Deve essere sanzionato l’avvocato che non orienti la propria condotta a parametri di lealtà e correttezza, pur dinanzi ad indubbie opacità della condotta di controparte che non assurgano ad efficacia scriminante. Incorre dunque in responsabilità disciplinare l’avvocato che imputi in acconto al maggior credito una somma inviata dalla società assicuratrice con la dicitura «a titolo di tutti i danni subiti nel sinistro».
Così si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza numero 10090, depositata il 18 maggio 2015. La vicenda processuale. Un avvocato veniva sospeso disciplinarmente per la durata di quattro mesi dal proprio Consiglio dell’ordine per inosservanza dei doveri di lealtà e correttezza. Nell’ambito di un giudizio penale veniva affermata la responsabilità dell’imputato, con condanna dello stesso al risarcimento dei danni e al pagamento di una provvisionale di euro 50.000,00, oltre euro 5.000,00 per competenze legali. La società assicuratrice, rimasta estranea al processo penale, in veste di responsabile civile, trasmetteva un assegno bancario per l’importo di euro 56.120,00 a titolo di risarcimento di tutti i danni subiti nel sinistro. L’avvocato del danneggiato accettava la somma in acconto al maggior credito, non imputandola al pagamento della provvisionale. Successivamente, l’avvocato notificava due distinti atti di precetto per l’importo di euro 58.434,16. Seguiva per entrambi un giudizio di opposizione. Da qui una illegittima pretesa esecutiva dell’avvocato, attesa la persistente azionabilità del titolo esecutivo costituito dalla provvisionale. Impugnata la pronuncia di primo grado, il Consiglio Nazionale Forense mitigava la sanzione riducendola a due mesi. Ricorre per cassazione l’avvocato. L’avvocato ritiene la propria condotta scevra da censure. Egli infatti si difende affermando che l’invio del secondo atto di precetto è stato la diretta conseguenza del tentativo maldestro della società assicuratrice di chiudere il sinistro con un importo risibile ed a saldo e stralcio. Ciò e nel silenzio del soggetto debitore avrebbe legittimato la mancata imputazione della somma corrisposta alla provvisionale, con conseguente sua autonoma precettabilità. Comportamento non corretto. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Gli Ermellini spiegano che la condotta dell’avvocato è censurabile perché non improntata a lealtà ai sensi dell’articolo 6 del Codice deontologico all’epoca dei fatti vigente. Questo obbligo trova pari riscontro nell’articolo 88 c.p.c. che impone al giudice di riferire all’organo disciplinare di comportamenti processuali dell’avvocato non corretti. Nessuna scriminante può essere individuata nella indubbia opacità del comportamento tenuto dalla società assicuratrice. Questo in ragione del fatto che l’avvocato, essendo un tecnico del diritto, può sempre orientare le proprie scelte processuali a canoni di correttezza. Dal punto di vista operativo. Quali i profili operativi da trarre dalla sentenza in commento? La lealtà e la correttezza indicano un modo di agire ed invitano la classe forense al rispetto delle regole ed al rifiuto dei mezzi non leciti. L’avvocato dunque deve utilizzare gli strumenti processuali non in modo distorto, anche quando il fine sia quello non di ottenere puramente e semplicemente la tutela dei propri diritti, bensì di contrastare la slealtà della controparte.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 24 marzo – 18 maggio 2015, numero 10090 Presidente Roselli – Relatore Amendola Svolgimento del processo Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano inflisse all'avvocato D.L.S. la sanzione della sospensione dall'attività professionale per mesi quattro, ritenendolo colpevole di inosservanza dei doveri di lealtà e correttezza in relazione alla notifica, per conto di V.L. , di due atti di precetto a L.G.M. , dopo che il suo assistito aveva già incassato la somma dagli stessi portata. Propose gravame il professionista al Consiglio nazionale forense che, in data 10 