In tema di responsabilità per fatto illecito, l’articolo 2059 c.c. non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all’articolo 2043 c.c., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’articolo 2043 c.c Da ciò deriva che, anche in presenza della lesione di diritti inviolabili, non è ipotizzabile il risarcimento del danno non patrimoniale in mancanza della sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso, che oltretutto deve avere le caratteristiche della gravità e della non futilità.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia numero 349 del 13 gennaio 2016. Il caso. Un brigadiere dei Carabinieri citava in giudizio il conducente e il capo pattuglia della Polizia Stradale per essere risarcito dei danni alla reputazione subiti per uno scambio di persona. Nel caso di specie, gli era stato notificato un verbale di contestazione per violazione del codice della strada sulla base di un errore nella sua identificazione, dal quale era altresì scaturita una denuncia alla Procura della Repubblica per illecito penale. La domanda, accolta in primo grado, veniva rigettata al termine del successivo giudizio d’appello instaurato dai convenuti. In particolare, la Corte d’appello escludeva il diritto al risarcimento per mancanza di prova del danno lamentato. L’attore si rivolgeva, quindi, alla Corte di Cassazione. Il nuovo volto del danno non patrimoniale. Innanzitutto, il ricorrente lamenta contraddittorietà nella motivazione laddove la Corte territoriale, pur riconoscendo la responsabilità degli agenti per l’erronea identificazione, avrebbe negato qualunque conseguenza a tale comportamento colpevole. A giudizio del ricorrente, per i diritti inviolabili della persona, l’articolo 2043 c.c. assicurerebbe tutela risarcitoria non patrimoniale con la semplice dimostrazione della violazione del diritto leso. Ebbene, nel respingere la tesi in parola, i Giudici di legittimità richiamano la decisione numero 26972 del 2008, con cui le Sezioni Unite sono pervenute ad un nuovo inquadramento del danno non patrimoniale. Nella specie, è stato posto in evidenza che l’articolo 2059 c.c. non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all’articolo 2043 c.c., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’articolo 2043 c.c. e cioè la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso. L’unica differenza tra il danno non patrimoniale e quello patrimoniale consiste nel fatto che quest’ultimo è risarcibile in tutti i casi in cui ricorrano gli elementi di un fatto illecito, mentre il primo lo è nei soli casi previsti dalla legge. Tra questi, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c., rientra quello in cui il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona. La lesione deve essere grave e deve essere provata. In virtù di tale configurazione del danno non patrimoniale, sussiste la necessità – anche in caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili – che la lesione sia grave e che il danno non sia futile. Con la conseguenza che, anche in presenza della lesione di diritti inviolabili, non è ipotizzabile il risarcimento del danno non patrimoniale in mancanza della sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso, il quale deve essere allegato e provato. Al riguardo va peraltro precisato che, per i pregiudizi non patrimoniali attinenti a un bene immateriale, la prova presuntiva è destinata ad assumere particolare rilievo e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, a condizione che il danneggiato alleghi tutti gli elementi idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto. Nessun risarcimento in via equitativa senza la prova del danno. Sotto altro profilo, il ricorrente censura la decisione per aver escluso la liquidazione equitativa del danno, potendosi invece ad essa pervenire sulla base di presunzioni, essendo notorio che determinati fatti provocano nei confronti della parte danneggiata una alterazione della sua quotidianità. Ebbene, nel respingere anche tale motivo di censura, gli Ermellini sostengono che la Corte territoriale ha correttamente escluso di poter procedere ad una liquidazione equitativa del danno in mancanza della prova dei danni patiti. All’uopo rileva il consolidato principio secondo il quale la liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria e non sostitutiva dell’onere di allegazione e prova della parte. Pertanto, la facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno esige, innanzitutto, l’accertata esistenza di un danno risarcibile, cui si aggiunge la verifica che l’impossibilità o l’estrema difficoltà d’una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi, e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l’entità del danno.