La dichiarazione del coniuge non acquirente, partecipe all’atto di compravendita, se la personalità del bene dipenda dalla destinazione del bene all’esercizio della professione dell’acquirente, assume la mera condivisione dell’intento altrui. Di conseguenza, l’azione di accertamento della comunione legale sul bene acquistato implica solo la prova dell’effettiva destinazione del bene.
La vicenda. Una signora agiva in giudizio nei confronti del marito separato chiedendo lo scioglimento della comunione legale con riferimento alla quota di un podere gravato da indivisibilità trentennale intestata al marito durante la vigenza della comunione legale. La moglie aveva partecipato al contratto, acconsentendo all’acquisto individuale del bene, in quanto destinato all’esercizio della professione e dell’impresa del marito. Successivamente era stata stipulata una convenzione di separazione dei beni con la quale si prevedeva la caduta in comunione differita de residuo della suddetta quota, precisando che il bene fosse destinato all’esercizio dell’impresa del marito. Quest’ultimo obiettava invece che l’immobile non fosse compreso nella comunione legale proprio per l’assenso alla destinazione personale manifestato dalla moglie in occasione dell’acquisto. Inoltre in via riconvenzionale chiedeva l’accertamento dell’invalidità della convenzione di separazione dei beni perché indicava la destinazione dell’immobile all’esercizio dell’impresa e non all’esercizio della professione, come precisato nell’originario atto di compravendita. Infatti l’articolo 210 c.c. vieta l’inserimento in essa dei beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione. In via subordinata, il marito domandava la dichiarazione di simulazione relativa della suddetta compravendita, che dissimulava una donazione. Il Tribunale di Oristano dichiarava improponibile la domanda proposta dalla moglie, e rigettava quella riconvenzionale del marito. La sentenza della Corte di Appello di Cagliari dava ragione alla moglie. In particolare il giudice di seconde cure osservava che dalla convenzione di separazione dei beni emergeva chiaramente la volontà di ricomprendere nella comunione de residuo l’immobile quale bene destinato all’esercizio di impresa. Aggiungeva, inoltre, che la simulazione relativa del contratto di compravendita, priva di data certa, non era opponibile alla moglie. Il marito ricorreva quindi in Cassazione. Quale natura ha la dichiarazione del coniuge? La Suprema Corte, ribadendo il principio affermato dalle Sezioni Unite numero 22755/2009, afferma che la dichiarazione del coniuge non acquirente assume una diversa natura a seconda da cosa dipenda la personalità del bene. In particolare, se questa deriva dal pagamento del prezzo con i proventi del trasferimento di beni personali la dichiarazione del coniuge non acquirente assume natura ricognitiva della natura personale e portata confessoria dei presupposti di fatto già esistenti. Quando invece, come nella fattispecie qui esaminata, la personalità del bene dipende dalla destinazione del bene all’esercizio della professione dell’acquirente, la dichiarazione del coniuge esprime la semplice condivisione dell’intento altrui. È oramai chiarito che l’intervento del coniuge non acquirente nell’atto di acquisto di beni immobili o mobili registrati per evitare la caduta in comunione legale del bene acquistato, non impedisce allo stesso coniuge di domandare l’accertamento della comunione legale sul bene acquistato come personale dall’altro coniuge. Infatti la dichiarazione del coniuge intesa a determinare l’esclusione dalla comunione legale del bene acquistato con il ricavato dall’alienazione di bene personale ha natura meramente dichiarativa. Il regime probatorio dell’azione di accertamento. Ora, l’azione di accertamento della comunione legale sul bene acquistato, nel caso in questione, non è condizionata dal regime di prova legale della confessione stragiudiziale, ma necessita esclusivamente della prova dell’effettiva destinazione del bene alla professione o all’esercizio dell’impresa, a prescindere da ogni indagine sulla sincerità dell’intento manifestato. Se si accerta che i beni sono strumentali