giugno 2014, con la sentenza ora impugnata, lo ha accolto, per quanto di ragione, riducendo la sanzione irrogata a due mesi di sospensione dall'esercizio della professione. Il ricorso del D.L. avverso detta pronuncia è affidato a sei motivi, articolati in più profili. Non si è difeso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano. Motivi della decisione 1 Premette l'esponente che, in data 17 settembre 2008, all'esito del giudizio penale svoltosi a carico di L.G.M. , per il reato di lesioni in danno di V.L. , venne affermata la penale responsabilità dell'imputato con conseguente condanna dello stesso al risarcimento dei danni e al pagamento di una provvisionale di Euro 50.000,00, oltre Euro 5.000,00 per spese legali. Il successivo 3 ottobre 2008 il D.L. ricevette da Banca SAI s.p.a. un assegno bancario, emesso su ordine di Milano Assicurazioni s.p.a. che, quale responsabile civile, non era stata citata, né era intervenuta nel processo penale , per l'importo di Euro 56.120,00, a titolo di risarcimento di tutti i danni subiti nel sinistro . Rispose il legale precisando che la somma sarebbe stata trattenuta a titolo di mero acconto su quanto effettivamente dovuto, contestualmente concedendo sette giorni di tempo per l'eventuale richiesta di restituzione, ove la nuova imputazione di pagamento non fosse stata accettata, di talché, decorso inutilmente il predetto termine, l'assegno fu consegnato al cliente per l'incasso. In data 23 gennaio 2009, e successivamente, in data 16 settembre 2009, l'avvocato D.L. notificò al L.G. il titolo esecutivo e due distinti atti di precetto per l'importo di Euro 58.434,16. A entrambi si oppose il precettato. Nel giudizio conseguente alla prima opposizione, con ordinanza del 25 novembre 2009, il giudice designato dispose la sospensione della efficacia esecutiva del titolo, in ragione del già avvenuto pagamento delle somme dovute, segnatamente evidenziando l'apposizione della dicitura provvisionale, sopra l'atto di quietanza spedito insieme all'assegno. Aggiunge il deducente che entrambi i giudizi di opposizione si conclusero con sentenza di accoglimento e condanna dell'opposto alle spese e ai danni per lite temeraria. Precisa altresì che il giudizio civile tra il V. , il L.G. e Milano Assicurazioni s.p.a. si è definitivamente concluso in data 7 maggio 2013 con una transazione in base alla quale la società assicuratrice ha corrisposto al danneggiato un residuo risarcimento nella misura di Euro 1.200.000,00, oltre Euro 127.000,00 per spese. Evidenzia infine che nella parte finale della sua motivazione il giudice disciplinare aveva dato atto delle gravissime scorrettezze della società assicuratrice, consistite nel tentativo di liberarsi dalla propria responsabilità debitoria mediante un'offerta a saldo e stralcio di un importo risibile nonché nell'alterazione del quadro istruttorio, costituito dalla produzione di una quietanza che recava la dicitura provvisionale, mai a lui inviata. 2.1 Tanto premesso, con il primo motivo l'impugnante denuncia violazione degli 13 C.E.D.U., 2043, 1183 e 1460 cod. civ., 6 del codice deontologico, nonché eccesso di potere giurisdizionale. Dedotto che nessuno degli illeciti di cui al Titolo IV del codice deontologico, vigente al momento della commissione del fatto, era stato da lui consumato, di talché il Consiglio circondariale nella contestazione aveva dovuto richiamare necessariamente, ancorché implicitamente, l'articolo 6 della predetta fonte, e cioè una delle norme introduttive, poste a tutela degli interessi generali dell'avvocatura, l'esponente contesta che il predetto precetto, per la sua genericità, possa essere fonte di responsabilità disciplinare in ogni caso - assume - la sua condotta, innestatasi nel contesto di rapporti con un avversario tutt'altro che corretto, non aveva leso l'interesse al leale svolgimento della professione forense. In particolare l'addebito ascrittogli - di non avere imputato il pagamento ricevuto alla provvisionale liquidata dal giudice penale - era insussistente a sol considerare l'entità del credito vantato dal suo assistito e il palese tentativo della società assicuratrice di liberarsi da ogni responsabilità con il versamento di una somma irrisoria. Ribadisce all'uopo che la quietanza recante la dicitura provvisionale , esibita in giudizio, non gli era mai stato inviata. 