Risponde del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale colui che anche dopo la formale cessazione dalla carica di amministratore unico, continui ad occuparsi della gestione della società poi dichiarata fallita.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 25872 del 12 giugno 2013. Il caso. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, che aveva confermato la sentenza di condanna resa in sede di rito abbreviato dal GUP per bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione, nonché preferenziale, propone ricorso per Cassazione l’imputato deducendo fra gli altri motivi la propria intervenuta cessazione dalla carica di amministratore unico quasi due anni prima della dichiarazione di fallimento della società. Deduce infatti il ricorrente che sia al momento della cessione preferenziale dei macchinari, sia nel periodo durante il quale si contestava l’omessa tenuta delle scritture contabili, egli era cessato dalla qualifica di amministratore unico, nel frattempo assunta da atro soggetto. Il soggetto attivo del delitto di bancarotta. La bancarotta societaria rientra nel novero dei c.d. reati propri, in quanto il soggetto agente deve avere una specifica qualifica soggettiva, normativamente indicata in quanto di detto reato rispondono solo «amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite». E’ evidente che all’interno della struttura societaria tali figure soggettive presuppongono una formale investitura e nomina a tali incarichi nell’ambito della persona giuridica, secondo la normativa del codice civile, come integrato dallo statuto e dall’atto costitutivo della società. Come noto nella prassi accade assai di frequente che le funzioni di amministratore o comunque di gestione all’interno della società vengano svolte da soggetti privi della formale investitura di amministratore, ed il problema è stato da tempo affrontato anche in dottrina ed in giurisprudenza in relazione alla problematica delle estensione o meno a tali soggetti delle disposizioni penali in tema di bancarotta impropria. La figura dell’amministratore di fatto è dunque da tempo riconosciuta anche nella aule di udienza penale e da tempo non si esita ad estendere la responsabilità penale per fatti di bancarotta anche in capo a quel soggetto che, pur non investito formalmente, abbia esercitato di fatto i poteri tipici dell’amministratore formale. La codificazione della responsabilità penale dell’amministratore di fatto Come sempre più di sovente accade è l’elaborazione giurisprudenziale a fungere da input agli interventi legislativi. Così proprio in punto di penale responsabilità dell’amministratore di fatto si deve menzionare la modifica introdotta all’articolo 2639 c.c dal d.lgs. numero 61/2002 che, in tema di reati societari, sotto la rubrica «estensione delle qualifiche soggettive», equipara al soggetto formalmente investito di una qualifica o di una funzione, dalla legge civile, il soggetto che di fatto esercita in modo continuativo e significativo i poteri inerenti alla qualifica o alla funzione. Infine come non menzionare il dettato dell’articolo 5 d.lgs. numero 231/2001, che – in tema di responsabilità penale degli enti – identifica anche nei soggetti che esercitano di fatto la gestione o il controllo dell’ente i vertici apicali la cui condotta penalmente rilevante è presupposto della fattispecie illecita da cui scaturisce la responsabilità penale dell’ente stesso. ed il suo recepimento giurisprudenziale. Naturalmente la giurisprudenza non è rimasta indifferente alla novella legislativa, dalla quale ha ben presto tratto argomenti interpretativi per arrivare ad affermarle che per la figura dell'amministratore di fatto, vale il principio della assoluta equiparazione alla figura dell'amministratore di diritto quanto a doveri, proprio in forza del novellato dettato normativo dell’articolo 2639 c.c La conseguenza necessitata di tale impostazione è che anche l’amministratore di fatto in presenza delle altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, ha penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di condotte omissiva colpevoli. Naturalmente alla responsabilità dell’amministratore di fatto assai di sovente si affianca quella degli amministratori di diritto sia quando gli stessi abbiano agito di comune accordo sia quando risulti applicabile la disciplina del concorso eventuale di persone nel reato ex articolo 110 c.p Dimissioni solo di forma I principi sopra, seppur brevemente, enucleati consentono di fornire una agevole risposta al quesito affrontato dalla decisione in esame. Nel caso di specie l’amministratore unico di una società, due anni prima della dichiarazione di fallimento, aveva rassegnato le dimissioni da tale incarico, ma di fatto non aveva mai abbandonato la gestione della società stessa, anche per le fideiussioni personali prestate a favore della società ed ancora in essere. Di fatto dunque l’amministratore dimissionario aveva continuato, in concorso con il neoincaricato amministratore di diritto, a svolgere il proprio ruolo dirigenziale con una costante ingerenza nella gestione della società, pur abbandonata la veste formale di amministratore. La soluzione suggerita dalla Corte è dunque agevole anche costui risponderà dei fatti di bancarotta accaduti durante tale arco temporale, con conseguente conferma della impugnata sentenza della Corte di Appello di Torino, se non fosse per la prescrizione che cancella la condanna per il più lieve reato di bancarotta preferenziale.