In sede di accertamento mediante applicazione degli studi di settore, l’onere di provare l’esistenza di condizioni che escludono il ricorso ai parametri previsti è a carico del contribuente.
La S.C., sezione Tributaria - con la sentenza numero 1153 depositata il 27 gennaio 2012 - ha affermato che l’Ufficio, nel caso di invito al contribuente finalizzato all’instaurazione del contraddittorio, non è tenuto a provare le condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dal novero dei soggetti cui applicare gli studi di settore. Studi di settore prova a carico del contribuente senza limitazione. Il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 ha fissato le norme in materia di «Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta», determinati ai sensi della l. numero 549/1995, articolo 3, comma 184. La giurisprudenza ha affermato che «La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravita, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio, da attivar e obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. Incombe a quest’ultimo l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o studi di settore Sent. numero 26635/2009 . L’ordinamento tributario, pertanto, non ammette che l’elaborazione statitistica di cui allo studio di settore assuma automatica valenza ai fini della rettifica del reddito dichiarato dal contribuente. Pertanto esso rimane delimitato a mezzo di accertamento e non di determinazione della base imponibile con natura di presunzione semplice. Il caso. Premesso che l’ufficio aveva invitato il contribuente a giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli determinati con l’applicazione dei parametri e questi non aveva fornito elementi idonei a giustificare tale differenza, lo stesso contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento e il ricorso era stato accolto dai giudici di primo grado. La Commissione tributaria regionale aveva invece accolto l’appello dell’ufficio, impugnato con ricorso per cassazione dal contribuente. Quest’ultimo, deducendo violazione dell’articolo 2697 c.c. in tema di onere della prova, ha eccepito che l’ufficio non ha motivato le ragioni dell’applicazione dei parametri invocati degli studi di settore, gravando, invece, su di esso l’onere di provare la pretesa tributaria. In particolare, a parere del ricorrente, qualora l’accertamento è a carico di coloro che operano in un contesto socio-economico caratterizzato dalla libera concorrenza di attività similari esercitate abusivamente, utilizzando gli schemi previsti dal citato D.C.P.M. del 29.01.1996, l’ufficio finanziario è tenuto a motivare adeguatamente l’avviso e a dedurre indizi «gravi, precisi e concordanti» che giustificano il ricorso a presunzioni semplici. Parametri e studi di settore sono presunzioni semplici. La S.C., avallando un precedente orientamento giurisprudenziale Cass., SSUU, numero 26635/2009 , ha ritenuto che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore rappresenta un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza, è legata all’instaurazione del contraddittorio, che deve attivarsi obbligatoriamente con il contribuente. È in questa sede che il contribuente ha l’onere di provare l’esistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono applicarsi gli studi di settori. Circa l’invocata disapplicazione del D.P.C.M. del 1996 adottato senza il preventivo parere del Consiglio di Stato, i giudici di legittimità Cass. numero 16055/2010 numero 27657/2008 hanno affermato che lo stesso non viola l’articolo 17 l. numero 400/1988 in quanto non è un atto di natura regolamentare, secondaria rispetto alla legge, ma è un mero provvedimento amministrativo di natura generale, espressione di potestà amministrativa e rivolto alla cura di interessi pubblici.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 15 novembre 2011 - 27 gennaio 2012, numero 1153 Presidente Lupi – Relatore Di Iasi In fatto e diritto 1. F. P. e R. C. propongono ricorso per cassazione nei confronti dell' Agenzia delle Entrate che resiste con controricorso e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento di maggiori ricavi ai fini Irpef e fior per l’anno 1996, la C.T.R. Calabria, in accoglimento dell'appello dell'Ufficio, riformava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso introduttivo. 