L'albergo diventa antieconomico: possibile la modifica della destinazione d'uso

di Marilisa Bombi

di Marilisa BombiSe un fabbricato, prima di essere trasformato in albergo, era adibito a civile abitazione e si colloca in una zona totalmente residenziale non può essere imposto, ad ogni costo, il vincolo alberghiero. In pratica, deve essere assentita la modifica della destinazione d'uso, con il ripristino della destinazione originaria, quando l'utilizzo effettivo dell'immobile è diventato antieconomico. E ciò anche se la legge regionale non lo prevede espressamente.La Corte Costituzionale è per un vincolo temporalmente limitato. Del resto, rileva la Sezione - con la sentenza 5487/2011 depositata il 6 ottobre - occorre notare come la questione della durata dei vincoli di destinazione alberghiera sia stata esaminata dalla Corte Costituzionale, con la sentenza numero 4/1981 dove, dichiarando la illegittimità costituzionale dell'articolo 5 del d.l. numero 460/1967, convertito nella legge numero 628/1967, il giudice delle leggi si è espresso per la intrinseca natura temporalmente limitata dei vincoli per l'uso alberghiero di un immobile. Tali vincoli, in via di principio legittimi, in quanto espressione di un diverso approccio del legislatore al modo di vincolare l'uso dell'immobile, e di instaurare quel controllo sulla proprietà e l'iniziativa privata, che costituisce il riflesso dell'interesse, e qui dello stesso aiuto pubblico, all'espansione e al miglioramento dei servizi turistici , hanno ragione di esistere in ragione di esigenze concrete e sono destinati naturalmente ad affievolirsi. Pertanto, le discriminazioni introdotte con un regime vincolistico troppo lungo sconfinano oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa , venendo così a violare il principio costituzionale di eguaglianza.La posizione della Corte costituzionale è diventata quindi canone di azione del legislatore e con la legge numero 217/1983 Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica , pur prevedendo all'articolo 8 Vincolo di destinazione , la possibilità di istituire un vincolo di destinazione per le strutture ricettive, veniva espressamente disposto, al comma 5, la possibilità di rimozione del detto vincolo, dando carico alle Regioni, al successivo comma 6, di procedere all'individuazione delle relative modalità. Fermo rimanendo che la detta limitazione dovesse in ogni caso venir meno su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato .Il vincolo è removibile Gli interventi normativi a livello nazionale successivi, ossia la legge numero 135/2011 ed ora il d.lgs. numero 79/2011, hanno spostato a livello di legislazione regionale il piano delle attribuzioni, senza però ovviamente poter intaccare i principi di rango costituzionale che permeano la materia. Da tale ricostruzione, emerge che il rispetto del canone di temporaneità e di modificabilità del vincolo di destinazione d'uso alberghiero, lungi dall'essere una possibilità liberamente valutabile dal legislatore regionale, appartiene alla stessa ragion d'essere della sua istituzione e deve ritenersi a questo intrinseco. Nello specifico, il legislatore regionale abruzzese, con la legge regionale 28 aprile 1995, numero 75 Disciplina delle strutture turistiche extralberghiere , si è quindi fatto carico della questione, prevedendo all'articolo 41 la possibilità di rimozione di tale vincolo. Tale norma, espressamente evocata dal ricorrente come fondamento giuridico per la sua istanza, non è stata però ritenuta applicabile dal TAR in quanto ritenuta inserita nel titolo riguardante le residenze di campagna e mirata alla sola rimozione del vincolo e non al mutamento d'uso, come richiesto dal ricorrente .vista la non convenienza economico-produttiva della destinazione. La lettura del TAR ,però, appare in contrasto con l'interpretazione costituzionale sopra evidenziata, che vede la rimovibilità delle limitazioni come un canone di compatibilità della norma stessa con le previsioni della Carta fondamentale. In questo senso, evocata l'applicazione dell'articolo 41 citato, la strada operativa rimessa al giudice non può essere quella dal mero rispetto del dato normativo, seppur in questo caso non del tutto inequivoco, ma la valutazione della sua interpretabilità in senso costituzionalmente adeguato o, al limite, nella remissione alla stessa Corte Costituzionale per la valutazione