Telefono che scotta: quando le continue chiamate costituiscono reato

Integra il reato di molestie la condotta di chi compie un numero elevato di telefonate ripetute nel tempo e in maniera compulsiva, non sorrette da alcun fine plausibile e da una seria motivazione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 31265, depositata il 16 luglio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del gup, assolveva l’imputata dal delitto di peculato per insussistenza del fatto e confermava la condanna per il reato di molestie, riducendone la pena. La donna era stata denunciata da due funzionari di una società immobiliare che erano stati ripetutamente molestati e minacciati al telefono dalla stessa, in conseguenza di contrasti nati in relazione ad una compravendita immobiliare. Avverso la sentenza della Corte d’appello l’imputata ricorreva per cassazione. Azione “compulsiva”. A giudizio della Corte di Cassazione, la Corte territoriale correttamente ha ravvisato il reato contestato, sottolineandone la natura “compulsiva”. Numerosissime sono state, infatti, le chiamate della donna alle persone offese 42 concentrate in quattro giorni, alcune di esse in orario serale e di durata brevissima. Ragioni contrattuali? Mero pretesto. Il richiamo della ricorrente alle ragioni contrattuali del contrasto con i due denuncianti appare del tutto pretestuoso agli occhi della Cassazione, che l’ha ritenuto un mero pretesto per insultare e molestare le due persone offese, piuttosto che la reale causa delle chiamate. Elemento soggettivo del reato di molestie. Appare, dunque, perfettamente presente, nel caso di specie, l’elemento soggettivo del reato di molestie, consistente nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto Cass., Sez. I, numero 33267/13 . Per tali motivi, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena, che elimina, e rigetta nel resto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 giugno – 16 luglio 2014, numero 31265 Presidente Giordano – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 3/3/2014, in parziale riforma di quella dei G.U.P. dei Tribunale di Brescia che aveva condannato T.V. per i reati di peculato e molestie telefoniche, assolveva l'appellante dal delitto d peculato per insussistenza del fatto e, previa concessione delle attenuanti generiche, ritenendo il reato di molestie commesso nel mese di luglio 2009, riduceva la pena per detta contravvenzione ad euro 200,00 di ammenda. L'imputata, agente di Polizia Municipale, era stata denunciata da due funzionari di una società immobiliare in conseguenza di contrasti nati in relazione ad una compravendita immobiliare, ella, secondo l'imputazione, li aveva ripetutamente molestati e minacciati al telefono. Secondo la Corte le telefonate del secondo periodo risultanti dai tabulati provenivano sicuramente dall'imputata, essendo partite dalla sua utenza dell'ufficio in coincidenza con i suoi turni di servizio, ma soprattutto in quanto numerosissime 42 concentrate in quattro giorni, anche in ora serale alcune di esse erano brevissime, così come i due denuncianti avevano riferito. Le due persone offese venivano ritenute attendibili in quanto i loro racconti erano riscontrati dalla documentazione acquisita. Secondo la Corte sussistevano i presupposti del reato di molestie di cui all'articolo 660 cod. penumero , limitatamente alle telefonate eseguite nel mese di luglio 2009, attesa la ripetitività parossistica delle chiamate, fatte anche in ora notturna. 2. Ricorre per cassazione V.T., deducendo distinti motivi. In un primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione. In effetti, per integrare il reato di molestie, non è sufficiente la sussistenza di atti oggettivamente fastidiosi od irritanti occorre anche l'elemento soggettivo della petulanza o di un altro biasimevole motivo. La motivazione sul punto era apparente e, del resto, tale elemento era insussistente, tenuto conto che le chiamate erano conseguenza di negativi rapporti contrattuali con le persone offese, verso i quali la T. aveva anche presentato denuncia. Per di più, la motivazione era contraddittoria, perché, in un altro passo, la sentenza riteneva possibile che alcuna delle conversazioni fosse inerente a questioni di ufficio ma il motivo delle telefonate era unico. In definitiva, la Corte territoriale non aveva escluso la fondatezza della rappresentazione dei rapporti con le persone offese fatte dalla T. e, ciò nonostante, aveva confermato la condanna. In un