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 maggio - 12 giugno 2013, numero 25872 Presidente Dubolino – Relatore Palla Fatto e diritto F.V. ricorre avverso la sentenza 7.6.12 della Corte di appello di Torino che ha confermato quella, in data 19.12.06, del locale g.u.p. con la quale è stato condannato, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale capi 1 e 3 , nonché per quello di bancarotta preferenziale capo 2 , riconosciute attenuanti generiche prevalenti, alla pena - condizionalmente sospesa - di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre le pene accessorie di legge, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile Fallimento ADAM.CO, società dichiarata fallita il 21.10.04 e di cui il F. era stato amministratore di diritto dalla sua costituzione fino al 27.12.02 e amministratore di fatto fino alla data del fallimento, mentre A.R. e R.P. per i quali si era proceduto separatamente ne erano stati amministratori di fatto e M.M. , che aveva definito la sua posizione ai sensi degli articolo 444 ss. c.p.p., amministratore di diritto dal 27.12.02 fino al fallimento. Deduce il ricorrente, nel chiedere l'annullamento dell'impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b c.p.p. per avere erroneamente i giudici territoriali considerato che il deficit fallimentare ingiustificato, di Euro 210.160,73, composto da debiti insorti prima del passaggio formale tra la gestione del F. e quella dell'amministratore subentrante, M. , era corrispondente al finanziamento bancario che era stato dirottato “ad ignoti scopi”, allorché la società già si presentava in situazione di insolvenza, laddove invece - evidenzia il ricorrente - l'importo di Euro 310.327,73, che rappresentava il passivo fallimentare netto storico dal quale il curatore aveva detratto l'ammontare delle perdite subite dalla società nei due anni di attività pari ad Euro 100.167,00 , per pervenire all'ammontare del deficit non giustificato, si era formato per effetto della datio in solutum ad opera dell'A. , in favore della BM Biraghi s.p.a., e del R. , in favore della International Logistic s.r.l., dei beni societari, consistenti in quattro presse e nelle attrezzature acquistate presso il fornitore P. , che aveva impedito il soddisfacimento della Carige, che vantava un credito, per finanziamenti ed anticipi su fatture, per Euro 269.154,04, sul totale di Euro 310.327,73. Dimostrato, quindi, che i beni della società erano stati destinati all'adempimento di alcune delle obbligazioni sociali, ne conseguiva l'insussistenza della distrazione, essendo risultata destituita di fondamento l'affermazione dei giudici torinesi circa la destinazione “ad ignoti scopi” del finanziamento Carige, il quale invece era stato impiegato in parte per l'acquisto dei macchinari necessari per la produzione ed in parte per il sostentamento delle spese correnti di gestione emolumenti agli amministratori, pagamento di dipendenti e fornitori, ecc. . Quanto alla bancarotta documentale, della tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali il F. non se ne era dovuto più occupare dal momento della cessazione della carica, mentre, quanto alla bancarotta preferenziale, l'imputato non si era mai occupato della cessione dei beni della società, salvo a venir coinvolto, suo malgrado, dagli esattori della International Logistic nella riunione del maggio 2003. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma 1, lett. e c.p.p. dal momento che, avendo la sentenza impugnata ammesso che la relazione del curatore fallimentare non era idonea a dimostrare la distrazione, per difetto della specifica individuazione dei cespiti distratti, risultava erroneo sostenere che dovesse essere l'imputato a richiedere chiarimenti al curatore e che avendo il F. chiesto la definizione del processo con il rito abbreviato si dovrebbe assumere come conseguita anche la prova della distrazione. Se infatti - osserva il ricorrente - il rito abbreviato condiziona, sin quasi ad annullarlo, il diritto dell'imputato di difendersi provando, sicuramente non modifica lo standard probatorio richiesto al giudice per pronunciare sentenza di condanna e pertanto, se la relazione del curatore necessitava di ulteriori