Pubblicazione di intercettazioni contenenti offese a terzi: il diritto all’informazione prevale sulla tutela della privacy

Con riferimento alla cronaca giudiziaria, la pubblicazione di notizie potenzialmente lesive di interessi primari di terzi estranei al processo penale, in quanto non rivestenti la qualifica di imputato o di vittima del reato, ed emergenti da conversazioni telefoniche intercettate fra un terzo e un indagato, riportate nel contenuto di un’ordinanza di custodia cautelare, dev’essere ritenuta – ferma la valutazione della sua liceità sotto gli altri profili caratterizzanti il corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria in concreto, cioè quanto alle modalità c.d. continenza – di interesse pubblico e, quindi, assistita da c.d. pertinenza , qualora la notizia venga pubblicata come parte di un’informazione sulla vicenda penale riguardante l’indagato e concerna un oggetto che presenti similarità rispetto all’oggetto del processo penale. Non deve, invece, essere ritenuta di interesse pubblico, qualora, pur pubblicata come parte di quell’informazione, concerna un oggetto del tutto privo di similarità in tal senso e dunque come tale del tutto irrilevante ed eccentrico ai fini della cronaca giudiziaria, cioè della conoscenza da parte dell’opinione pubblica di quello che è accaduto nel processo penale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 21404 del 10 ottobre 2014. Il caso. L’ex direttore della RAI, Fabrizio Del Noce, ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma che, a conferma della pronuncia di primo grado, aveva respinto la sua domanda risarcitoria proposta nei confronti del Gruppo Editoriale L’espresso s.p.a., del direttore responsabile di un noto quotidiano e della conduttrice Paola Saluzzi. La pretesa traeva origine dalla pubblicazione di un’intercettazione telefonica tra la conduttrice e Salvo Sottile che all’epoca rivestiva la carica di portavoce del Ministro degli Esteri , il cui contenuto era stato reso pubblico in quanto era risultato compreso in un’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’ambito del procedimento penale denominato “Vallettopoli”, avente ad oggetto presunti favoritismi nella selezione dei conduttori televisivi in ambito RAI sulla base di criteri di contiguità sentimentale o sessuale. A detta del ricorrente, la pubblicazione aveva carattere diffamatorio atteso che, nel corso della telefonata, la Saluzzi aveva espresso alcune convinzioni sull’orientamento sessuale del Del Noce, appellandolo con un epiteto disdicevole, e aveva inoltre ipotizzato una relazione sentimentale tra l’ex direttore della RAI e un altro conduttore televisivo, che aveva inciso sulla decisione di sostituirla nella conduzione di una trasmissione che godeva di ottimi ascolti. I presupposti per l’esercizio del diritto di cronaca. In primo luogo, il ricorrente censura la sentenza di merito per aver ritenuto legittima la pubblicazione dell’intercettazione telefonica. Al riguardo, i Giudici di merito avevano osservato che, sebbene l’attore non fosse coinvolto nel procedimento penale nel corso del quale era stata utilizzata l’intercettazione, ciò nonostante la divulgazione della stessa appariva giustificata dal legittimo esercizio del diritto di cronaca. Nel caso di specie, infatti, sussistevano i requisiti necessari per considerare la divulgazione di notizie lesive dell’onore come espressione del suddetto diritto, cioè il principio della verità oggettiva o putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, il principio della c.d. pertinenza, cioè della sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, e il principio della c.d. continenza, cioè dell’osservanza di una forma “civile” nell’esposizione dei fatti e nella loro valutazione. La continenza formale. Con riferimento a tali requisiti, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver omesso di considerare, ai fini della valutazione della ricorrenza dell’interesse pubblico all’informazione, la fondamentale circostanza che l’articolo, non solo non forniva alcuna necessaria indicazione circa il mancato coinvolgimento del Del Noce nell’inchiesta penale elemento “omissivo” , ma addirittura suggeriva tale coinvolgimento elemento “positivo” . Ebbene, nel rigettare il motivo di ricorso, la Suprema Corte osserva preliminarmente