all’esercizio dell’impresa costituita dal marito dopo il matrimonio, allora saranno compresi nella comunione legale allo stato in cui sussistono al momento dello scioglimento della comunione stessa. Serve la prova della simulazione. Il marito sosteneva, inoltre, che si fosse trattato di una donazione dissimulata da un contratto di vendita e che la simulazione fosse sufficientemente provata dalla controdichiarazione resa da uno dei due venditori. È chiaro l’intento del marito nell’opporre alla moglie il carattere simulato della vendita provando la donazione. Infatti nel regime della comunione legale fra coniugi, l’acquisto di un bene personale effettuato da uno solo di essi per donazione da parte di un terzo non è compreso nella comunione legale, anche quando la donazione sia dissimulata da una vendita. Tuttavia come è noto la simulazione deve essere accertata con prova idonea avente dunque data certa. Si ricorda infatti come la prova della simulazione si atteggi in modo diverso a seconda che si tratti di rapporti verso terzi o dei rapporti interni tra le parti. In quest’ultima ipotesi, come nel caso in specie la dimostrazione della simulazione incontra gli stessi limiti previsti per la prova testimoniale, per cui se il contratto simulato è stato redatto per iscritto, la prova per testimoni o per presunzioni non può essere ammessa contro il contenuto del documento, perché le parti hanno la possibilità e l’onere di munirsi delle controdichiarazioni. La soluzione della S.C. la partecipazione della moglie all’atto di acquisto serviva ad escludere il bene dalla comunione. È opportuno inoltre sottolineare come la Cassazione, muovendosi nel solco delle Sezioni Unite suddette, ha stabilito come la partecipazione della moglie all’atto di acquisto effettuato dal marito è funzionale unicamente ad escludere dalla comunione l’immobile, senza assumere valenza negoziale. La moglie, dunque, non è parte contrattuale in senso proprio del contratto di compravendita, in quanto effettua una semplice dichiarazione di scienza o di condivisione dell’intento del marito. Di conseguenza tale dichiarazione effettuata dalla moglie al momento dell’acquisto dell’immobile rappresenta un indizio del fatto che essa non sapesse che si trattava in realtà di una donazione dissimulata.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 dicembre 2011 – 2 febbraio 2012, numero 1523 Presidente Luccioli – Relatore Bernabai Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 12 aprile 2001 la signora P.N. conveniva dinanzi al Tribunale di Oristano il coniuge, sig. Ag Fi. e, premessa la pendenza del giudizio di separazione personale, chiedeva lo scioglimento della comunione legale in ordine alla quota pari a 11/12 dodicesimi del podere omissis , gravato da indivisibilità trentennale in virtù delle legge Legge 29 maggio 1967, numero 379 Modificazioni alle norme sulla riforma fondiaria , con sovrastanti fabbricati rurali, intestata, in forza di atto pubblico 1 ottobre 1992 stipulato in costanza di comunione, al solo F., già proprietario della quota residua di 1/12. Esponeva - che ella aveva formalmente partecipato al contratto, esprimendo il consenso all'acquisto individuale del bene, in quanto destinato all'esercizio della professione e dell'impresa del coniuge, ai sensi dell'articolo 179 cod. civile - che alla separazione consensuale, omologata dal Tribunale di Oristano il 24 giugno 1995, avevano fatto seguito la riconciliazione e la convenzione di separazione dei beni, per atto pubblico 12 maggio 1999, con cui si prevedeva la caduta in comunione differita de residuo della predetta quota degli 11/12 dell'immobile dandosi contestualmente atto che il bene era destinato all'esercizio dell'impresa e non della professione del F., come erroneamente inserito nel rogito di compravendita - che, in considerazione dell'indivisibilità trentennale dell'immobile, si doveva procedere alla liquidazione della corrispondente quota in denaro. Costituitosi ritualmente, il F. eccepiva l'estraneità dell'immobile alla comunione legale, anche de residuo, ai sensi dell'articolo 179, primo comma, lettera d cod. civile, in forza dell'assenso alla destinazione personale manifestato