Ribaltata completamente la visione tracciata dai giudici di merito, i quali avevano ritenuto la donna, una cittadina italiana, non condannabile, alla luce dei ridottissimi benefici economici che ella aveva tratto dall’accordo illecito. A prescindere dalla cifra percepita, difatti, è evidente il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Matrimonio di comodo. Lei, cittadina italiana, convola a giuste – e, soprattutto, convenienti – nozze con un cittadino extracomunitario incassa denaro e acconsente a diventare ufficialmente moglie dello straniero, presente illegalmente in Italia. Consequenziale la contestazione del delitto di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Irrilevante il fatto che il compenso ricevuto dalla donna sia risibile. Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza numero 41303/15 depositata oggi Nozze ‘virtuali’. Nessun dubbio, sia chiaro, sulle caratteristiche del «matrimonio» contratto dalla donna con un cittadino extracomunitario, matrimonio evidentemente «fittizio» poiché ella ha tratto «benefici economici» dall’accordo finalizzato alla ufficializzazione delle nozze. Tuttavia, per i giudici di merito va tenuto presente che la somma di denaro percepita dalla cittadina italiana è davvero «modestissima». E a sostegno di questa considerazione viene richiamato un dato di fatto inequivocabile la donna «versava in evidente stato di indigenza e tale situazione», evidenziano i giudici, «non era mutata affatto dopo il matrimonio». Una volta delineato questo quadro, è impensabile, secondo i giudici, attribuire alla donna il «reato», ossia trarre «ingiusto profitto dalla condizione di illegalità del coniuge». Anzi, paradossalmente, sono stati i responsabili dell’accordo – l’extracomunitario, affiancato da un italiano – ad approfittare delle «condizioni di estrema indigenza della donna», fornendole «sporadici ed irrisori contributi economici». Per i giudici è la donna ad apparire come «vera vittima dell’illecito patto». Compenso. Chiara la visione tracciata tra Tribunale e Corte d’appello, visione corroborata anche da un controllo effettuato dalle forze dell’ordine, che hanno riferito di «aver trovato la donna in condizioni precarie e disagiate, all’interno di un monolocale col frigorifero completamente vuoto, tanto che a provvedere al suo sostentamento era una vicina di casa». Ma assolutamente opposta è la linea di pensiero dei Giudici della Cassazione, i quali, accogliendo l’obiezione mossa dal Procuratore Generale, ritengono non condivisibile la pronunzia assolutoria che ha salvato la donna. Condivisibili umanamente le «ragioni» adottate nei giudizi di merito, ma unico dato rilevante in un’aula di giustizia, ribattono i giudici, è il «corrispettivo» ricevuto dalla donna per la «celebrazione del matrimonio fittizio» col cittadino extracomunitario, matrimonio «finalizzato esclusivamente a permettere» all’uomo, «illegalmente dimorante nello Stato», di «ottenere la cittadinanza italiana». Irrilevante, quindi, la «modestia» dei compensi percepiti dalla donna, ora vicina alla condanna, su cui, comunque, dovranno decidere i Giudici d’appello, alla luce delle indicazioni fornite dalla Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 giugno – 14 ottobre 2015, numero 41303 Presidente Cortese – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 3.6.2014, la Corte di Appello di Catania confermava la decisione emessa in data 28.5.2012, con la quale il Tribunale monocratico della sede aveva assolto D.P.C. B.A. dal reato di cui all'articolo 12, comma 5, D.L.vo numero 286/98, consistito nell'aver contratto un matrimonio di comodo con il cittadino extracomunitario C.H., favorendone in tal modo la permanenza nel territorio dello Stato, al fine di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero. Pur ravvisando la chiara sussistenza dell'elemento oggettivo dei reato alla luce del matrimonio fittizio effettivamente contratto dalla D.P. con il cittadino marocchino il 17.4.2008, la Corte territoriale, in piena sintonia con il primo Giudice, sottolineava come l'imputata avesse tratto modestissimi benefici economici dall'accordo concluso con il C. e O.M., il quale appariva il vero artefice dell'illecito la sua posizione era stata stralciata . La donna, infatti, versava in evidente stato di indigenza e tale situazione non era mutata affatto neppure dopo il matrimonio, avendo gli operanti di P.G. riferito di aver trovato la predetta in condizioni precarie e disagiate, all'interno di un monolocale dove il frigorifero era completamente vuoto, tanto che a provvedere al suo sostentamento era una vicina di casa che saltuariamente le offriva da mangiare. A fronte di tale situazione, secondo i Giudici di merito non poteva ravvisarsi l'elemento soggettivo del reato in capo all'imputata, dovendosi ritenere che, al contrario di quanto previsto dalla norma - e cioè che l'apparente matrimonio venisse celebrato al fine di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità del coniuge - nel caso in questione fosse appunto l'imputata a essere stata indotta all'accordo dall'O. e dal C., i quali, approfittando delle condizioni di estrema indigenza della donna, non le avevano fornito che sporadici ed irrisori contributi economici, tanto da farla apparire come la vera vittima dell'illecito patto. Mancava, in definitiva, la prova del dolo specifico dei reato, ovvero della consapevolezza e volontà da parte della D.P. di approfittare della condizione d'illegalità del C. per trarne vantaggi economici. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Catania, deducendo inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 12, comma 5, D.L.vo numero 286/98. Secondo il Procuratore ricorrente, le ragioni umanitarie, che avevano all'evidenza ispirato le due pronunce assolutorie, non potevano prevalere sulla corretta applicazione della legge penale, sussistendo, nel caso di specie, inequivocamente il richiesto quid pluris rispetto al mero favoreggiamento, ovvero il compenso in denaro per la illecita celebrazione di un matrimonio fittizio. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato. 2. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che integra il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione illegale degli stranieri nel territorio dello Stato anche il fatto di contrarre, verso corrispettivo in danaro, matrimonio con cittadino extracomunitario presente irregolarmente nel territorio dello Stato, al fine di fargli conseguire la cittadinanza italiana e così di consentirgli di restare in Italia Sez. 1, numero 34993 del 22/9/2010, P.M. in proc. Ascione, Rv. 248277 . A fronte della incontestata circostanza della ricezione, da parte della ricorrente, di denaro quale corrispettivo legato alla celebrazione del matrimonio fittizio con il C.H., esclusivamente finalizzato a permettere al cittadino extracomunitario illegalmente dimorante nello Stato di ottenere la cittadinanza italiana, deve ritenersi incongrua, ad avviso del Collegio, la motivazione della Corte territoriale laddove ha escluso la sussistenza dell'elemento psicologico del reato per la modestia del compensi, essendo innegabile che il pagamento, seppure modesto , nella specie intervenne solo per la condizione di necessità dello straniero. 3. Dal che discende l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Catania, che provvederà a eliminare l'incongruenza motivazionale rilevata. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Catania.