Pullman fuori strada, contravvenzione all’autista. Ma l’azienda non ottiene il risarcimento

Respinta la richiesta avanzata nei confronti del dipendente. Fondamentale la ricostruzione dell’eventuale nesso di causalità tra la condotta di guida e i danni subiti dal veicolo, e il verbale della polizia stradale non è sufficiente esso certifica il fatto, ma la ricostruzione del comportamento tenuto dal conducente è fondata soltanto su giudizi valutativi.

Guida pericolosa certificata dal verbale della contravvenzione, eppure l’incidente, col pullman della ditta di trasporti, non è addebitabile all’autista. Di conseguenza, nessun risarcimento dei danni a carico del lavoratore. Perché la ricostruzione dei fatti, così come ‘fotografata’, non può fondare la responsabilità del dipendente sulla base del ragionamento induttivo espresso nel verbale Cassazione, sentenza numero 4903, sezione Lavoro, depositata oggi . Vecchia storia. Diatriba annosa, quella sottoposta ai giudici della Cassazione, che, sulla stessa vicenda, tornano ad esprimersi per la terza volta! Da anni, difatti, va avanti la battaglia giudiziaria tra una società di trasporti – specializzata sulle mete turistiche – e un suo autista pomo della discordia i danni subiti da un pullman a seguito di un incidente, che, secondo la ditta, va addebitato alla responsabilità del dipendente. Su tale questione, per la terza volta, la Corte d’Appello respinge la richiesta avanzata dalla società di trasporti, finalizzata ad «ottenere il risarcimento del danno» cagionato al pullman per la «negligente condotta di guida» dell’autista. Perché questa decisione? «Valore probatorio» da negare, secondo i giudici, «al verbale di contravvenzione elevato a carico del lavoratore» e in cui si afferma che l’autista «aveva percorso un tratto di strada semicurva con forte discesa ad una velocità non commisurata a tali condizioni di strada». Entrando più nei dettagli, i giudici affermano che «la ricostruzione dell’incidente è induttiva» e «operata sulla base di rilievi a suo tempo effettuati», non avendo il pubblico ufficiale «assistito alla dinamica dell’incidente». Dinamica. Troppi elementi trascurati, però, secondo la società di trasporti, che, tramite il proprio legale, presenta ricorso in Cassazione, continuando a rivendicare la responsabilità dell’autista. Particolare attenzione viene richiamata su «elementi di prova» quali «caratteristiche del tratto di strada, guida del lavoratore, coincidenza spaziale e temporale fra tale guida e i danni procurati al veicolo», e, soprattutto, sulla condotta tenuta dal lavoratore «da qualificare come gravemente imprudente» e conclusasi con l’uscita di strada del pullmanumero Ma, secondo il legale della società ricorrente, va dato rilievo maggiore alla «efficacia probatoria del verbale». Alla luce di questo documento, difatti, «il datore di lavoro ha provato che l’evento dannoso è da riconnettere al comportamento del lavoratore», e quindi è quest’ultimo a dover provare «la non imputabilità a sé dell’inadempimento». Seguendo questo ragionamento, erronea sarebbe stata la decisione della Corte d’Appello per aver «negato immotivatamente la responsabilità del lavoratore senza negare il nesso causale fra la condotta» dell’autista e «il danno procurato con l’incidente». Omessa causalità. Come porre la parola ‘fine’, in maniera definitiva, alla vicenda? Per i giudici della Cassazione, il principio di riferimento è chiaro «incombe sul datore di lavoro l’onere di provare la colpa del lavoratore nella causazione dell’evento dannoso». Con maggiore precisione, poi, viene chiarito che, per l’affermazione «della responsabilità del lavoratore verso il datore di lavoro per un evento dannoso verificatosi nel corso dell’espletamento delle mansioni affidategli», è compito del datore di lavoro «fornire la prova che l’evento dannoso è da riconnettere ad una condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di diligenza, e cioè in rapporto di derivazione causale da tale condotta», e solo successivamente «il lavoratore è tenuto a provare la non imputabilità a sé dell’inadempimento». Chiaro il quadro teorico, l’applicazione sulla vicenda è legata al ‘peso’ da riconoscere al verbale della contravvenzione. Ebbene, quest’ultimo documento – ovvero la ricostruzione compiuta dalla polizia stradale – certifica il fatto, l’uscita di strada del veicolo, ma ricostruisce, con un «giudizio valutativo» e «induttivo», la «condotta» dell’autista. Ciò non basta – e su questo i giudici condividono le valutazioni compiute in Appello – per considerare acclarato il «nesso di causalità fra la condotta del lavoratore e il danno procurato al veicolo del datore di lavoro». Confermata, quindi, la pronuncia di secondo grado, e negato, in via definitiva, il risarcimento dei danni richiesto dalla società di trasporti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 febbraio – 27 