Il mero possessore di un titolo di credito cartolare, che non risulti prenditore né giratario dello stesso, difettando sul titolo l’indicazione del beneficiario, non può considerarsi legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto, se non dimostri l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito.
Nuova pronuncia della Cassazione, con la sentenza numero 15524 del 20 giugno 2013, in materia di titoli di credito, intervennuta in relazione al delicato rapporto tra legittimazione e possesso di un titolo al portatore. Il semplice possesso del titolo non ha significato univoco, ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che esso sia pervenuto al possessore abusivamente né il titolo può comunque valere come promessa di pagamento, ai sensi dell’articolo 1988 c.c., atteso che l’inversione dell’onere della prova, previsto da tale disposizione, opera solo nei confronti di colui a cui la promessa sia stata effettivamente fatta, sicché anche in tal caso il mero possessore di un titolo all’ordine privo di valore cartolare , non risultando dal documento, deve fornire la prova della promessa di pagamento a suo favore Il caso. La sentenza in commento definisce una controversa vicenda relativa alla titolarità di un certificato di deposito, che il S.C. qualifica alla stregua di un titolo di credito al portatore. In particolare, si discuteva della possibilità, per il portatore del certificato, di ottenerne la prestazione descritta nello stesso certificato, pur in assenza di un rapporto causale che ne giustificasse il possesso. Sul punto, la Corte di Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva accolto la domanda del possessore del titolo, ritenendo sufficiente tale requisito per ottenere la prestazione descritta nel titolo stesso. La Cassazione, per contro, rinviando all’esame della Corte territoriale, ritiene invece necessario appurare se, unitamente al possesso, il soggetto che affermava essere il legittimato a ricevere la prestazione potesse vantare una causa che giustificasse, appunto, il trasferimento del certificato giustificazione che, nel caso di specie, veniva desunta da una asserita donazione . Titolo di credito legittimazione e titolarità del diritto. La disciplina dei titoli di credito si presenta molto particolare ed a tratti complessa. La distinzione fondamentale, come noto, è tra titolarità del diritto menzionato e legittimazione all’esercizio dello stesso. La prima è attribuita al proprietario del titolo. In realtà, la proprietà del titolo si presume in chi si dimostri possessore e tale presunzione si definisce con il termine, appunto, di legittimazione. In altri termini, il proprietario del titolo è certamente legittimato dalla prestazione, ma potrebbe esserlo anche chi non lo è in quanto legittimato dal possesso. Si pensi, ad esempio, a chi diviene possessore, in buona fede, di un titolo rubato e poi, al medesimo possessore di buona fede, girato egli ha certamente diritto, essendo in buona fede, alla prestazione indicata nel titolo a lui pervenuto. Inversione dell’onere della prova. Il possesso di un titolo di credito, tra l’altro, attribuisce al possessore una particolare posizione probatoria in caso di azione diretta ad ottenere quanto indicato nel titolo che egli detiene. Secondo l’articolo 1987 c.c., le promesse unilaterali producono effetti obbligatori nei limiti stabiliti dalla legge, mentre la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, secondo quanto previsto dall’articolo 1988 c.c., dispensano colui al quale sono fatte dall’onere di provare il rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria. In tale contesto, un titolo di credito – ad esempio, un assegno – esonera il possessore di provare, nei rapporti fra traente e prenditore o fra girante ed immediato giratario, il rapporto fondatamente per il quale il titolo è stato emesso. Tale esonero, però, non sussiste, invece, nei confronti di colui che si atteggi quale mero possessore del titolo, giacché - mancando in esso l’indicazione del soggetto al quale è fatta la promessa - non vi è ragione di attribuire il beneficio dell’inversione dell’onere della prova circostanza, questa, evidenziata dal S.C. nella sentenza in commento ed alla base della decisione di rinvio alla Corte di Appello. Legittimazione in caso di accollo. La regola della legittimazione assume contorni peculiari in caso di accollo. In occasione di tale operazione, l’emissione di assegno bancario, ove si assuma, dal prenditore, avvenuta in relazione ad un accollo, da parte del traente, del debito di un terzo, si configura alla stregua di una successione in via cumulativa a titolo particolare del debito stesso, con la conseguenza che lo stesso prenditore non è legittimato a far valere il carattere astratto della promessa di pagamento incorporata nel titolo in quanto lo schema delineato dall’articolo 1988 c.c. concerne l’esistenza del debito