chiarimenti, per ciò stesso era inidonea a fornire la prova della esistenza di determinati beni prima della dichiarazione del fallimento e della loro inesistenza dopo la dichiarazione di esso. Inoltre - si deduce con il terzo motivo - il contenuto di taluni atti del processo smentiva l'assunto della sentenza secondo cui l'imputato non aveva fornito giustificazione alcuna dei beni facenti parte del patrimonio della società fallita, in quanto dai verbali di interrogatorio 18.10.05 e 26.1.06 del F. , nonché dall'atto di appello del 15.3.07 risultava che l'imputato aveva ribadito che il deficit ingiustificato si spiegava con il mancato rinvenimento dei macchinari, restituiti dal R. e dall'A. alle soc. Biraghi e International Logistic nel 2003, non quindi sotto la gestione del F. , per cui non corrispondeva al vero che il ricorrente non aveva spiegato quale fosse stata la destinazione dei beni dell'impresa e per quali motivi si fosse formato il deficit ingiustificato. Con il quarto motivo si deduce illogicità della motivazione e violazione di legge per essere stata acquisita la prova della distrazione, per la prima volta, con la sentenza di appello, attraverso l'apprezzamento del debito residuo a carico del ceto bancario, senza la preliminare positiva verifica circa la destinazione delle risorse ritratte dal finanziamento bancario, nonché violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. c c.p.p., in relazione agli articolo 521 e 522 c.p.p., per difformità della descrizione, nella imputazione, delle modalità di realizzazione della bancarotta per distrazione, attraverso il riferimento al deficit ingiustificato, rispetto alla descrizione fattane in sentenza, attraverso il riferimento a considerazioni di effettività della consegna dei macchinari al creditore International Logistic e di stima del valore dei macchinari ceduti al creditore Biraghi, originario fornitore della società fallita, verso il quale la sentenza aveva individuato un debito, residuo di 70.000.00 e,uro. mentre alla Banca non erano stati restituiti i soldi mutuati, ritenendosi la predetta differenza pertanto distratta, ma confondendo inoltre il debito con la distrazione, in mancanza di prova - sostiene il ricorrente - che il finanziamento bancario fosse stato destinato a finalità diverse da quelle imprenditoriali. Quanto poi alla cessione dei macchinari al creditore International Logistic, l'analisi della Corte territoriale - secondo il ricorrente - era stata di natura meramente cartolare, in carenza di qualsivoglia apporto di natura tecnica, per cui non vi era la prova che effettivamente l'importo del credito vantato dalla International Logistic fosse inferiore rispetto a quello apparentemente dedotto nella compensazione, ovvero che il valore dei macchinari ceduti fosse superiore all'importo effettivo del credito, con conseguente illogicità della motivazione e violazione anche del principio di correlazione tra accusa e sentenza, con riferimento alla descrizione delle modalità tipiche della distrazione contestata al F. . Con il quinto motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e c.p.p. per avere i giudici, contraddittoriamente, considerato distrattiva la condotta di cessione dei macchinari a due creditori della società e, ad un tempo, considerato la medesima condotta come integrante il delitto di bancarotta preferenziale. Con il sesto motivo si deduce ancora violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e c.p.p., in quanto, pur essendo risultato che l'imputato aveva abbandonato la carica di a.u. della società il 27.12.02, senza più porre in essere atti gestori, erano stati ritenuti credibili i coimputati M. , A. e R. che avevano sostenuto il contrario, sì che la sentenza impugnata aveva ricondotto la responsabilità del ricorrente alla introduzione nell'organo gestorio della fallita di M. , attribuendone la decisione al F. , senza considerare che quest'ultimo, sin dagli inizi del procedimento penale, aveva riferito all'Autorità giudiziaria che, verso la fine del 2002, era stato A. a presentare ai soci tale G.A. , intenzionato ad acquistare le quote della società, come aveva anche confermato, in sede di s.i.t., il ragionier Gr.Gi. , ed era stato poi il G. ad introdurre il M. quale amministratore della società, ma questo essenziale passaggio - taciuto da tutti e tre i coimputati - era stato ignorato dalla sentenza di appello ed era stata attribuita al F. la responsabilità di aver collocato il M. , “effettivamente inidoneo ad assumere la carica”, nella posizione di amministratore di diritto della ADAM.CO s.r.l. Neppure poteva - evidenzia ancora la difesa del F. - essere ritenuta la qualifica di amministratore di fatto del ricorrente sulla considerazione del permanere della sede sociale presso lo studio professione di commercialista del prevenuto, laddove poi la cessione dei macchinari