È legittimo il licenziamento di chi copra i furti del collega

L’articolo 45, r.d. numero 148/31, ai sensi del quale il lavoratore può essere destituito se consapevolmente si appropri o contribuisca che altri si approprino di beni dell’azienda, è applicabile anche in caso di omessa vigilanza e denuncia da parte del responsabile circa gli ammanchi, dovuti alla condotta fraudolenta di altri lavoratori, non richiedendo un concorso doloso nella commissione del fatto.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 2552/15 depositata il 10 febbraio. Il caso. La Corte d’appello di Firenze ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato dalla società datrice di lavoro nei confronti del responsabile dell’ufficio commerciale, ritenuto responsabile di gravissime omissioni negli oneri di vigilanza e denuncia, a lui incombenti, in relazione a diversi episodi in cui si erano registrati ammanchi negli incassi dei parcometri gestiti dalla società, nonché ad uno specifico episodio in cui egli aveva assistito ad un vero e proprio furto delle somme incassate da parte di un collega. L’intenzione di coprire tali ammanchi è stata ricondotta dal datore di lavoro alla previsione di cui all’articolo 45, r.d. numero 148/31, il quale dispone la destituzione nei confronti di chi consapevolmente si appropri o contribuisca che altri si appropri di beni aziendali oppure che defraudi o contribuisca a defraudare l’azienda dei suoi beni. Il lavoratore impugna la sentenza in Cassazione lamentandosi del fatto che la condotta contestatagli non possa rientrare nella previsione della norma citata, la quale richiederebbe un concorso doloso nella commissione del fatto. L’ambito di applicazione dell’articolo 45, r.d. numero 148/31. La Corte di Cassazione ritiene che la motivazione redatta dai giudici di merito, in relazione alla configurabilità della fattispecie disciplinata dall’articolo 45 cit., sia esente da vizi. In particolare, le risultanze probatorie relative ai comportamenti del lavoratore consentono di attrarre la condotta alla consapevole complicità di fatto nei confronti del comportamento illecito del collega, caratterizzata da una gravità tale da non potersi sottrarre al provvedimento disciplinare del licenziamento. La norma applicata non richiede difatti l’accertamento di un autentico concorso doloso nella commissione del fatto, potendo trovare applicazione anche in caso di comportamenti omissivi, come accaduto nel caso concreto. La rilevanza della condotta anche come giusta causa di licenziamento. Il ricorrente lamenta inoltre la violazione dell’articolo 2119 c.c., norma che peraltro non era oggetto di contestazione, negando in tal modo la configurabilità di una giusta causa di licenziamento. Il motivo è infondato. I giudici di legittimità osservano che la lettera di licenziamento contestava al lavoratore una condotta definita come gravemente lesiva del rapporto fiduciario intercorrente tra il datore di lavoro ed il funzionario, tale da non consentire la prosecuzione del rapporto, individuando in tal modo una giusta causa di recesso ai sensi dell’articolo 2119 c.c Si aggiunga che in tema di verifica giudiziale della correttezza del provvedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra quest’ultimo e la violazione contestata si concretizza nella valutazione della gravità della condotta del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione, con un apprezzamento delle risultanze probatorie di esclusiva competenza dei giudici di merito, non censurabile di conseguenza in sede di legittimità. Nel caso di specie, i giudici di seconde cure hanno dato adeguata argomentazione in ordine al riscontro degli elementi fattuali di tale gravità, oggettiva e soggettiva, da integrare la giusta causa di licenziamento. Per questi motivi la Suprema Corte rigetta il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 novembre 2014 – 10 febbraio 2015, numero 2552 Presidente Macioce – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo Con sentenza del 2/12/2010 la Corte d'appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale di Livorno, ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato dalla società Azienda Trasporti Livornese al dipendente V.P. in data 14/3/2006. La Corte ha esposto che il licenziamento era stato adottato in quanto l'Azienda imputava al V. di essersi reso autore di gravissime violazioni degli obblighi di vigilanza ed immediata denuncia su di lui incombenti,quale responsabile dell'ufficio commerciale, sia in relazione agli ammanchi da tempo manifestatisi nella raccolta del denaro proveniente dai parcometri gestiti dall'azienda, sia in relazione all'episodio del 15/11/2005 in cui il V. aveva personalmente assistito ad un furto di denaro perpetrato dal dipendente C. incaricato della manutenzione e del prelievo del denaro dai parcometri. La Corte territoriale ha rilevato che all'epoca dei fatti la