della sua correttezza, in quanto una apposizione sine die del vincolo urta con il principio della sua temporaneità sopra ricordato.Per tali ragioni, ritiene la Sezione che il citato articolo 41, che al comma 6 prevede L'Amministrazione comunale può autorizzare la cancellazione del vincolo di cui ai commi precedenti, su specifica istanza del titolare, quando sia stata accertata la sopravvenuta impossibilità o non convenienza economico-produttiva della destinazione, subordinando la cancellazione alla revoca della concessa autorizzazione di variazione della destinazione d'uso, con conseguente ripristino della destinazione d'uso originaria , rappresenti un principio di diritto valevole in tutte la fattispecie, ed in specie in quella in discussione, autorizzando l'ente pubblico a provvedere non unicamente in relazione alla residenze agricole, ma per tutte le situazioni inquadrabili nell'area concettuale in esame e consentendo ogni tipologia di provvedimento, anche implicito come il mutamento di destinazione d'uso, che permetta di giungere al risultato concreto auspicato dal privato e imposto dall'interpretazione costituzionale della norma. In questa ottica, il rifiuto dell'amministrazione comunale di prendere posizione sull'effettiva sopravvenienza di situazioni di non economicità della gestione e quindi sull'attuale esistenza delle ragioni giustificative del vincolo, viene a violare il disposto normativo della legge regionale Abruzzo numero 75 del 28 aprile 1995, nella sua interpretazione più accorta e adeguata ai canoni indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza numero 4 del 28 gennaio 1981.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 5 luglio - 6 ottobre 2011, numero 5487Presidente Giaccardi - Relatore SabatinoFattoCon ricorso numero 3935 del 2009, Barile s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione prima, numero 901 del 17 novembre 2008 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Francavilla al mare per l'annullamento della comunicazione datata 23 gennaio 2008 numero 2430 del Comune di Francavilla al mare recante il rigetto della richiesta di autorizzazione alla trasformazione da uso case e appartamenti vacanze ad uso civile abitazione e ogni atto connesso, ivi compreso il Piano regolatore generale e le relative NTA e il Piano particolareggiato in variante al PRG adottato con la delibera CC numero 28 del 23 marzo 2005 relativamente alla zona 15 comparto 15/F sub comparto A2.Dinanzi al giudice di prime cure, l'impresa ricorrente rappresentava di avere a suo tempo ottenuto l'autorizzazione a trasformare un albergo in casa vacanze chiedeva poi di poter trasformare l'edificio in uso abitazione senza modifiche degli oneri il comune con l'atto gravato rigettava la domanda confermando quanto contenuto nel permesso a costruire numero 198 del 6 gennaio 2006.Tale diniego veniva impugnato per i seguenti motivi 1. Difetto di motivazione, erroneità dei presupposti, irragionevolezza e contraddittorietà manifesta. Il fabbricato, prima di essere trasformato in albergo, era adibito a civile abitazione e si colloca in una zona totalmente residenziale. Non sussisteva poi più il vincolo alberghiero.2. Illegittimità del vincolo di destinazione imposto con il piano particolareggiato in variante al PRG e con il PRG stesso, violazione delle norme in materia di pianificazione urbanistica e degli articoli 41 e 42 della Costituzione. I principi in materia urbanistica consentono unicamente di porre vincoli di zonizzazione e non di destinazione, tanto più che la zona risulta totalmente residenziale e che il vincolo riguarda un singolo edificio.3. Travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà manifesta. La concreta situazione dei luoghi porterebbe ad una diversa destinazione.4. Errore nei presupposti, motivazione insufficiente, illogicità e contraddittorietà, violazione degli articoli 41 e 42 della Costituzione. La domanda doveva comunque essere accolta stante la dimostrata non convenienza della gestione di strutture turistiche, cui lo stesso Comune ha destinato un'altra zona del territorio comunale.5. Omessa ed insufficiente motivazione, violazione dell'articolo 41 della legge regionale numero 75 del 28 aprile 1995. La norma regionale consente la cancellazione del vincolo turistico in caso di comprovata non convenienza della destinazione.Costituitosi il Comune di Francavilla al mare, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell'operato della pubblica amministrazione, ritenendo inammissibile il ricorso in relazione all'impugnazione delle norme di pianificazione urbanistica ed infondato per le altre censure.Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia la fondatezza della propria pretesa, riproponendo in grado d'appello le doglianze non accolte davanti al T.A.R Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Francavilla al mare, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.All'udienza del 26 gennaio 2010, l'istanza cautelare veniva accolta con ordinanza numero 432/2010.Alla pubblica udienza del 5 luglio 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.Diritto1. - L'appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.2. - Con il primo motivo di diritto, si deduce omessa o insufficiente motivazione della sentenza su punti decisivi della controversia, in relazione all'originario primo motivo di ricorso, sottolineando come il T.A.R. non si sia pronunciato in relazione all'inesistenza di cause ostative al cambiamento o alla trasformazione d'uso richiesta.2.1. - La doglianza va condivisa.Occorre, infatti, evidenziare come nell'originario primo motivo di ricorso, la parte oggi appellante avesse lamentato, come censure di illegittimità del provvedimento gravato, il difetto di motivazione, erroneità dei presupposti, irragionevolezza e contraddittorietà manifesta. Ciò in considerazione che il fabbricato, prima di essere trasformato in albergo, era adibito a civile abitazione e si colloca in una zona totalmente residenziale dove non poteva più ritenersi sussistente il il vincolo alberghiero. Di fronte a tale censura, il T.A.R. si è limitato ad affermare come il provvedimento fosse correttamente, sebbene sinteticamente, motivato.Rileva al contrario la Sezione come il provvedimento in esame, facendo un mero riferimento alla destinazione d'uso contenuta nel precedente permesso di costruire numero 198 del 2006, e quindi alla situazione di fatto preesistente, abbia sostanzialmente eluso ogni accertamento in merito alla attuale persistenza del vincolo alberghiero su cui si verte. Tale profilo rappresenta tuttavia la questione centrale della vicenda, sulla quale né l'amministrazione né il giudice di prime cure si sono adeguatamente soffermati.Occorre notare come la questione della durata dei vincoli di destinazione alberghiera sia stata esaminata dalla Corte costituzionale, con la sentenza numero 4 del 28 gennaio 1981 dove, dichiarando la illegittimità costituzionale dell'articolo 5 del d.1. 27 giugno 1967, numero 460, convertito nella legge 28 luglio 1967, numero 628, il giudice delle leggi si è espresso per la intrinseca natura temporalmente limitata dei vincoli per l'uso alberghiero di un immobile. Tali vincoli, in via di principio legittimi, in quanto espressione di un diverso approccio del legislatore al modo di vincolare l'uso dell'immobile, e di instaurare quel controllo sulla proprietà e l'iniziativa private, che costituisce il riflesso dell'interesse, e qui dello stesso aiuto pubblico, all'espansione e al miglioramento dei servizi turistici , hanno ragione di esistere in ragione di esigenze concrete e sono destinati naturalmente ad affievolirsi. Pertanto, le discriminazioni introdotte con un regime vincolistico troppo lungo sconfinano oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa , venendo così a violare il principio costituzionale di eguaglianza.La posizione della Corte costituzionale è diventata quindi canone di azione del legislatore. Con la legge 17 maggio 1983, numero 217 Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica , pur prevedendo all'articolo 8 Vincolo di destinazione , la possibilità di istituire un vincolo di destinazione per le strutture ricettive, veniva espressamente disposto, al comma 5, la possibilità di rimozione del detto vincolo, dando carico alle Regioni, al successivo comma 6, di procedere all'individuazione delle modalità, fermo rimanendo che la detta limitazione dovesse in ogni caso venir meno su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato . Gli interventi normativi a livello nazionale successivi, ossia la legge 29 marzo 2001, numero 135 ed ora il d.lgs. 23 maggio 2011 numero 79, hanno spostato a livello di legislazione regionale il piano delle attribuzioni, senza però ovviamente poter intaccare i principi