ai due creditori era stata immotivatamente attribuita, a titolo concorsuale, al F. , nonostante l'imputato - con riferimento alla cessione dei macchinari alla International Logistic - in data 12.5.03 avesse presentato denuncia-querela in relazione ai comportamenti minacciosi posti in essere in suo danno dai due emissari della società creditrice, che il F. supponeva fossero in realtà spalleggiati da A. e R. . Peraltro - concludeva sul punto il ricorrente - il reato di bancarotta preferenziale si era prescritto il 26.6.12. Con il settimo - ed ultimo - motivo si sosteneva che, in ogni caso, il F. si era dissociato dall'azione dei due coimputati, per quanto concerneva la vicenda della cessione dei macchinari alla International Logistic, presentando la denuncia in data 12.5.03 avanti ad un ufficiale di p.g., ma tale circostanza, pur evidenziata nell'atto di appello, non era stata affrontata dalla Corte territoriale. Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso non è fondato. Emerge, infatti, sin dalla contestazione del reato fallimentare, di cui ai nnumero 1 e 2 della rubrica, che il “valore” dei macchinari restituiti alla soc. BM Biraghi di Euro 67.050,00 e di quelli ceduti alla International Logistic di Euro 46.865,95 , non corrisponde all'importo di Euro 210.160,73 ritenuto costituire il deficit, contabilmente non giustificato da oneri e perdite di gestione, della fallita ADAM.CO s.r.l Inoltre, sul punto, i giudici di merito hanno rilevato come detto deficit rappresenti la risultante - determinata dalla curatrice fallimentare - del debito complessivo di Euro 331.626,90, depurato dei c.d. “oneri da dissesto” interessi, sanzioni, spese legali, ecc. quantificati in Euro 21.999,17, pervenendosi così alla differenza di Euro 310.327,73 costituente il c.d. “ deficit storico” , da cui defalcare, infine, il totale delle perdite subite dalla società e certificate dai bilanci al 31.12.01 e al 31.12.02 rispettivamente di Euro 60.544,00 e Euro 39.623,00 ammontanti ad Euro 100.167,00. Il deficit ingiustificato, di Euro 210.160, 73 - hanno evidenziato i giudici - è risultato composto pressoché interamente da debiti insorti prima del passaggio formale al M. della gestione della fallita da parte del F. , quindi insorti durante la gestione, quale amministratore di diritto, dell'odierno ricorrente, il quale non è stato in grado di giustificare, in assenza di documenti e annotazioni contabili, il mancato rinvenimento di beni patrimoniali o del loro corrispettivo nei termini sopra indicati. A nulla rileva poi in tale situazione - e non potendo venire in discussione, in questa sede, l'ammontare del deficit ingiustificato - che la curatrice fallimentare non abbia dettagliato le singole voci componenti tale complessivo importo, dal momento che, comunque, l'odierno ricorrente non è stato in grado di provare la destinazione data a tale somma, che pertanto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi distratta v., tra le altre, Cass., sez. V, 17 giugno 2010, numero 35882 . Né rilevano, a tal fine - per rispondere a quanto dedotto con il terzo motivo di impugnazione - le osservazioni fornite in sede di interrogatorio dinanzi al p.m., con le quali l'imputato ha fatto riferimento al mancato rinvenimento dei macchinari, la cui condotta ha dato luogo alla configurazione del diverso delitto di bancarotta preferenziale di cui al capo 2. È all'interno di tale componente del deficit ingiustificato che, poi, deve collocarsi l'importo di Euro 70.000,00, frutto di distrazione in quanto risultato corrispondere al residuo debito della fallita verso la BM Biraghi s.p.a. di XXXXX, pur avendo la ADAM.CO ottenuto a suo tempo dalla Banca Carige con la personale fideiussione del F. - proprio per l'acquisto di macchinari dalla Biraghi - la somma di circa 290.000,00 Euro, equivalente al valore dei beni da acquistare, senza che i 70.000,00 Euro fossero peraltro neanche stati restituiti alla Carige. A tal riguardo va osservato che, trattandosi di c.d. “doppia conforme”, viene in evidenza anche la motivazione della sentenza di primo grado, che si salda con quella di appello, e se quest'ultima ha enucleato, quale risultante dell'attività distrattiva, la somma di 70.000,00 Euro, corrispondente al debito della fallita verso la soc. Biraghi, somma non rinvenuta nella casse della società né risultata destinata a scopi societari, la sentenza del tribunale evidenzia come le specifiche attività distrattive abbiano interessato anche beni patrimoniali della fallita o comunque il loro corrispettivo per un ammontare, come già ricordato, di Euro 210.163,73, conclusione che non è stata disattesa dai giudici di secondo grado, i quali hanno evidenziato che proprio l'importo complessivo della distrazione, quale indicato dalla curatrice fallimentare d.ssa Ro. , non è stato sostanzialmente contestato dall'imputato, anche