che, entrambi gli elementi, piuttosto che pertinenti alla valutazione dell’interesse pubblico alla conoscenza del contenuto dell’intercettazione limite della pertinenza , avrebbero potuto semmai rivelare la violazione del limite della continenza, rispettivamente per la prospettazione di una realtà monca dell’elemento negativo e di una realtà positiva diversa da quella effettiva. Ciò stante, posto che il ricorrente non aveva svolto alcuna argomentazione sul come e perché tali elementi avrebbero integrato un’esorbitanza dal limite della continenza, il motivo di ricorso è giudicato inammissibile. Nondimeno, osservano gli Ermellini che, pur a voler superare l’esposto vizio preliminare, la censura sarebbe infondata avuto riguardo al contenuto ed alla grafica dell’articolo. Ed invero, nulla, nell’articolo, suggeriva al lettore un coinvolgimento del ricorrente nel procedimento penale, né tantomeno poteva ascriversi alla testata giornalistica un superamento del limite della continenza per un fatto omissivo, cioè per non avere precisato che il medesimo non era coinvolto nell’inchiesta penale, dal momento che l’assenza nell’ordito dell’articolo di qualsiasi indicazione circa i soggetti indagati escludeva che il non esserlo il Del Noce dovesse essere precisato. La c.d. pertinenza dell’informazione fornita. Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver erroneamente apprezzato la sussistenza del requisito del rilevante interesse pubblico del lettore c.d. pertinenza . A giudizio della Corte di merito, infatti, il contenuto per così dire “privato” dei riferimenti alla persona del ricorrente contenuti nella telefonata ovvero il suo ritenuto orientamento omosessuale ed il legame sentimentale con un conduttore ipotizzato dalla Saluzzi erano rilevanti e pertinenti con riferimento all’informazione fornita ai lettori, riguardante i favoritismi in ambito aziendale legati a motivazioni diverse dalla competenza professionale. Ebbene, tale statuizione è ritenuta condivisibile dai Giudici di legittimità. Nella specie, si era trattato di esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, con riferimento al contenuto di un atto emesso nell’ambito di un’inchiesta penale, il quale era divenuto non più coperto dal segreto agli effetti della disciplina del processo penale. Alla luce di ciò, risulta priva di fondamento la prospettazione del ricorrente secondo cui il non essere egli coinvolto nel procedimento penale di per sé implicasse che l’informazione desumibile dall’intercettazione in cui egli era nominato non fosse assistita dal requisito del rilevante interesse pubblico del lettore alla sua conoscenza e, quindi, non fosse pertinente. L’interesse pubblico all’informazione in caso di coinvolgimento di terzi. A giudizio degli Ermellini, non è sostenibile che, allorché in un atto del processo penale non coperto dal segreto risulti contemplato un fatto o una notizia relativi a persona che non sia in esso coinvolta come “parte” e che siano potenzialmente lesivi del suo onore, della sua reputazione, della sua riservatezza o di altri interessi primari, automaticamente si debba ritenere che l’esercizio del diritto di cronaca riguardo al processo debba avvenire omettendo qualsiasi riferimento a detta persona, perché il suo non coinvolgimento in quella veste comporterebbe di per sé la carenza dell’interesse pubblico del lettore o dell’utente del servizio informativo alla conoscenza di ciò che lo riguarda. Ed invero, se si sostenesse che le notizie concernenti l’esercizio da parte dello Stato della pretesa punitiva possano legittimamente essere oggetto di cronaca soltanto se riguardanti gli indagati o gli imputati, l’esercizio del diritto di cronaca finirebbe per non potere attingere neppure i soggetti coinvolti nel processo come vittime del reato. Se si conviene, dunque, che l’interesse pubblico alla conoscenza si correla non solo alla qualità di persona indagata o imputata, ma anche alla qualità di vittima, non può affermarsi che il diritto di cronaca incontri limiti allorché i fatti che assumono rilevanza nel processo penale riguardano, nella loro dimensione di accadimenti storici, altri soggetti. Pertanto, una volta considerato che lo svolgimento della pretesa punitiva penale non coperto da segretezza è per definizione oggetto di un rilevante interesse pubblico