In tema di reato di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina, il concetto di rovina di edificio non comprende solo il crollo improvviso o lo sfascio dell'edificio o della costruzione nella loro totalità, ma anche il distacco di una parte non trascurabile di essi.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 43697, depositata il 29 ottobre 2015. La contravvenzione di omissione dei lavori Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'articolo 677, comma terzo, cod. penumero , occorre che il proprietario, o chi per lui obbligato alla conservazione del bene, non abbia provveduto ai lavori necessari e indispensabili per rimuovere il pericolo attuale e concreto per la pubblica incolumità - che sussiste anche in relazione all'occasionale passaggio di persone nel luogo in cui insiste l'edificio - a nulla rilevando né l'ignoranza dello stato di pericolo in cui quest'ultimo versa, né una preventiva diffida a provvedere da parte della pubblica autorità. Sul piano della prescrizione, la contravvenzione prevista dall'articolo 677 c.p. ha natura di reato permanente in quanto lo stato di consumazione perdura finché il pericolo per la pubblica incolumità non sia cessato. Ne consegue che, trattandosi di reato permanente a condotta omissiva, la permanenza viene a cessare solo nel momento in cui viene meno la situazione antigiuridica per fatto volontario dell'obbligato o per altra causa. Nello specifico, lo stato di consumazione perdura fino a che il pericolo per la incolumità pubblica non sia cessato per fatto volontario dell'obbligato o per altra causa, oppure con la pronuncia della sentenza di primo grado, quando la condotta antigiuridica si protragga nel corso del procedimento penale, come nelle situazioni in cui il capo di imputazione abbia fatto riferimento solo alla data dell'accertamento del reato. Secondo la giurisprudenza di legittimità, rientra nella nozione di pericolo di rovina anche una situazione che riguardi una parte dell'edificio, lesionata in modo da minacciare la caduta di materiale sulla pubblica via e da rappresentare un concreto pericolo per le persone. ed i reati di pericolo. Con la decisione in esame, la Suprema Corte ribadisce il carattere di reato di pericolo della contravvenzione prevista dall’articolo 677 c.p Come è noto, si suole distinguere fra reati di pericolo astratto o concreto. Nei primi, il giudice è tenuto soltanto a verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta tali fattispecie sono modellate dal legislatore sulla base di indagini scientifiche e statistiche anche solo probabilistiche , regole d’esperienza, possibilità non remota del verificarsi di un pericolo. E’ stata rilevata una contraddizione fra il carattere presuntivo del pericolo e il potere - dovere del giudice di verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta. Pertanto, in relazione a tali reati, sarebbe opportuno configurare – de iure condendo – non l’obbligo, per il Pubblico Ministero, di provare il pericolo, bensì il diritto dell’imputato di dimostrare l’assenza del pericolo attraverso una prova liberatoria. Vi è perciò il rischio che il giudice punisca condotte prive, in concreto, della pericolosità configurata in astratto dal legislatore, con potenziale contrasto con gli articolo 24, 27, comma 1 e 2, 111 della Costituzione. I reati di pericolo concreto sono compatibili con il principio di offensività, in quanto, in essi, il giudice è tenuto a valutare, in concreto, se il pericolo si è verificato. Ciò avviene, ad esempio, nel delitto di pornografia minorile ed in quello di realizzazione o produzione di materiale pedopornografico articolo 600 ter, comma 1, c.p. in tal caso, il pericolo concreto consiste nella possibile diffusione del materiale. Ai fini dell’offensività in concreto del reato de quo , occorrono però i seguenti requisiti organizzazione rivolta al mercato dei pedofili collegamento dell’agente con pedofili potenziali destinatari del materiale uso di strumenti tecnici di riproduzione utilizzo di più minori. Occorre inoltre sempre considerare i precedenti penali e le qualità soggettive del reo articolo 133, comma 2, c.p. . La disciplina dell’oblazione. La sentenza in commento si sofferma anche sulle regole in tema di oblazione. In particolare, i termini per la proposizione della domanda di oblazione, previsti dagli articolo 162 e 162 bis c.p., sono da considerare perentori, pur in presenza della innovativa disposizione rispetto al codice di rito previgente , contenuta nell'articolo 173, comma 1, c.p.p., secondo cui «i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi stabiliti dalla legge», giacché tale disposizione non impedisce di far derivare la perentorietà dalla natura stessa dei termini quando, come nella specie, essi pur avendo natura processuale, siano stabiliti non dal codice di procedura penale nella cui stesura il legislatore delegato ha avuto cura di indicare espressamente i casi in cui la loro inosservanza dava luogo a decadenza , ma da disposizioni contenute in altre leggi, sulle quali il medesimo legislatore delegato non aveva poteri d'intervento.