dello stesso promittente verso lo stesso promissario ed è, pertanto, onerato della dimostrazione della esistenza del rapporto fondamentale in relazione al quale vanta il proprio credito. Titolo di credito come promessa di pagamento sì Quando la cambiale viene usata come promessa di pagamento, l’onere della prova dell’inesistenza del rapporto causale si trasferisce - ai sensi dell’articolo 1988 c.c. - sul debitore soltanto se risulta acquisita la prova del suo diretto rapporto cartolare con il creditore. In un caso, in particolare, il S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che - in relazione all’utilizzazione di una cambiale come promessa di pagamento - aveva ritenuto il giratario della medesima gravato dell’onere della prova del rapporto sottostante, in quanto il titolo era stato da lui azionato nei confronti di un soggetto diverso dal diretto girante. ma non è sufficiente la sola consegna. Considerato che l’assegno bancario, perduto il suo vigore cartolare a seguito di prescrizione della relativa azione da promuovere entro sei mesi , abbia valore di mera promessa di pagamento, i diritti derivanti da tale promessa di pagamento, secondo la disciplina dell’articolo 1988 c.c., non sono suscettibili di trasferimento per effetto della sola traditio del titolo. Titolo di credito e libretto di deposito giurisprudenza a confronto. La sentenza in commento, nello stabilire la necessità di provare anche la causa del trasferimento del titolo del quale il possessore chiede l’adempimento della relativa prestazione, è l’espressione di un orientamento giurisprudenziale diverso da quello sin qui tenuto dai Giudici di Piazza Cavour. Finora, infatti, la giurisprudenza era solita affermare che il libretto di deposito a risparmio al portatore ha natura di titolo di credito e che il trasferimento del diritto incorporato e della legittimazione a riscuotere avviene con la consegna, che è negozio astratto, svincolato dall’esistenza di una causa ad esso esterna c.d. iusta causa traditionis . In forza di tale principio, spetterebbe al possessore provarne la mancanza al fine di rimuovere gli effetti del negozio attributivo ed impedire che si consolidino definitivamente.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 marzo – 20 giugno 2013, numero 15524 Presidente Piccialli – Relatore Bianchini Svolgimento del processo 1 L.R.L. citò, con atto notificato il 30 settembre 1998, innanzi al Tribunale di Catania, la nipote L.R.F.A. esponendo che assieme al marito C.G. , essa attrice aveva costituito un certificato di deposito al portatore presso la Banca Nazionale del lavoro, dell'importo di lire 43 milioni che, successivamente al decesso del coniuge, avvenuto nel 1995, stante le proprie precarie condizioni di salute, aveva dato incarico alla suddetta nipote si riscuotere gli interessi semestrali dal predetto titolo rappresentativo per poi consegnarli ad essa esponente, unica avente diritto che tale incarico sarebbe stato eseguito sino all'agosto del 1997, allorché la convenuta aveva sostituito il certificato al portatore con uno nominativo a se stessa intestato che a fronte della proprie rimostranze, la nipote aveva affermato di esser titolare delle somme portate dal certificato, in quanto donatele dal defunto zio che a seguito di ciò aveva denunziato la congiunta per i reati di truffa ed appropriazione indebita. 2 — Subentrato il figlio dell'attrice, M. , nella posizione delle predetta, deceduta nel corso del giudizio, e costituitasi L.R.F.A. sostenendo la tesi della donazione da parte dello zio, l'adito Tribunale, con sentenza numero 2120/2003, dichiarò che l'importo del certificato nominativo era di esclusiva pertinenza di L.R.M. , quale erede della madre, atteso che dall'istruttoria della causa sarebbe emerso che l'originario titolo al portatore era stato costituito con denaro del C. , pervenendo poi nella disponibilità esclusiva della vedova ritenne inoltre che non fosse stata fornita alcuna prova della donazione delle somme dallo zio alla nipote né tanto meno della materiale consegna del titolo dal primo alla seconda, di tal che, osservò sempre il Tribunale, la stessa convenuta, rispondendo a capitolo di interpello, aveva affermato che l'anziano zio avrebbe manifestato la volontà di destinare, in futuro, ad essa convenuta, le somme portate dal titolo rappresentativo. 3 — Nel porre in esecuzione la sentenza Michele La Torre era venne a conoscenza che, nel 1999, la convenuta aveva denunziato lo smarrimento del titolo, ottenendone il rimborso da tale circostanza era scaturita nuova denunzia per truffa e falso ideologico di L.R.F.A. , la quale era stata condannata, per questo reato, in primo grado. 