di rango costituzionale che permeano la materia.Da tale ricostruzione, emerge che il rispetto del canone di temporaneità e di modificabilità del vincolo di destinazione d'uso alberghiero, lungi dall'essere una possibilità liberamente valutabile dal legislatore regionale, appartiene alla stessa ragion d'essere della sua istituzione e deve ritenersi a questo intrinseco.Il legislatore regionale abruzzese, con la legge regionale 28 aprile 1995, numero 75 Disciplina delle strutture turistiche extralberghiere , si è quindi fatto carico della questione, prevedendo all'articolo 41 la possibilità di rimozione di tale vincolo. Tale norma, espressamente evocata dalla Barile s.r.l. come fondamento giuridico per la sua istanza, non è stata però ritenuta applicabile dal T.A.R. in quanto ritenuta inserita nel titolo riguardante le residenze di campagna e mirata alla sola rimozione del vincolo e non al mutamento d'uso, come richiesto dal ricorrente.Tale lettura però appare in contrasto con la interpretazione costituzionale sopra evidenziata, che vede la rimovibilità delle limitazioni come un canone di compatibilità della norma stessa con le previsioni della Carta fondamentale. In questo senso, evocata l'applicazione dell'articolo 41 citato, la strada operativa rimessa al giudice non può essere quella dal mero rispetto del dato normativo, seppur in questo caso non del tutto inequivoco, ma la valutazione della sua interpretabilità in senso costituzionalmente adeguato o, al limite, nella remissione alla stessa Corte costituzionale per la valutazione della sua correttezza, in quanto una apposizione sine die del vincolo urta con il principio della sua temporaneità sopra ricordato.Per tali ragioni, ritiene la Sezione che il citato articolo 41, che al comma 6 prevede L'Amministrazione comunale può autorizzare la cancellazione del vincolo di cui ai commi precedenti, su specifica istanza del titolare, quando sia stata accertata la sopravvenuta impossibilità o non convenienza economicoproduttiva della destinazione, subordinando la cancellazione alla revoca della concessa autorizzazione di variazione della destinazione d'uso, con conseguente ripristino della destinazione d'uso originaria , rappresenti un principio di diritto valevole in tutte la fattispecie, ed in specie in quella qui in discussione, autorizzando l'ente pubblico a provvedere non unicamente in relazione alla residenze agricole, ma per tutte le situazioni inquadrabili nell'area concettuale in esame e consentendo ogni tipologia di provvedimento, anche implicito come il mutamento di destinazione d'uso, che permetta di giungere al risultato concreto auspicato dal privato e imposto dall'interpretazione costituzionale della norma.In questa ottica, il rifiuto dell'amministrazione comunale di prendere posizione sull'effettiva sopravvenienza di situazioni di non economicità della gestione e quindi sull'attuale esistenza delle ragioni giustificative del vincolo, viene a violare il disposto normativo della legge regionale Abruzzo numero 75 del 28 aprile 1995, nella sua interpretazione più accorta e adeguata ai canoni indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza numero 4 del 28 gennaio 1981.Sotto questo profilo, il ricorso deve essere accolto, imponendo al Comune di Francavilla al mare di provvedere sull'istanza proposta dalla Barile s.r.l., sulla base degli accertamenti istruttori e della ponderazione degli interessi conformata dalle norme evocate.3. - L'acquisita fondatezza del primo motivo di appello, e consequenzialmente del primo motivo del ricorso di primo grado, comportano la necessità di non ulteriormente pronunciarsi sulle altre censure, dovendosi dare carico al Comune di Francavilla al mare di procedere ad una nuova determinazione su quanto richiesto dalla Barile s.r.l 4. - L'appello va quindi accolto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.P.Q.M.Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta , definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede 1. Accoglie l'appello numero 3935 del 2009 e per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione prima, numero 901 del 17 novembre 2008, accoglie il ricorso di primo grado 2. Condanna il Comune di Francavilla al mare a rifondere alla Barile s.r.l. le spese del doppio grado di giudizio, che liquida in €. 3.000,00 euro tremila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.