dalla moglie in occasione della stipulazione del contratto di compravendita e in via riconvenzionale chiedeva accertarsi l'invalidità ex articolo 210 cod. civ. della convenzione di separazione dei beni 12 maggio 1999 nella parte in cui dava atto della destinazione dell'immobile all'esercizio dell'impresa e non all'esercizio della professione, come indicato nell'atto di compravendita 1 ottobre 1992. In via subordinata, chiedeva la dichiarazione di simulazione relativa di tale negozio traslativo, che occultava, in realtà, una donazione provvista di tutti i requisiti di validità formale. Veniva quindi integrato il contraddittorio nei confronti di Fi.Anumero - padre e dante causa del convenuto con la vendita che si assumeva simulata - che restava peraltro contumace. Dopo l'espletamento di prova per interrogatorio formale e testi il Tribunale di Oristano con sentenza 25 giugno 2005 dichiarava improponibile la domanda attrice e rigettava la riconvenzionale, con compensazione delle spese di giudizio. Il successivo gravame del F. era respinto dalla Corte d'appello di Cagliari con sentenza 10 febbraio 2010. La corte territoriale motivava - che la convenzione di separazione dei beni per atto pubblico 12 maggio 1999 esprimeva una chiara volontà dispositiva, volta a ricomprendere nella comunione de residuo il podere in questione, quale bene destinato all'esercizio di impresa - che, nella specie, il F. esercitava attività imprenditoriale di coltivazione e di allevamento, con l'aiuto di terzi e verosimilmente con ausilio di mezzi meccanici, su un fondo di oltre 16 ettari, costituente un'azienda come, del resto, dichiarato nel ricorso per separazione consensuale presentato da entrambi i coniugi - che la simulazione relativa del contratto di compravendita, dissimulante in realtà una donazione - come da controdichiarazione del padre del F. ma non anche del fratello, che pure era parte alienante della quota - non era opponibile al coniuge dell’acquirente, perché priva di data certa ex articolo 2704 cod. civile Avverso la sentenza notificata il 14 aprile 2010.il sig. F. proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 10 giugno 2010. Deduceva 1 la violazione degli articoli 178,179 e 210 cod. civile, nonché la carenza di motivazione nell'omesso rilievo della nullità della convenzione matrimoniale, successiva alla riconciliazione tra i coniugi, per contrasto con la dichiarazione dell'appartenenza personale dell'immobile in quanto destinato alla professione dell'acquirente 2 la violazione degli articoli 179, 1414, 1415, 2704 cod. civ. e dell'articolo 112 cod. proc. civile, nonché la carenza e contraddittorietà di motivazione per aver ritenuto necessario il requisito della data certa ai fini dell'opponibilita alla signora P. - che non era terza subacquirente e, per di più, era stata partecipe del contratto - della controdichiarazione del venditore Fi.Anumero , a riprova della simulazione relativa dell'apparente compravendita. La signora P. non svolgeva attività difensiva. All'udienza del 9 dicembre 2011 il Procuratore generale ed il difensore precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli articoli 178, 179 e 210 cod. civ. e la carenza di motivazione in ordine alla ritenuta validità della convenzione matrimoniale 12 maggio 1999. Il motivo è infondato. La natura giuridica e i limiti di efficacia della dichiarazione del coniuge non acquirente, partecipe all'atto di compravendita, sono stati chiariti da Cass., sez. unite 28 ottobre 2009 numero 22.755, secondo cui essa si atteggia diversamente a seconda che la personalità del bene dipenda dal pagamento del prezzo con i proventi del trasferimento di beni personali, o alternativamente dalla destinazione del bene all'esercizio della professione dell'acquirente. Solo nel primo caso la dichiarazione del coniuge non acquirente assume natura ricognitiva della natura personale e portata confessoria dei presupposti di fatto già esistenti. Laddove nel secondo - che è quello pertinente nel caso di specie - esprime la mera condivisione dell'intento altrui. Ne consegue che la successiva azione di accertamento della comunione legale sul bene acquistato, mentre è condizionata, nella