alla conoscenza, tale interesse non può che attingere in astratto quello svolgimento nella sua interezza e, dunque, anche quanto al coinvolgimento dei terzi, dato che altrimenti l’informazione diretta a soddisfare detto interesse non potrebbe esplicarsi. Il bilanciamento con gli interessi primari del terzo. Ciò premesso, la Suprema Corte chiarisce però la necessità di ricercare un limite all’esercizio del diritto di cronaca dei fatti rilevanti nel processo coinvolgenti terzi sotto il profilo della pertinenza dell’informazione, per un’esigenza di ovvio bilanciamento e tutela dei diritti dei terzi di importanza primaria. Ebbene, il limite in funzione di tale bilanciamento è individuato qualora la conoscenza dei fatti coinvolgenti il terzo, pur oggettivamente funzionale alla conoscenza dell’esercizio della pretesa punitiva, possa, tuttavia, risultare priva di rilievo per soddisfare l’esigenza di conoscenza dell’opinione pubblica. In altri termini, se il fatto coinvolgente il terzo sia emerso nel processo penale ma si connoti come del tutto irrilevante ai fini della conoscenza dei termini e dell’oggetto della pretesa punitiva, è sostenibile che l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria possa non essere assistito dal requisito dell’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto di tal genere. Ciò posto, tale interesse è ritenuto sussistente nel caso di specie, laddove si trattava della notizia di un fatto processuale penale che ineriva una manifestazione di opinione e di generica conoscenza di un accadimento il favoritismo legato alla pretesa relazione sessuale che, sebbene non fosse oggetto dell’esercizio della pretesa punitiva, si trovava in stretta ed oggettiva connessione per similarità con esso. La pretesa finalizzazione sessuale dell’operare del Del Noce nelle scelte circa la conduzione dei programmi o lo svolgimento di altre attività, ipotizzata dalla Saluzzi, evidenziava certamente una situazione – pur solo nell’opinione della medesima e, peraltro, del tutto non circostanziata – omologa e simile a quelle direttamente attinte dalla pretesa punitiva esercitata nel processo penale, che concerneva fatti illeciti per finalizzazione sessuale coinvolgenti l’esercizio delle funzioni della dirigenza RAI, di cui il Del Noce, pur estraneo all’indagine, faceva parte. Nessuna violazione della privacy e del codice deontologico. Con un ulteriore motivo di censura, il ricorrente critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’articolo oggetto della pubblicazione non violasse il diritto alla protezione dei dati personali e che l’informazione fornita dal giornale rientrasse nei parametri dettati dall’articolo 137 d.lgs. numero 196/2003. Alla stregua di tale norma, nella diffusione o comunicazione dei dati personali per finalità giornalistiche devono restar fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti fondamentali della persona e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Al riguardo, la Corte di merito si sarebbe limitata ad affermare che la divulgazione dei dati in questione appariva indispensabile in ragione della «originalità del fatto» e della «qualificazione dei protagonisti». I Giudici di merito avrebbero, inoltre, omesso di considerare che la mancata espunzione dell’epiteto offensivo utilizzato dalla Saluzzi nella conversazione costituiva, comunque, violazione dei dettami degli articolo 8 e 11 del Codice, per i quali – pur se una pubblicazione può essere ammessa nell’ambito del perseguimento della finalità dell’informazione – la stessa deve comunque rispettare la dignità della persona umana. Nel rigettare il motivo di censura, la Suprema Corte esclude la riconducibilità in concreto della vicenda al d.lgs. numero 196/2003, in quanto un’opinione sulla tendenza sessuale di una persona manifestata in un’intercettazione inserita in un atto penale, qualora non sia circostanziata e, quindi, idonea ad identificare un fatto, non costituisce né dato personale né dato sensibile agli effetti del detto d.lgs. Meno che mai, sempre per tale ragione, la vicenda risulta collocabile sotto l’àmbito dell’articolo 11 del Codice, che allude a descrizione di abitudini sessuali di una persona.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 giugno – 10 ottobre 2014, numero 21404 Presidente Amatucci – Relatore Frasca