2. Preliminarmente deve essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso proposto da R. C. che dalla sentenza impugnata non risulta essere stata parte nei precedenti gradi di giudizio. Col primo motivo di ricorso, deducendo violazione dell'articolo 2697 cc, il P. si duole del fatto che i l'amministrazione non abbia motivato in sede provvedimentale né provato in sede processuale le ragioni della applicabilità alla fattispecie dei parametri invocati, pur gravando su di essa l'onere di provare la pretesa tributaria, e conclude il motivo col seguente quesito laddove, come nel caso in questione, l'accertamento è effettuato a carico di chi opera in un sistema economico a prezzi amministrati e/o in un contesto socio-economico caratterizzato dalla diffusa concorrenza di similari attività svolte abusivamente e/o con un valore reale dei beni strumentali basso come si evince dal rapporto tra le immobilizzazioni cartolari e le bassissime quote di ammortamento , utilizzando gli schemi previsti dai d.p.c.m. del 29.01.1996 e del 27.03.1997, l'Autorità Finanziaria è tenuta a motivare adeguatamente il provvedimento di avviso e, in fase processuale, a sopportare il preciso onere probatorio fissato dall'articolo 2697 cc. onde dimostrare la presunta evasione fiscale ovvero a dedurre indizi gravi, precisi e concordanti che giustificano il ricorso alle presunzioni semplici? . Premesso che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la relazione ex articolo 380-bis c.p.c. è priva di valore vincolante e ben può essere disattesa dall'organo giudicante, ossia dal collegio in camera di consiglio, che mantiene pieno potere decisorio v. SU numero 7433 del 2009 , il collegio ritiene la censura in parte infondata e in parte inammissibile. Infatti, anche prescindendo dalla inadeguatezza del quesito dal quale non risulta envincibile quale sia stata la ratio decidendi espressa dai giudici d'appello e quale sia la regula iuris applicabile secondo il ricorrente , è innanzitutto da rilevare che la censura, per la parte riguardante la motivazione dell'avviso opposto, difetta di autosufficienza, non essendo stato riportato in ricorso il testo integrale dell'avviso suddetto ed essendo appena il caso di sottolineare che la adeguatezza della motivazione di un atto deve essere valutata sulla base del tenore complessivo del medesimo atto. Quanto alla censura concernente l'asserita erronea applicazione dei principi in materia di onere della prova, occorre rilevare che le SU di questa Corte, con sentenza numero 26635 del 2009, hanno affermato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza, pur non essendo ex lege determinata dal mero scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, nasce in esito al contraddittorio, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente, il quale, in tale sede ha l'onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame . Tanto premesso, occorre evidenziare che, secondo quanto si legge nella sentenza impugnata non specificamente censurata sul punto , l'Ufficio, in considerazione del fatto che i ricavi dichiarati erano inferiori a quelli calcolati, ha invitato il contribuente ad esporre e documentare i fatti e le circostanze idonee a giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli determinati con l'applicazione dei parametri. A fronte di tale formale invito l'appellato non ha fornito alcun elemento idoneo a giustificare lo scostamento rilevato , ed occorre altresì rilevare che dalla suddetta sentenza non risulta che il contribuente abbia in alcun modo allegato e provato, neanche in sede contenziosa, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame. Il secondo motivo del ricorso proposto dal P. col quale, deducendo violazione di legge, il ricorrente, premesso l'avviso opposto era fondato sui parametri previsti dal D.P.C.M. 29.01.1996, si duole che i giudici d'appello non abbiano disapplicato il suddetto D.P.C.M. e quello successivo del 1997 benché adottati in violazione del procedimento previsto dall'articolo 17 l. 400/1988, in particolare senza il preventivo parere del Consiglio di Stato deve essere esaminato prioritariamente per ragioni logiche. Esso è infondato alla luce della giurisprudenza di questo giudice di legittimità secondo la quale il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 sulla Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d'affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull'attività svolta , determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 181, della legge 28 dicembre 1995, numero 549 non viola l'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, numero 400, per essere stato emanato senza il parere preventivo del Consiglio di Stato, in quanto non è un atto di natura regolamentare - né attuativo di legge, ai sensi del primo comma, né delegificante, ai sensi del comma 2 -, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all'amministrazione, e non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili v. cass. numero 16055 del 2010 e numero 27656 del 2008 . Alla luce di quanto sopra esposto, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso proposto da R. C. e deve essere rigettato il ricorso proposto da F. P Considerato lo sviluppo processuale della vicenda, e l'intervento della citata sentenza delle Sezioni Unite in epoca posteriore alla proposizione del ricorso, si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso proposto da R. C. e rigetta il ricorso proposto da Francesco Antonio P Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.