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 18 settembre – 29 ottobre 2015, numero 43697 Presidente Chieffi – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto dichiarava P.G. colpevole della contravvenzione di cui all'articolo 677 cod. penumero e lo condannava alla pena di Euro 309 di ammenda, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Pu.Gi. e Pu.Anumero . Secondo l'imputazione, P. avrebbe omesso di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo derivante dall'immobile di cui era proprietario in effetti, le notevoli infiltrazioni di acqua provenienti dall'appartamento avevano provocato il distacco di materiale dal solaio del sottostante appartamento e danneggiato l'impianto elettrico, con pericolo per le persone. La prova della responsabilità dell'imputato veniva tratta dalla testimonianza delle persone offese, dalla relazione del consulente tecnico del P.M. e da quanto accertato dai Carabinieri, dalla Polizia Municipale e dal Servizio di Igiene pubblica di Barcellona Pozzo di Gotto, nonché dai Vigili del Fuoco. Si trattava di infiltrazioni che erano proseguite per un lungo periodo, nonostante le richieste di intervento rivolte all'imputato. Secondo il Giudice, l'imputato non poteva essere ammesso all'oblazione, non avendo l'imputato provveduto all'integrale rimozione delle conseguenze dannose del reato non vi era spazio nemmeno per le attenuanti generiche e per il beneficio della sospensione condizionale della pena. 2. Ricorre per cassazione il difensore di P.G., deducendo violazione della legge penale e vizio di motivazione. L'imputato avrebbe dovuto essere ammesso all'oblazione, avendo dimostrato di avere eliminato ogni infiltrazione di acqua nell'appartamento sottostante e avendo altresì offerto alle parti civili la disponibilità al risarcimento dei danni prodotti dall'infiltrazione nonché al rimborso delle spese sostenute nel giudizio. Erano state le parti civili ad impedire l'accesso all'immobile per quantificare il danno e a strumentalizzare la questione per pretendere la transazione di altra controversia. Di conseguenza era errata l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui l'imputato non aveva provveduto alla rimozione delle conseguenze dannose del reato. In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 677 cod. penumero e vizio di motivazione. Come rilevato dal consulente tecnico del P.M., le infiltrazioni non avevano determinato alcun danno alle strutture portanti dell'immobile, ma solo il distacco dell'intonaco. Si trattava di danni che non consentivano di ritenere integrata la minaccia di rovina di cui all'articolo 677 cod. penumero né sussisteva il pericolo per le persone che permettesse di ritenere integrata l'ipotesi di cui all'articolo 677 comma 3 cod. penumero . In un terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione della sussistenza di colpa da parte dell'imputato, che si era attivato il Giudice avrebbe dovuto tenere presente che, inizialmente, l'origine delle infiltrazioni era occulta e che, una volta accertata, era seguito l'incarico ad un tecnico per la loro eliminazione. Non vi era stata affatto una prolungata inattività dal 2007 al 2010 del resto la stessa persona offesa, in dibattimento, aveva riferito che il fenomeno era insorto solo pochi mesi prima della presentazione della denuncia 2010 . Il ricorrente conclude per l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 1. Esattamente il Giudice non ha ammesso l'imputato all'oblazione, ritenendo non eliminate le conseguenze dannose o pericolose del reato. Tra tali conseguenze devono essere compresi anche i danni subiti dalle parti civili a seguito delle infiltrazioni proseguite per un lungo periodo, consistenti nel grave danneggiamento dell'appartamento sottostante che - come è pacifico - non sono stati risarciti, né eliminati fisicamente mediante gli opportuni lavori di ripristino. In effetti, poiché l'articolo 677 cod. penumero è reato di pericolo, il danno - materiale e/o morale - a specifiche persone non fa parte dell'essenza della contravvenzione, che può ritenersi integrata anche se nessun soggetto lo abbia subito si tratta, piuttosto, di conseguenze del reato eliminabili dal contravventore. Il ricorrente ricorda di avere eliminato la causa delle infiltrazioni provenienti dal proprio appartamento fin dalla fine del 2010 e sostiene di essere stato impedito a procedere all'eliminazione delle conseguenze del reato proprio dalle parti civili, che volevano approfittare della situazione per ottenere una transazione nella complessiva controversia che le contrappone all'imputato. Si tratta di deduzione insufficiente per ritenere errato il provvedimento del Giudice. In effetti, ai sensi dell'articolo 162 bis cod. penumero , la domanda dell'imputato di essere ammesso all'oblazione deve essere presentata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Si tratta di termine perentorio Sez. 1, numero 8852 del 12/05/1999 - dep. 13/07/1999, Nolano V. ed altri, Rv. 214067 , tanto da