raccolta del denaro dai parcometri era sotto la responsabilità dell'ufficio commerciale cui era preposto il V. e che, pertanto, anche l'episodio del 15/11/2005 rientrava tra le responsabilità del ricorrente. La Corte ha esposto, inoltre, che il ricorrente soltanto con la relazione del 23/12/2005, non di sua iniziativa ma su richiesta della direzione - che aveva avuto notizia di voci di ammanchi-, iniziò a parlare di ammanchi pur riferendo che già dalla fine dell'estate 2005 si era fatto la convinzione che detti ammanchi non fossero dovuti a guasti tecnici. La Corte ha rilevato, altresì, che nel colloquio con l'amministratore delegato il V. non aveva riferito l'episodio del 15/11 a cui aveva assistito - in cui l'incasso del parcometro era stato fatto confluire in un sacchetto di plastica ivi collocato - così pure nella relazione del mese di dicembre e nella lettera aggiuntiva inviata all'amministratore delegato. La Corte ha rilevato che l'aver omesso la denuncia del C. una volta colto sul fatto sostituendosi alla direzione nel decidere sul da farsi, l'avere adottato misure non concordate quanto inefficaci al fine di evitare il ripetersi delle sottrazioni l'aver taciuto nel colloquio con l'amministratore delegato e nella relazione di aver visto il C. armeggiare con il parcometro nonostante i sospetti e l'ingente ammontare degli ammanchi l'intenzione di coprire l'episodio attribuendo gli ammanchi ai guasti, peraltro da tempo risolti, così impedendo all'azienda di recuperare il maltolto giustificavano il licenziamento configurando l'ipotesi sanzionata con la destituzione dall'articolo 45, punto 4 RD n 148/1931 costituendo un comportamento che contribuiva a che altri si appropriassero di somme dell'azienda o scientemente contribuiva a che altri defraudassero l'azienda dei suoi averi, diritti o interessi, sanzionato con la destituzione dall'articolo 45, punto 4 RD citato, e comunque una giusta causa di licenziamento ex articolo 2119 cc. La Corte ha sottolineato che il V. aveva dato prova di estrema leggerezza nel valutare la portata delle proprie responsabilità anche nel coprire per molto tempo il principale indiziato sostituendo le proprie personali valutazioni a quelle della direzione aggravato dal lungo silenzio serbato sull'episodio cui aveva assistito e chiedendo anche il silenzio di altro dipendente impedendo all'azienda di conseguire una completa cognizione dei fatti fino al gennaio 2006. Avverso la sentenza ricorre il V. formulando 4 motivi. Resiste l'Azienda con controricorso e poi memoria ex articolo 378 cpc. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 45, punto quattro, del regio decreto numero 148 del 1931. Censura la sentenza impugnata che ha ritenuto nei fatti contestati al lavoratore integrarsi gli estremi dell'articolo 45 citato. Secondo il ricorrente la norma citata ricollega la destituzione ad un comportamento che sia tale da scientemente cioè dolosamente contribuire a determinare un'appropriazione di somme dell'azienda perché solo tale concorso consente l'applicazione della norma. Osserva che invece la Corte d'appello aveva imputato al lavoratore l'omessa immediata denuncia del C. una volta colto sul fatto, l'essersi sostituito alla direzione nel decidere sul da farsi ed avere assunto iniziative non concordate ed inefficaci, l'aver taciuto di aver visto il C. armeggiare al parcometro in generale lo si accusa di non aver tempestivamente riferito le illecite attività del C. , ma l'omessa denuncia non integra l’ipotesi prevista dall'articolo 45 citato la quale richiede che la condotta del dipendente sia tale da contribuire, e di farlo scientemente, a che qualcun altro si appropri di somme appartenenti all'azienda. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione. Osserva che i presupposti di fatto che la Corte d'appello riconosce ed imputa al ricorrente cioè sostanzialmente l'omessa denuncia del C. nonché il presunto tentativo di coprirlo,, non determinavano l'applicazione dell'articolo 45. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati. Deve rilevarsi, preliminarmente, che il ricorrente con il primo motivo, pur attraverso la formale denuncia della violazione di una norma, sollecita, in primo luogo, una rivisitazione del quadro probatorio, inibita a questa Corte in presenza di una congrua e non illogica valutazione dello stesso da parte del giudice di merito. Il ricorrente, infatti, richiama alcune circostanze di fatto che ritiene pacifiche e non contestate al fine di pervenire all'affermazione che il V. , non solo non avesse contribuito né agevolato il C. nella sua attività fraudolenta né prima né dopo l'episodio del 15 novembre, ma al contrario avesse messo fine ai furti ed agli ammanchi. Nella sentenza impugnata la Corte territoriale evidenzia, invece, diverse circostanze di fatto che, secondo la Corte con una valutazione di merito ampiamente motivata, hanno indotto