2.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione degli articolo 1180 e 2909 cod. civ Oggetto delle critiche è il diniego della qualificazione del pagamento effettuato dalla società assicuratrice in termini di adempimento del terzo, ex articolo 1180 cod. civ., laddove nessuna delle parti del rapporto in contestazione aveva mai parlato, in relazione allo stesso, di esecuzione della sentenza di condanna al pagamento della provvisionale. Deduce, sul punto, che Milano Assicurazioni neppure aveva partecipato al processo penale, di talché, essendo ad essa inopponibile il giudicato formatosi in quella sede, il pagamento spontaneamente effettuato non poteva essere qualificato come esecuzione della stessa. Rileva che, in ogni caso, egli si era limitato ' ad intimare il pagamento della somma precettata, ma non aveva mai proceduto in via esecutiva. 2.3 Con il terzo motivo, lamentando violazione degli articolo 2043 e 2044 cod. civ., 6 e 7 codice deontologico ed eccesso di potere giurisdizionale, l'esponente evidenzia che il pagamento dell'importo precettato, quand'anche indebito, sarebbe stato ripetibile, laddove per la sussistenza di un illecito disciplinare occorre la violazione di una norma deontologica, sostenuta da un adeguato elemento psicologico. Aggiunge che, in ogni caso, nella fattispecie, il suo comportamento doveva ritenersi scriminato dalle scorrettezze della società assicuratrice. 2.4 Con il quarto mezzo, deducendo violazione dell'articolo 2043 cod. civ. ed eccesso di potere per manifesta illogicità, il ricorrente sostiene che, mentre il primo atto di precetto era stato deliberatamente volto a indurre la compagnia assicuratrice a versare una somma che si sommasse al primo acconto già corrisposto, il secondo costituiva null'altro che la prosecuzione della precedente iniziativa giudiziaria, sull'erroneo presupposto che la proposizione dell'opposizione non sospendesse il termine di cui all'articolo 481 cod. proc. civ 2.5 Con il quinto motivo, prospettando violazione degli articolo 2043 e 2044 cod. civ., il ricorrente lamenta l'illogicità della decisione impugnata per non aver tenuto conto della slealtà della condotta della società assicuratrice. 3 Ragioni di ordine logico consigliano di partire dall'esame del secondo, del quarto e del quinto motivo di ricorso,nei quali sono esposte critiche che, articolate attraverso argomentazioni strettamente connesse, appaiono preliminari rispetto a quelle formulate negli altri mezzi. Occorre muovere dalla considerazione che il Consiglio Nazionale Forense, da un lato, ha dato atto che l'assegno spedito dalla società assicuratrice in adempimento della condanna pronunciata dal giudice penale, era accompagnato da una quietanza in cui si specificava che la somma veniva versata a titolo di risarcimento di tutti i danni subiti dal V. , e, dall'altro, ha ritenuto indimostrato che sulla stessa fosse apposta la scritta a mano provvisionale , segnatamente evidenziando che l'esistenza di due diciture contrastanti sul medesimo plico era fatto di per sé inverosimile. Ora, le esposte censure, valorizzando gli esiti della ricostruzione dei fatti di causa operata dalla Corte territoriale, ruotano intorno alla plausibilità della imputazione della somma di Euro 56.120,00, versata da Milano Assicurazioni, non già all'importo liquidato dal giudice penale, ma alla maggiore somma pretesa dall'infortunato, con conseguente qualificabilità in termini di mero acconto di quel pagamento e persistente azionabilità del titolo esecutivo costituito dalla provvisionale. Secondo la linea difensiva del ricorrente, cioè, proprio il tentativo della società assicuratrice di chiudere il sinistro con il