richiedere apposita disciplina derogatoria per il caso di diversa qualificazione giuridica del fatto contestato ipotesi che non interessa in questa sede . La perentorietà del termine impone di interpretare il disposto dell'articolo 162 bis comma 5 cod. penumero - in base al quale la domanda può essere riproposta sino all'inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado - nel senso che, trattandosi della medesima domanda, le condizioni per essere ammesso all'oblazione devono sussistere prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e non possono essere acquisite successivamente. In effetti, la natura perentoria dei termini per l'ammissione all'oblazione si desume dalla natura stessa dell'istituto e dalla funzione che essi svolgono. L'istituto risponde, infatti, ad un chiaro scopo di deflazione della repressione penale, finalità che sarebbe frustrata se il contravventore conservasse questa possibilità processuale anche dopo l'inizio dell'attività processuale di raccolta delle prove di qui la necessità di fissare un termine processuale, al di là del quale detta possibilità decade Sez. 3, numero 4851 del 26/02/1998 - dep. 24/04/1998, Palazzolo G., Rv. 210741 . La domanda riproposta nel corso o al termine del dibattimento, quindi, non diviene ammissibile in ragione dell'eliminazione delle conseguenze del reato operata nel periodo del suo svolgimento la facoltà di riproporre la domanda di oblazione, piuttosto, trova la sua motivazione nella possibilità di provare nel dibattimento che le condizioni richieste dalla legge preesistevano al suo inizio. Non si tratta di ipotesi teorica non a caso, nel presente processo, l'imputato ha dimostrato di avere eliminato alla fine del 2010 la causa delle infiltrazioni provenienti dal suo appartamento mediante l'escussione di due testimoni indotti dalla difesa quindi ha fornito una prova parziale che mancava al momento della prima domanda. Ciò che, invece, l'imputato non ha saputo provare è di avere eliminato le conseguenze dannose prima dell'apertura del dibattimento in effetti - come dimostrano i documenti depositati dalla difesa - la prima iniziativa di risarcimento del danno risale all'agosto 2014, mentre il dibattimento era iniziato nel mese di febbraio 2013. Di conseguenza, sono irrilevanti le argomentazioni svolte in ricorso sul comportamento ostruzionistico che la parte civile avrebbe tenuto di fronte ai tentativi dell'imputato di trovare un accordo sulla somma da versare in effetti, se la difesa avesse provato di avere effettuato tali tentativi in maniera efficace e concreta ad esempio mediante offerta reale di somma congrua prima dell'apertura del dibattimento, la condotta della parte civile diretta ad impedire ogni accordo sarebbe stata valutabile dal Giudice, che avrebbe potuto ammettere l'imputato all'oblazione in presenza di tutte le condizioni, ritenendo l'eliminazione delle conseguenze impossibile senza che ciò fosse addebitabile all'imputato ma ciò non è avvenuto, essendosi l'imputato attivato solo in vista della decisione del Giudice. 2. Il secondo motivo di ricorso è infondato. Si deve ricordare che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 677 cod. penumero , il concetto di rovina di edificio non comprende solo il crollo improvviso o lo sfascio dell'edificio o della costruzione nella loro totalità, ma anche il distacco di una parte non trascurabile di essi Sez. 1, numero 6596 del 17/01/2008 - dep. 12/02/2008, Corona e altri, Rv. 239128 quindi integra la nozione di pericolo di rovina anche una situazione che riguardi una parte dell'edificio, lesionata in modo da minacciare la caduta di materiale, con pericolo per le persone Sez. 1, numero 12721 del 07/03/2007 - dep. 27/03/2007, Orza, Rv. 236381 Sez. 1, numero 4779 del 11/02/1985 - dep. 16/05/1985, Fioriti, Rv. 169218 . Nel caso in esame, il Giudice ha dato atto del contenuto della relazione del consulente del P.M., che paventava il rischio di deformazioni alle strutture che avrebbero potuto compromettere l'interazione con le pignatte di alleggerimento, con il conseguente distacco di esse - con pericoli evidenti per di più, l'infiltrazione rendeva pericoloso l'impianto elettrico, tanto che i Vigili del Fuoco, avendo verificato che si era verificato un corto circuito, avevano raccomandato al proprietario di non alimentare la tensione della corrente fino al momento della cessazione delle infiltrazioni per ragioni di sicurezza. 3. Il terzo motivo, infine, appare inammissibile, atteso che il ricorrente ripropone considerazioni in fatto dirette a provare la propria mancanza di colpa nelle infiltrazioni, al fine di contrastare la valutazione del Giudice che, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e delle consulenze, aveva ritenuto il fenomeno proseguito per lungo tempo a causa dell'inerzia del proprietario. Nessuna delle considerazioni svolte dimostra la manifesta illogicità della motivazione o la sua contraddittorietà con atti del processo specificamente indicati dal ricorrente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.