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 novembre 2015 – 13 gennaio 2016, numero 349 Presidente Ambrosio – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. D.V.V. , brigadiere dei Carabinieri, convenne in giudizio S.D. e M.P. - rispettivamente conducente e capo pattuglia della Polizia Stradale - chiedendo il risarcimento del danno per errata identificazione/scambio di persona. Espose che gli era stato notificato un verbale di contestazione per violazione del codice della strada e di essere stato denunciato alla Procura della Repubblica per illecito penale sulla base di un errore nella sua identificazione. In particolare, che i convenuti con comportamento colpevole avevano erroneamente attribuito la sua identità alla persona alla guida di una autovettura, fermata per violazione delle norme del codice della strada, relazionando al proprio ufficio, dal quale avevano poi preso avvio i relativi procedimenti che gli avevano arrecato danno. Il giudice di primo grado accolse la domanda e condannò i convenuti al pagamento di Euro 10.000,00. La Corte di appello di Catania, accogliendo parzialmente l'appello degli originari convenuti, ritenne sussistente la loro responsabilità ma rigettò la domanda nei loro confronti per mancanza di prova del danno lamentato Sentenza 26 giugno 2012 . 2.Avverso la suddetta sentenza, D.V.V. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Si difende con controricorso S.D. , che propone ricorso incidentale condizionato volto ad escludere la propria responsabilità. M.P. , ritualmente intimato, non svolge difese. Motivi della decisione 1. La Corte di merito ha ritenuto non provato il lamentato danno alla reputazione. In particolare, diversamente dal giudice di primo grado, ha escluso che dalla denuncia di reato alla Procura della Repubblica potesse essere derivata la mancata partecipazione dell'attore ad una missione in . Sulla base delle cadenze temporali degli avvenimenti lo scambio di persona del omissis , la ricomprensione dell'attore tra i militari in missione in data omissis , l'esclusione in data omissis con revoca da parte dell'Amministrazione senza ulteriore specificazione ha escluso che la revoca della partecipazione del D. alla missione potesse essere univocamente riconducibile alla denuncia penale. Infatti, ha messo in rilievo il giudice, la denuncia avrebbe dovuto incidere già nella fase di ammissione, intervenuta dopo ben otto mesi dalla vicenda. Poi, precisato che altri danni non erano stati addotti e lamentati dall'attore e che in mancanza di danni non poteva procedersi alla liquidazione equitativa, ha rigettato la domanda. 2. Con il primo motivo si deduce contraddittorietà ed incongruenza della motivazione in riferimento agli articolo 2 Cost., 2043 e 2050 c.c. Il ricorrente ravvisa la contraddittorietà nell'aver la Corte territoriale riconosciuto che non vi sarebbe stata erronea identificazione se gli agenti avessero agito con diligenza e nell'aver nel contempo negato qualunque conseguenza a tale comportamento colpevole, con conseguente contraddittorietà di ragioni adottate, tale da non consentire l'individuazione della ratio decidendi . Si lamenta il mancato riconoscimento del risarcimento, nonostante la lesione di diritti inviolabili, tutelati dall'articolo 2 Cost., quale il diritto al nome tutelato contro chi identifichi la persona con un nome diverso dal suo, o faccia un indebito uso del nome altrui il diritto all'immagine e all'identità personale, leso mediante l'attribuzione di azioni non compiute. Diritti, dei quali l'articolo 2043 c.c., secondo la prospettazione del ricorrente, assicurerebbe tutela risarcitoria non patrimoniale con la semplice dimostrazione della violazione del diritto leso. 2.1. Il motivo, per alcuni profili inammissibile, è nel suo nucleo centrale infondato. 2.1.1. È inammissibile nella misura in cui, a fronte della decisione impugnata che assume essere stato chiesto il risarcimento per danni alla reputazione, invoca la lesione del diritto al nome, all'immagine, all'identità personale, senza dimostrare - anche mediante idoneo riferimento agli atti processuali del giudizio di merito, ai sensi dell'articolo 366, numero 6 c.p.c. - di aver svolto con tale ampiezza la domanda di danni dinanzi al giudice del merito. Conseguente è l'impossibilità per la Corte di legittimità di verificare la censura svolta e, quindi, il carattere di novità della prospettazione per la prima volta in questa sede. Sotto altro profilo è inammissibile nella misura in cui prospetta come contraddittorietà di motivazione quello che è il risultato di un accertamento della mancanza della prova del danno subito, specificamente riferito dalla Corte territoriale alla mancata missione in , e alla assenza di allegazioni in ordine ad altri profili di danno. Né, d'altra parte, il ricorrente mette in discussione tale accertamento deducendo e dimostrando l'avvenuta allegazione davanti al giudice del merito di altri danni lamentati, ovvero censurando la ricostruzione temporale che la Corte di merito ha fatto rispetto alla missione in , quanto alla perduranza degli effetti dell'errore di identificazione. 