marzo 2012, numero 4903 Presidente Lamorgese – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 3 giugno 2010 la Corte d’Appello di Ancona, giudicando in sede di rinvio a seguito di sentenza di annullamento del 23 agosto 2006 della Corte di Cassazione di una precedente sentenza del Tribunale di Urbino che aveva a sua volta deciso in sede di rinvio a seguito della cassazione di altra sentenza di appello del Tribunale di Pesaro, ha confermato la sentenza del Pretore di Pesaro che, per quanto rileva in questa sede, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla Autolinee Capponi s.r.l. nei confronti del proprio dipendente C.P. intesa ad ottenere il risarcimento del danno cagionato per la sua negligente condotta di guida ad un autobus di proprietà di detta società. La Corte territoriale ha motivato tale decisione negando valore probatorio, in assenza di altre utili emergenze, al verbale di contravvenzione elevato a carico del lavoratore e con il quale si dà atto che il C. aveva percorso un tratto di strada semicurva con forte discesa ad una velocità non commisurata a tali condizioni della strada. La Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui il verbale emesso da pubblico ufficiale fa fede fino a querela di falso solo riguardo alla sua provenienza e, quanto al suo contenuto, per quanto riguarda le dichiarazioni ed i fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale stesso. Nel caso in esame la ricostruzione dell’incidente è il frutto di una ricostruzione induttiva del verbalizzante operata sulla base di rilevi a suo tempo effettuati, non avendo egli assistito alla dinamica dell’incidente. La Corte d’Appello di Ancona ha escluso di poter ricorrere a presunzioni che, nel caso in esame, si tradurrebbero in una petizione di principio potendosi fare riferimento solo a un parametro meramente possibilistico. La stessa Corte d’Appello ha poi disposto la compensazione fra le parti delle spese di tutti i gradi di giudizio successivi al primo considerando il lungo tempo trascorso che ha inciso sulla fruttuosità, dell’istruttoria. La Autolinee Capponi s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolandolo su due motivi. Resis e con controricorso il C. che propone ricorso incidentale. Il C. ha depositato memoria ex articolo 378 cod. proc. civ. Motivi della decisione I due ricorsi vanno riuniti essendo proposti avverso la medesima sentenza. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta vizio di motivazione sotto i profili dell’insufficienza e della contraddizione. In particolare si deduce che la Corte territoriale non avrebbe considerato vari elementi di prova quali le caratteristiche del tratto di strada ove è avvenuto l’incidente, la guida del lavoratore, la coincidenza spaziale e temporale fra tale guida ed i danni procurati al veicolo da lui condotto. La Corte d’Appello avrebbe errato nell’escludere ogni elemento di presunzione senza alcuna logica motivazione. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge ed error in procedendo in riferimento all’articolo 384, commi 1 e 2 cod. proc. civ. violazione di legge in riferimento all’articolo 2729 cod. civ. vizio di motivazione. In particolare si assume che sarebbe stato disatteso quanto affermato nella sentenza rescindente secondo cui il lavoratore aveva percorso un tratto di strada in semicurva con forte discesa ad una velocità non commisurata a tali condizioni della strada tale condotta è da qualificare come gravemente imprudente il veicolo, al termine del tratto di strada suddetto, è uscito di strada la polizia ha elevato verbale di contravvenzione al lavoratore conducente l’efficacia probatoria del verbale non viene meno per il lasso di tempo trascorso tra l’incidente e la redazione del verbale irrilevante è il processo psicologico del verbalizzante la veridicità degli accadimenti descritti nel verbale può essere contestata solo con querela di falso una volta che il datore di lavoro ha provato che l’evento dannoso è da riconnettere al comportamento del lavoratore, è questi che deve provare la non imputabilità a sé dell’inadermpimento la Corte territoriale avrebbe pertanto negato immotivatamente la responsabilità del lavoratore senza negare, il nesso causale fra la condotta ed il danno procurato con l’incidente. La sentenza impugnata avrebbe violato anche l’articolo 2729 cod. civ. disattendendo circostanze definite gravi, precise e concordanti. Con il ricorso incidentale il C. lamenta difetto di motivazione, contraddittorietà ed illogicità della stessa con riferimento alla disposta compensazione delle spese di lite in relazione all’articolo 91 cod. proc. civ. In particolare si deduce che la lungaggine dell’istruttoria sulla quale la Corte d’Appello ha. fondato la motivazione della suddetta compensazione, non sarebbe da attribuire certamente al lavoratore, per cui tale compensazione sarebbe immotivata. Il ricorso