prima ipotesi, dal regime di prova legale della confessione stragiudiziale, superabile nei limiti di cui all'articolo 2732 cod. civile, per errore di fatto o violenza, nella seconda implica solo la prova dell'effettiva destinazione del bene, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità dell'intento manifestato. Si tratta quindi di un accertamento, in punto di fatto, dell'effettiva strumentante dell'immobile alla professione o all'esercizio dell'impresa costituita dopo il matrimonio da uno dei coniugi. Con l'ulteriore corollario che in quest'ultimo caso i beni, inclusi quelli immobili, fanno parte della comunione legale se e nei limiti in cui sussistano alla data del suo scioglimento. L'esclusione definitiva dalla comunione di immobili e mobili registrati, alle condizioni previste dall'articolo 179, secondo comma, cod. civile, riguarda infatti solo i beni destinati all'esercizio della professione articolo 179, primo comma, lettera d e non pure i beni destinati ad un'impresa costituita dopo il matrimonio fattispecie diversa e non equiparabile, il cui regime è interamente regolato dall'articolo 178 cod. civ. Cass., sez. 1, 19 settembre 2005, numero 18.456 Cass., sez. 3, 6 dicembre 2007 numero 25448 . Ciò premesso in punto di diritto, la corte territoriale ha accertato con motivazione diffusa, immune da vizi logici, che il F. esercitava attività imprenditoriale nel fondo di cui era diventato unico proprietario a seguito dell'acquisto della quota in questione attività che ha correttamente ritenuto non incompatibile con la sua qualifica di coltivatore diretto articolo 2083 cod. civ. , tenuto conto delle dimensioni del fondo 16 ha e dell'esistenza di un'organizzazione di mezzi tipicamente aziendale. Le contrarie argomentazioni difensive si risolvono, sul punto, in una difforme vantazione degli elementi probatori, avente natura di merito, che non può trovare ingresso in questa sede. Con il secondo motivo si censura la violazione degli articoli 179, 1414, 1415, 2704 cod. civ. e dell'articolo 112 cod. proc. civile, nonché la carenza di motivazione, in ordine alla ritenuta necessità della data certa della prova scritta della simulazione relativa della compravendita. Anche questo motivo è infondato. La partecipazione della signora P. all'atto pubblico di compravendita stipulato dal coniuge non ne fa una parte contrattuale in senso proprio, essendo il suo intervento finalizzato solo ad escludere dalla comunione il bene acquistato, mediante una dichiarazione priva di natura negoziale, in quanto non manifestazione di volontà bensì dichiarazione di scienza o di condivisione dell'altrui intento, come precisato da Cass., sez. unite, 22.755/2009 citata . In questo senso, resterebbero irrilevanti, ai fini della validità dell'intero contratto, eventuali incapacità o stati soggettivi, alterati o patologici, suoi propri. Del resto, appare esatto, sul punto, l'ulteriore rilievo della Corte d'appello di Cagliari che, se davvero ella fosse stata parte del contratto, avrebbe dovuto partecipare, del pari, alla controdichiarazione sottostante al negozio simulato per renderla a sé opponibile. È vero che, nel regime della comunione legale fra coniugi, l'acquisto di un bene personale effettuato da uno solo di essi per donazione fattagli da un terzo si sottrae al regime della comunione legale, ai sensi dell'articolo 179, comma 1, lett. b c.c. ancorché la donazione sia dissimulata da una vendita, potendo l'acquirente opporre all'altro coniuge il carattere simulato di quest'ultima Cass., sez. 2, 11 Agosto 1997, numero 7470 . Resta peraltro fermo il principio che la simulazione dev'essere accertata con prova idonea e tale non è, verso il terzo non contraente, la controdichiarazione resa da uno solo dei due venditori e priva di data certa articolo 2704, primo comma, cod. proc. civ. . Sotto tale profilo, la dichiarazione resa dalla P. in sede di stipulazione dell'atto pubblico d'acquisto costituisce, anzi, un indizio della sua estraneità all'accordo simulatorio e dell'ignoranza della natura liberale dell'acquisto, che l'avrebbe resa, altrimenti, superflua. Il ricorso è dunque infondato e dev'essere respinto. P.Q.M. - Rigetta il ricorso.