2.1.2. Il motivo è infondato laddove appare presupporre la tesi secondo la quale l'articolo 2043 c.c. assicurerebbe la tutela risarcitoria non patrimoniale articolo 2059 c.c., implicitamente evocato , tutte le volte che sia stata dimostrata la violazione di un diritto inviolabile, nella specie costituito dal diritto alla reputazione, indipendentemente dalla sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso. La tesi è priva di fondamento. Nel pervenire ad un nuovo inquadramento del danno non patrimoniale, le Sezioni Unite con la decisione numero 26972 del 2008 hanno chiaramente posto in evidenza che l'articolo 2059 cod. civ. non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all'articolo 2043 c.c., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'articolo 2043 c.c. e cioè la condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi tutelati dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso. L'unica differenza tra il danno non patrimoniale e quello patrimoniale consistendo nel fatto che quest'ultimo è risarcibile in tutti i casi in cui ricorrano gli elementi di un fatto illecito, mentre il primo lo è nei soli casi previsti dalla legge. Tra i casi previsti dalla legge , secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 2059 cod. civ., rientra quello in cui il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. Con la differenza che la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, non individuati ex ante dalla legge, ma selezionati caso per caso dal giudice. Proprio dalla non esistenza di una autonoma fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale regolata dall'articolo 2059 c.c., distinta da quella prevista dall'articolo 2043 cod. civ., e dalla sola regolazione dei limiti e delle condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali ad opera dell'articolo 2059 cit., deriva la necessità - anche in caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria - che la lesione sia grave e che il danno non sia futile, come la giurisprudenza ha in più occasioni riaffermato da ultimo, Cass. numero 26367 del 2014 numero 8703 del 2009 . Con la conseguenza che, anche in presenza della lesione di diritti inviolabili, non è ipotizzabile il risarcimento del danno non patrimoniale in mancanza della sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso. Di più, la lesione deve avere le caratteristiche della gravità e della non futilità. E, naturalmente, il danno-conseguenza deve essere allegato e provato, con la precisazione che, per i pregiudizi non patrimoniali attinenti a un bene immateriale, la prova presuntiva è destinata ad assumere particolare rilievo e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, a condizione che il danneggiato alleghi tutti gli elementi idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto Sez. Unumero del 2008 cit. . 3. Con il secondo motivo si lamenta omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Si censura la decisione per aver escluso la liquidazione equitativa del danno, potendosi invece ad essa pervenire sulla base di presunzioni, stante l' id quod plerumque accidit , essendo notorio che determinati fatti provocano nei confronti della parte danneggiata una alterazione della sua quotidianità. 3.1. Anche questo motivo di censura è inammissibile e, comunque, infondato. 3.1.1. Ai fini della inammissibilità è sufficiente rilevare che viene dedotto un difetto motivazionale in riferimento all'articolo 360 numero 5 c.p.c., senza alcuna prospettazione di una quaestio facti , risultando piuttosto involto dalle censure l'articolo 1226 c.c 3.1.2. Sotto il profilo della violazione dell'articolo 1226 c.c., il motivo è infondato. La Corte territoriale ha correttamente escluso di poter procedere ad una liquidazione equitativa del danno in mancanza della prova dei danni patiti. È sufficiente richiamare il principio consolidato, secondo il quale, la liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria e non sostitutiva dell'onere di allegazione e prova della parte, con la conseguenza che la facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno esige, innanzitutto, l'accertata esistenza di un danno risarcibile, oltre che il giudice di merito abbia previamente accertato che l'impossibilità o l'estrema difficoltà d'una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi, e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l'entità del danno ex multiis, Cass. numero 25912 del 2013, numero 10850 del 2003 . 4. In conseguenza del rigetto del ricorso principale, resta assorbito il ricorso incidentale, espressamente condizionato, volto ad ottenere l'esclusione della condotta colpevole in capo al controricorrente. 5. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato. Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato. Le spese, liquidate secondo i parametri vigenti, seguono la soccombenza a favore del controricorrente. P.Q.M. La Corte di Cassazione decidendo i ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione in favore del controricorrente, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.