4 — La predetta impugnò la sentenza numero 2120/2003, contrastata da L.R.M. la Corte di Appello di Catania accolse la impugnazione dichiarando la pertinenza del certificato di deposito all'appellante sostenendo che siccome il libretto di risparmio al portatore — al quale evidentemente assimilava il certificato di deposito doveva essere in tutto equiparato ad un titolo di credito nominativo e quindi, dotato degli stessi requisiti di astrattezza e autonomia, il possessore dello stesso ben poteva chiederne la trasformazione per il tramite dell'intestazione nominativa che sarebbe stato quindi onere del tradens di fornire la prova del rapporto causale a giustificazione della traditio, per titolo diverso, tale da non legittimare parte appellante alla riscossione che, in punto di fatto, sarebbe stato pacifico che la defunta zia avrebbe affidato alla nipote il certificato di deposito per riscuotere gli interessi, nell'ambito di un rapporto fiduciario e che le testimonianze valorizzate in primo grado sarebbero state suscettibili di diversa valutazione. 5 — Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso L.R.M. , facendo valere tre motivi ha risposto L.R.F.A. con controricorso. Motivi della decisione 1 — Con il primo motivo si denunzia la presenza di vizi di motivazione — nella loro triplice manifestazione portata dall'articolo 360, 1 comma numero 5 c.p.c. — nel percorso logico seguito dalla Corte distrettuale laddove riconobbe una pretesa donazione da parte del C. delle somme portate dal certificato di deposito, mentre la circostanza sarebbe stata negata dalla stessa appellante in sede di interpello, allorquando aveva riferito dell'intendimento dello stesso C. a destinarle in futuro le somme portate nel certificato stesso e non già di donargliele all'attualità, così da togliere credibilità a quella testimonianze di parte allora convenuta che avevano invece confermato la donazione. 1.a — Con ulteriore articolazione del medesimo motivo — espressa solo in sede argomentativa si fa valere la violazione dell'articolo 782 cod. civ. avendo rinvenuto, la Corte distrettuale, che potesse sussistere un atto di donazione anche in assenza di atto pubblico. 1.b Il motivo, da un lato è sfornito di un quesito à sensi dell'articolo 366 bis c.p.c. nella parte interessata dalla sostanziale violazione ex articolo 782 c.p.c. dall'altro è infondato in quanto la ratio decidendi posta a base della decisione era basata sull'astrattezza processuale che caratterizza il titolo di credito al quale la Corte catanese equiparò il certificato di deposito ed alla mancata soddisfazione dell'onere probatorio dell'esistenza di una causa accipiendi che non legittimasse la nipote dell'originaria titolare a disporre del titolo dunque non — in positivo sull'affermazione dell'esistenza di una donazione da parte del defunto C. o della coniuge superstite. 2 Con il secondo motivo, connesso logicamente al primo, il vizio di motivazione come sopra esposto viene messo in relazione alla mancata prova della effettiva e legittima disponibilità del certificato di deposito da parte della contro ricorrente, dal momento che la stessa non avrebbe provato né che il C. le avesse affidato il titolo né che lo stesso fosse stato gestito per causa diversa dal rapporto di mandato intrattenuto con la zia per la riscossione periodica degli interessi. 3 Con il terzo motivo il vizio di motivazione viene rapportato alla ritenuta mancata dimostrazione che il titolo fosse stato sottratto dalla nipote, non valutando le vicende che avevano portato la stessa alla trasformazione del titolo in nominativo né la tesi sostenuta dalla allora convenuta nel costituirsi in giudizio — lamentandosi in quella sede di aver dovuto restituire il titolo trasformato in nominativo alla zia e neppure la circostanza che il procedimento penale si era concluso con la condanna della nipote. 4 — I due motivi appaiono fondati in quanto la pretermissione, nello svolgimento argomentativo della sentenza, della descrizione e dell'analisi delle vicende che avrebbero portato la nipote a gestire in autonomia il titolo, minava la tenuta logica della motivazione che, nell'applicare i principi della inversione dell'onere della prova della titolarità del diritto incorporato nel titolo, aveva dato per accertata quella che costituiva invece la premessa minore del ragionamento, vale a dire la volontaria traditio del titolo rappresentativo da parte del titolare che, solo se positivamente verificata superando quindi le emergenze di fatto ricavabili dai giudizi penali e la contraddittorietà tra la tesi originariamente sostenuta dalla contro ricorrente in merito alla donazione da parte del C. delle somme portate dal certificato e quella successivamente portata avanti nel corso del processo , avrebbe consentito di far beneficiare, chi aveva la materiale disponibilità dello stesso, della presunzione di titolarità delle somme o dei valori da esso rappresentati. 5 Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso e respinge il primo cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti rinvia alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.