secondo motivo, la ricorrente deduce violazione di legge il reato di molestie deve ritenersi assorbito da quelli di ingiurie e minacce che sono improcedibili per la presentazione tardiva della querela. In un terzo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione per l'omessa revoca della sospensione condizionale della pena, provvedimento che, caduta la condanna per il reato di peculato, risultava contrario all'interesse dell'imputata. La ricorrente conclude per l'annullamento della sentenza impugnata, con o senza rinvio. Considerato in diritto 1. Il secondo motivo di ricorso è palesemente infondato. Questa Corte insegna, infatti, che la norma dell'articolo 660 cod. penumero mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l'offesa alla quiete privata, e la relativa contravvenzione è procedibile d'ufficio. Ne consegue che, quando il fatto sia perseguibile anche quale minaccia, l'assenza della querela per tale ultimo reato o la relativa remissione non influiscono sulla procedibilità dell'azione per il reato contravvenzionale, mentre quest'ultimo, nel caso di contestuale perseguimento dei delitto punibile a querela, resta invece assorbito nella fattispecie più grave Sez. 1, numero 25045 del 09/05/2002 - dep. 01/07/2002, Placidi, Rv. 222705 Sez. 1, numero 11208 del 29/09/1994 - dep. 09/11/1994, P.M. in proc. Bolani ed altro, Rv. 199624 . 2. Il primo motivo di ricorso è infondato. La ricorrente, nel sostenere la manifesta illogicità della motivazione, elude il nucleo centrale della motivazione della sentenza impugnata la ripartizione in due gruppi ben distinti delle conversazioni telefoniche intercorse tra la T. e le due persone offese. Solo nel secondo gruppo di conversazioni la Corte territoriale ravvisa il reato contestato, sottolineandone la natura compulsiva numerosissime chiamate concentrate in pochi giorni, alcune di esse in orario serale e di durata brevissima, spesso corrispondente a poche parole o a telefonate mute assai diverse, quindi, sia nella frequenza che nella durata di ciascuna di esse da quelle intercorse nel periodo precedente. La Corte ha, così, ritenuto riscontrata la versione dei denuncianti, che indicavano proprio le telefonate del luglio 2009 come quelle assillanti, nelle quali la T. si limitava ad insultarli o a fare addirittura telefonate mute. Appare, quindi, pretestuoso il richiamo della ricorrente alle ragioni contrattuali del contrasto con i due denuncianti, poiché, in quest'ultima fase, il salto di qualità in negativo operato dalla T. dimostrava che le questioni contrattuali non erano più la reale causa delle chiamate, ma solo un pretesto per insultare e molestare le due persone offese. Bene si attaglia, quindi, alla fattispecie in esame l'insegnamento costante di questa Corte secondo cui l'elemento soggettivo del reato di molestie consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l'eventuale convinzione dell'agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto Sez. 1, numero 33267 del 11/06/2013 - dep. 31/07/2013, Saggiomo, Rv. 256992 la Corte, con ampia motivazione, ha ritenuto che i contrasti contrattuali fossero ormai uno sfondo all'azione compulsiva della T., in realtà decisa soltanto a molestare le controparti. 3. Il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato che nell'ambito del potere discrezionale riconosciuto dall'articolo 163 cod. penumero , il giudice può, anche di ufficio, concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena dell'ammenda, facendo prevalere, sul contrario interesse dell'imputato, l'utilità che discende dalla funzione rieducativa insita nel beneficio in questione di tale prevalente utilità il giudice è però tenuto a fornire concreta giustificazione Sez. 1, numero 44602 del 11/11/2008 - dep. 01/12/2008, Stefanelli, Rv. 241912 . Nel caso di specie, nessuna giustificazione è presente in sentenza per la concessione d'ufficio del beneficio eppure la questione doveva essere affrontata, in conseguenza dell'assoluzione dal delitto di peculato e della conseguente modifica della natura della pena inflitta dalla reclusione all'ammenda . Avendo la ricorrente manifestato l'interesse contrario alla concessione del beneficio e non emergendo utilità specifiche in senso opposto, la sospensione condizionale della pena viene eliminata direttamente da questa Corte ai sensi dell'articolo 620, comma 1, lett. I cod. proc. penumero . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena, che elimina rigetta nel resto il ricorso.