in ragione della scelta del rito abbreviato, ma che comunque “le carte processuali consentono di prescindere da tale decisiva argomentazione”, in ragione della sicura distrazione della somma di Euro 70.000,00, il cui accertamento non esclude però - né ciò è stato ritenuto dai giudici di appello - il maggior importo, come sopra indicato, oggetto dell'attività distrattiva. Non vi è stata pertanto la dedotta violazione degli articolo 521 e 522 c.p.p., per inosservanza del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, nessuna radicale trasformazione delle concrete modalità di realizzazione della condotta distrattiva avendo operato la Corte torinese e, tanto meno, quel “sovvertimento della contestazione” paventato dalla difesa del F. nel quarto motivo di ricorso, avendo i giudici di appello convenuto anche sulla configurabilità come bancarotta preferenziale della consegna dei macchinari in parte alla medesima fornitrice “Biraghi” ed in parte alla “International Logistic”, “sulla scorta del fatto che la fallita era debitrice di entrambe e che in tutti e due i casi il debito fu in parte saldato con la consegna dei macchinari in questione invece che del denaro”. È stato poi lo stesso imputato - come ricordato dai giudici di merito -, in sede di indagini preliminari, ad ammettere di avere, dopo il formale subentro del M. nella carica di amministratore unico della ADAM.CO, consentito che la società continuasse a mantenere la sede presso il proprio studio, aggiungendo che il M. “era un poveraccio, se posso permettermi”, il quale non aveva svolto alcun effettivo incarico all'interno della ADAM.CO. A ciò deve aggiungersi che nella denuncia presentata il 12.5.03 alla Questura di Torino, nella quale il ricorrente aveva tra l'altro riferito specificamente in ordine all'episodio della visita dei due incaricati della “International Logistic”, in occasione della quale, vantando detta società un credito quantificato dai due “energumeni” in Euro 60.000,00 risultato poi ammontare invece alla minor cifra di circa 10.000,00 Euro , era avvenuta la datio in solutum dei macchinari per un valore accertato di Euro46.816,95 agli emissari della predetta società, lo stesso F. - come ancora sottolineato dai giudici territoriali - ha avuto modo di affermare che nei primi mesi del 2003 “io e i miei soci abbiamo cercato di vendere alcuni macchinari ancora presenti in quanto grazie al ricavato avrei risanato la situazione bancaria della società, conseguentemente limitando la mia esposizione alla concessione della fideiussione”. Non certo illogicamente, pertanto, a fronte di tali evidenze - ed avendo il M. affermato che, una volta divenuto amministratore della ADAM.CO, “il mio interlocutore divenne il Dott. F. ”, il quale “ .mi convocava per mettere firme od effettuare operazioni bancarie”, comunicandogli poi, unitamente al R. , “ .di voler vendere le immobilizzazioni perché la società non poteva più pagare i fornitori successivamente mi informarono di aver venduto i macchinari e ricordo di aver messo delle firme in date imprecisate. Non so nulla neanche della destinazione del ricavato della vendita suddetta, né posseggo documentazione in merito” -, la Corte torinese, rilevato anche l'interesse del F. alla protrazione dell'attività imprenditoriale in ragione della sua esposizione fideiussoria verso la Carige in occasione del finanziamento concesso alla ADAM.CO, ha riconosciuto in capo all'odierno ricorrente la qualifica di amministratore di fatto della società dal 27.12.02 fino alla data del fallimento ed un suo diretto coinvolgimento nella cessione “preferenziale” ai creditori BM Biraghi e International Logistic dei macchinari in precedenza dagli stessi acquistati, condotta costituente il reato di bancarotta preferenziale di cui al numero 2 della rubrica, il quale peraltro risulta alla data odierna prescritto. Sul punto, pertanto, l'impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio con eliminazione della relativa pena che può essere quantificata in mesi due di reclusione sì da ricondurre la sanzione nel minimo edittale di anni uno e mesi quattro di reclusione. Per le considerazioni che precedono anche il motivo di ricorso relativo alla responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale - la cui oggettività non è in discussione - è infondato per avere appunto continuato il F. , anche dopo la formale cessazione dalla carica di amministratore unico, ad occuparsi della gestione della fallita, la cui contabilità era stata appositamente tenuta in pregiudizio dei creditori - occultando le rilevate distrazioni - e comunque in modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della ADAM.CO. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al numero 2 bancarotta preferenziale , per essere detto estinto per intervenuta prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.