versamento di questo importo soltanto - palesato dall'invio di una quietanza nella quale la causale del pagamento era indicata nel risarcimento di tutti i danni subiti dal V. - insieme alla mancata risposta della società alla richiesta di chiarimenti avanzata dal professionista, avrebbe legittimato la mancata imputazione della somma corrisposta alla penale e, conseguentemente, l'autonoma precettabilità della stessa. Nell'ambito di siffatta strategia difensiva, l'invio di un secondo atto di precetto, dopo il primo, sarebbe poi stato frutto di un mero errore processuale che, insieme alla rilevata estinzione del credito azionato, era già stato pesantemente sanzionato dal giudice civile con l'accoglimento delle opposizioni proposte dall'ingiunto e la condanna del precettante alle spese e ai danni per lite temeraria. 4 Le critiche sono tuttavia prive di pregio. E invero, la pur abile prospettazione difensiva del'incolpato non vale a scalfire l'ineccepibile rigore logico del rilievo, svolto dal giudice disciplinare, secondo cui la circostanza che il pagamento della società assicuratrice era intervenuto ad oltre tre anni dal sinistro, ma a pochi giorni dalla pronuncia della sentenza penale, con un importo del tutto corrispondente a quanto liquidato per capitale, spese legali e accessori, imponeva senz'altro di imputarlo alla provvisionale colà liquidata, di talché la pretesa di agire in executivis per riscuotere quest'ultima, non poteva ritenersi improntata a lealtà . A ciò aggiungasi che neppure può tacciarsi di irragioncvolezza la ritenuta implausibilità di un'erronea ricognizione del disposto dell'articolo 481 cod. proc. civ. come fattore determinante della notifica della seconda intimazione di pagamento, considerato che la regola della sospensione del termine di efficacia del precetto, ove contro lo stesso venga presentata opposizione, segue immediatamente la determinazione in novanta giorni della sua durata. Infine il richiamo all'istituto di cui all'articolo 1180 cod. civ. costituisce un'arma spuntata, posto che l'adempimento del terzo comporta comunque l'estinzione dell'obbligazione, come del resto ben mostrò di sapere l'opponente, allorché comunicò alla società assicuratrice la diversa imputazione che intendeva dare al pagamento. 5 Quanto sin qui esposto consente di meglio cogliere le ragioni della infondatezza anche dell'assunto, segnatamente svolto nel primo e nel terzo motivo, di inidoneità del disposto dell'articolo 6 del codice deontologico, nel testo vigente ratione temporis , a essere fonte di responsabilità disciplinare. È sufficiente al riguardo considerare che l'obbligo dell'avvocato di ispirare la propria condotta all'osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro, colà sancito, ha un preciso e speculare riscontro nel disposto dell'articolo 88 cod. proc. civ., che non solo sancisce il dovere delle parti e dei loro difensori di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, ma impone altresì al giudice, ove il patrocinatore Io infranga, di riferirne all'autorità disciplinare. A ciò aggiungasi che il primo comma dell'articolo 92 prevede la trasgressione del dovere di cui all'articolo 88 cod. proc. civ. - sovrapponile, si ripete, all'articolo 6 del codice deontologico - come autonoma ragione di rimborso delle spese, anche non ripetibili. Trattasi di indici normativi che inequivocabilmente danno tono e rilevanza disciplinare alla violazione del dovere deontologico innanzi richiamato. Ne deriva, venendo al caso di specie, che correttamente il Consiglio dell'Ordine ha negato alle indubbie opacità delle condotte della società assicuratrice efficacia scriminate di scelte processuali che, provenendo da un tecnico del diritto, potevano e dovevano essere diversamente orientate. Il ricorso è respinto. Nulla va disposto in ordine alle spese processuali, non avendo gli intimati svolto attività difensiva. La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione. P.Q.M. La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.