legittimamente l'azienda al licenziamento. La sentenza impugnata non è, comunque, censurabile per avere ritenuto integrata l'ipotesi dell'articolo 45 citato e dell'articolo 2119 cc. L'articolo 45 citato prevede la destituzione nei confronti di chi consapevolmente si appropri o contribuisca che altri si appropri di beni dell'azienda o defraudi o contribuisca a defraudare l'azienda dei suoi beni. Il ricorrente lamenta che con i fatti contestati, in sostanza, si era imputato al lavoratore solo l'omessa denuncia mentre la norma richiede il concorso doloso nella commissione del fatto. La Corte correttamente ha evidenziato che il ricorrente si era reso, di fatto complice del C. , omettendo di denunciarlo allo scopo di ricondurre gli ammanchi ad una pura e semplice questione di guasti meccanici ai parcometri e di evitare i rilievi nei confronti di sé medesimo quale responsabile dell'ufficio commerciale cui faceva capo la raccolta del denaro dai parcometri. La Corte territoriale ha elencato i comportamenti del V. ritenuti rilevanti ai fini della valutazione della sussistenza delle ipotesi dell'articolo 45 citato o della giusta causa ai sensi dell'articolo 2119 cc richiamata nella lettere di licenziamento e da questi si evidenzia che non si risolvono nella sola omessa denuncia del C. con riferimento all'episodio del 15/11. La Corte territoriale ha esposto che il V. aveva taciuto sia nella relazione del 23/12/2005 sia nei colloqui con l'amministratore del mese di dicembre dell'episodio del 15/11 nonostante i sospetti già da tempo maturati nei confronti dello stesso che anzi il V. aveva taciuto degli stessi ammanchi verificatisi già dalla fine dell'estate e di averne riferito all'azienda solo su richiesta della direzione alla quale erano pervenute voci di ammanchi che il V. aveva manifestato nel corso del colloquio con la commissione di inchiesta l'intenzione di coprire l'episodio del 15/11 attribuendo gli ammanchi ai guasti, peraltro da tempo risolti, imponendo, tra l'altro, al dipendente F. di serbare il silenzio sull'episodio cui aveva assistito che aveva assunto iniziative non concordate quanto inefficaci per ovviare agli ammanchi e che tali iniziative erano state assunte a distanza di tempo essendosi già manifestati dalla Fine dell'estate 2005 cospicui ammanchi. I suddetti comportamenti omissivi del V. , cui faceva capo il controllo sull'attività di riscossione del denaro dai parcometri, hanno consentito il prodursi degli ammanchi ed una rilevantissima perdita per l'azienda anche in relazione allo stesso episodio del 15/11, determinante la perdita del denaro di cui si era appropriato il C. in quell'occasione. La Corte, pertanto, ha ampiamente indicato le ragioni che consentono di affermare la gravità del comportamento del ricorrente tale da indurre la Corte territoriale ad affermare la complicità di fatto del V. nei gravi comportamenti posti in essere dal C. . Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 112 c.p.c., dell'articolo 2119 CC nonché vizio di motivazione. Rileva che la Corte aveva affermato che in ogni caso a prescindere dalla sussistenza delle ipotesi di cui all'articolo 45 citato, vi erano fondate ragioni di ritenere legittimo il licenziamento ai sensi dell'articolo 2119 cc. Osserva che la giusta causa ai sensi dell'articolo 2119 cc non era stata oggetto di contestazione e che nella specie doveva trovare applicazione soltanto l'articolo 45 citato. Con il quarto motivo denuncia violazione dell'articolo 7 della legge numero 300 del 1970, dell'articolo 2119 CC nonché vizio di motivazione. Contesta che il fatto addebitato potesse costituire giusta causa. I due motivi, congiuntamente esaminati stante la stretta connessione, sono infondati. Nella lettera di licenziamento la società ha contestato al ricorrente che la fattispecie integra una condotta gravemente lesiva della fiducia che il datore di lavoro può riporre in un funzionario della sua qualificazione che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro ed è giusta causa di recesso ai sensi dell'articolo 2119 cc . Risulta, pertanto, palesemente infondato il terzo motivo. Quanto alla sussistenza della giusta causa deve rilevarsi che In tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento del lavoratore e dell'adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità cfr. Cass. n 7948/2011 . Nella specie la Corte territoriale ha valutato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra i fatti e la sanzione inflitta considerato tra l'altro la qualifica posseduta dal lavoratore di responsabile dell'ufficio commerciale e preposto come tale alla raccolta del denaro dai parcometri. Le censure del ricorrente non sono idonee, pertanto, ad invalidare la decisione impugnata con conseguente rigetto del ricorso. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4000.00 per compensi professionali, oltre IVA, CP e 15% per spese generali.