principale è infondato. Premesso il principio per il quale incombe sul datore di lavoro l’onere di provare la colpa del lavoratore nella causazione dell’evento dannoso, come affermato nella prima sentenza rescindente della Corte di Cassazione relativa al presente processo, ed accertato nel primo giudizio di rinvio che ha escluso l’esistenza di clausole contrattuali in senso contrario, la Corte territoriale aveva il compito di accertare il nesso di causalità fra la condotta del lavoratore e il danno facendo ricorso anche a criteri presuntivi secondo quanto affermato dalla seconda sentenza rescindente di questa corte relativa al presente processo, che aveva lamentato il difetto di motivazione della seconda sentenza di rinvio proprio sotto il profilo del mancato accertamento di detto nesso di causalità e del mancato ricorse alla presunzione. Osserva il collegio che la seconda sentenza rescindente ha comunque ribadito il principio secondo cui, ai fini dell’affermazione della responsabilità del lavoratore verso il datore di lavoro per un evento dannoso verificatosi nel corso dell’espletamento delle mansioni affidategli, è, anzitutto, onere del datore di lavoro fornire la prova che l’evento dannoso è da riconnettere ad una condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di diligenza, e cioè in rapporto di derivazione causale da tale condotta. Solo una volta che risulti assolto tale onere, il lavoratore è tenuto a provare la non imputabilità a sé dell’inadempimento. La Corte territoriale ha, sia pur sommariamente, seguito il principio indicato nella sentenza rescindente, esaminando i profili di colpa del lavoratore e motivando come questi non possano essere desunti da presunzioni. Il comportamento colposo del lavoratore è desumibile dal verbale della polizia stradale sull’incidente, e la corte territoriale ha ritenuto di non poter fondare il proprio convincimento sulla base di questo aderendo alla consolidata giurisprudenza di legittimità richiamata, per cui il verbale fa fede sui fatti e non sui giudizi valutativi del verbalizzante. Il giudizio sulla condotta del lavoratore è appunto ricavabile esclusivamente dal verbale in questione che, pur facendo fede fino a querela di falso, non può riguardare giudizi ma fatti. La qualificazione della condotta che emerge dai fatti contenuto nel verbale è riservata al giudice del merito che, nel caso in esame, ha in questo caso motivato il mancato recepimento del giudizio sulla condotta del lavoratore ritenendo che il verbale in questione contiene una ricostruzione induttiva della dinamica dell’incidente operata dal verbalizzante che non aveva assistito all’incidente. In tal modo la Corte di Ancona ha, sia pur sommariamente, motivato il giudizio di mancanza del nesso di causalità fra la condotta del lavoratore ed il danno procurato al veicolo del datore di lavoro attuale ricorrente. Né può essere censurata, in sede di legittimità, la valutazione delle prove o la considerazione di determinati elementi di fatto riservati al giudice del merito, se sorretti, come in questo caso, da idonea motivazione. La stessa Corte d’Appello ha pure motivato il mancato ricorso alla presunzione, indicata, come detto, dalla Corte di Cassazione come criterio da considerare. A tale riguardo va ricordato che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta, pertanto, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità Cass. 11 maggio 2007 numero 108471 . Conseguentemente la censura accolta dalla Corte di Cassazione con la sentenza di rinvio si riferiva al mancato utilizzo del ragionamento presuntivo, ma non poteva ovviamente prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito. In sede di rinvio la Corte territoriale ha considerato l’indicato ricorso alla presunzione, escludendolo motivatamente, considerando che, in assenza di rilievi acquisiti in sede processuale, rimane un criterio meramente probabilistico insufficiente, a suo giudizio, per affermare la responsabilità del lavoratore nella causazione dell’evento dannoso. Avendo la Corte territoriale ottemperato a quanto indicato dalla Corte di Cassazione con la seconda sentenza di rinvio il ricorso principale deve dunque essere rigettato. Anche il ricorso incidentale è infondato. Sebbene la lunga durata degli accertamenti istruttori, posti a fondamento della motivazione della contestata compensazione delle spese di giudizio, non possa addebitarsi al lavoratore, come sostenuto dal ricorrente incidentale, deve ritenersi che la Corte territoriale, con il riferimento a tale lunghezza, abbia ritenuto considerare la difficoltà del giudizio che rileva ai fini della compensazione delle spese e ne costituisce un adeguato motivo. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione fa le parti delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi e li rigetta Compensa interamente fra le parti le spese ilei presente giudizio.