applicazione delle sanzioni, pecuniarie o interdittive.Se non è ipotizzabile l'esistenza di un danno che possa presentarsi come conseguenza immediata e diretta dell'illecito amministrativo allora l'ostinato silenzio del legislatore sulla parte civile e sulla possibilità di costituirsi in giudizio per far valere le pretese risarcitorie assume un significato ancor più preciso, apparendo del tutto ragionevole l'esclusione della parte civile dalla cerchia dei protagonisti del processo a carico dell'ente.In ogni caso, anche a voler ammettere, in astratto, che un danno possa derivare direttamente dall'illecito amministrativo, mancherebbe comunque, per le ragioni che si sono già illustrate, ogni appiglio normativo che giustifichi la costituzione della parte civile nel processo ex D.Lgs. numero 231 del 2001.11.2.4. - Un altro argomento utilizzato nella memoria difensiva dell'Eni s.p.a. e dell'Eni Power s.p.a. a sostegno dell'ammissibilità della costituzione della parte civile nel processo degli enti fa leva sulle disposizioni del D.Lgs. numero 231 del 2001, che pongono le premesse per il soddisfacimento delle pretese risarcitorie e restitutorie della persona offesa, sottolineando come la ratto del decreto sia quella di tutelare l'interesse dei danneggiati dal fatto illecito, al pari dell'interesse alla punizione dell'ente.Il riferimento è, in particolare, agli articolo 12 e 17, che consentono all'ente di ottenere l'esclusione ovvero la riduzione delle sanzioni pecuniarie e interdirti ve in caso di avvenuto risarcimento dei danni patiti dalla vittima, nonchè all'articolo 19, che prevede la riduzione della confisca per la parte di profitto che può essere restituita al danneggiato.A questo proposto si osserva, preliminarmente, che dalla formulazione inequivocabile delle disposizioni menzionate si ricava che il danno cui si riferiscono è quello derivante dal reato e non quello determinato dall'illecito amministrativo commesso dall'ente, sicchè le argomentazioni possono essere rovesciate e sostenere che il legislatore, ancora una volta, ha escluso la configurabilità di conseguenze dannose derivante dall'illecito amministrativo, limitandosi a prevedere sconti di sanzioni collegate esclusivamente a forme di reintegrazione di danni da reato.In ogni caso, è stato notato come il fatto che in materia di responsabilità degli enti si sia costruito un sistema di riduzione sanzionatoria collegato a condotte di c.d. ravvedimento operoso è circostanza del tutto neutra rispetto al problema dell'ammissibilità della costituzione di parte civile, come è dimostrato dalla disciplina del processo penale a carico di imputati minorenni, in cui è prevista la possibilità di adottare prescrizioni volte a riparare le conseguenze del reato articolo 28 e nello stesso tempo è esclusa l'ammissibilità dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale articolo 10 .11.2.5. - In conclusione deve ritenersi che nel processo a carico dell'ente, così come disciplinato nel D.Lgs. numero 231 del 2001, non sia ammissibile la costituzione della parte civile.Questa deroga rispetto a quanto previsto nel modello di processo penale ordinario non è in contrasto con gli articolo 3 e 24 Cost., così come ritiene il difensore delle società Eni s.p.a. e Eni Power s.p.a. nella richiesta subordinata della sua memoria.La disparità di trattamento con il processo ordinario disciplinato dal codice può ritenersi sorretta da adeguata giustificazione in considerazione dell'illecito oggetto dell'accertamento nel processo a carico dell'ente che, prescindendo dalla definizione della sua natura amministrativa o penale ovvero di un terzo genere , appare strutturato nella forma di una fattispecie complessa, in cui, come si è visto, il reato costituisce solo uno degli elementi fondamentali dell'illecito, sicchè appare ragionevole che il legislatore abbia escluso, per le ragioni che si sono sopra illustrate, la costituzione della parte civile.Anche il dedotto contrasto con l'articolo 24 Cost. appare manifestamente infondato.Innanzitutto deve escludersi che la norma citata elevi a regola costituzionale quella del simultaneus processus inoltre, nel processo ex D.Lgs. numero 231 del 2001 la posizione del danneggiato è comunque garantita, in quanto oltre a poter tutelare immediatamente i propri interessi davanti al giudice civile, può citare l'ente come responsabile civile ai sensi dell'articolo 83 c.p.p. nel giudizio che ha ad oggetto la responsabilità penale dell'autore del reato, commesso nell'interesse nella persona giuridica, e lo può fare - normalmente - nello stesso processo in cui si accerti la responsabilità dell'ente.Invero, un'analoga questione si è posta in passato, seppure in un contesto diverso.La Corte costituzione con la sentenza numero 60 del 1996, modificando una sua precedente giurisprudenza sentenze numero 106 del 1977 e numero 78 del 1989 , ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'articolo 270 c.p.m.p. che, nei processi di competenza del giudice militare, escludeva la proponibilità dell'azione civile per le restituzioni e il risarcimento dei danni.Tuttavia, in quella decisione il giudice delle leggi ha ritenuto irragionevole l'esclusione della parte civile dal processo, valutando come non giustificabili le differenze di disciplina tra i due modelli processuali, il cui oggetto di accertamento era comunque costituito, in entrambi i casi, da reati, sicchè non vi era ragione perchè il giudice militare non potesse conoscere anch'egli degli interessi civili nascenti da questi.Inoltre, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 270 c.p.m.p. è stata affermata perchè rendeva impossibile l'inizio immediato dell'azione per le restituzioni ed il risarcimento del danno infatti, tale norma, al secondo comma, prevedeva la sospensione obbligatoria del giudizio civile fino all'esito di quello penale militare, realizzando in questo caso l'ingiustificata disparità di trattamento raffrontata con la corrispondente disciplina del processo penale ordinario.Nel caso in esame, invece, la situazione è profondamente diversa, in quanto la deroga in ordine alla posizione della parte civile nel processo a carico degli enti trova ampia giustificazione con riferimento alla diversa regiudicanda oggetto di accertamento, cioè l'illecito amministrativo, rispetto all'oggetto del procedimento ordinario inoltre, nella specie trova piena applicazione l'articolo 75 c.p.p., che consente l'esercizio immediato dell'azione civile nella sede propria, senza alcuna sospensione sino all'esito del giudizio penale.12. - Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, limitatamente alla condanna della O.M.S. Saleri s.p.a. alla rifusione delle spese in favore di Eni s.p.a, Eni Power s.p.a. e SnamProgetti s.p.a., erroneamente ammesse a costituirsi come parti civili nel processo nei confronti della stessa società sempre in accoglimento del ricorso della O.M.S. Saleri s.p.a. deve disporsi la rettifica della sentenza, così come indicato nel dispositivo all'inammissibilità degli altri ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a versare una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.500,00, in considerazione delle questioni trattate.P.Q.M.Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna della O.M.S. Saleri s.p.a. alla rifusione delle spese in favore delle parti civili rettifica altresì la sentenza impugnata nel senso che ove in dispositivo si legge confisca della somma di Euro 325.00,00 deve invece leggersi confisca della somma di Euro 283.000,00 .Dichiara inammissibili gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.