di Marilisa Bombi
di Marilisa BombiVa considerato contrario al principio di buona fede sancito dal codice del consumo il comportamento del fornitore che minaccia la sospensione della fornitura. Standard di diligenza definito dal codice al consumo. In materia di pratiche commerciali, i professionisti sono tenuti a rispettare uno standard di diligenza tale da consentire al consumatore di determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale. Tale canone di diligenza viene definito dall'articolo 18, comma 1, lett. h , del codice del consumo, come il normale grado della specifica competenza che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività dei professionisti . Si tratta di una nozione di diligenza professionale che assume rilievo specifico nell'ambito della disciplina delle pratiche commerciali scorrette e si differenzia rispetto alla nozione civilistica di diligenza nell'adempimento delle obbligazioni e di colpa nell'ambito dell'illecito aquiliano.Nel caso all'esame della Sezione questo standard di diligenza risulta essere stato violato perché la società fornitrice dell'energia, pur a fronte di puntuali reclami da parte del consumatore sull'entità degli addebiti, non ha ritenuto, nelle more della verifica tecnica, di sospendere la procedure esecutive per la riscossione, che espone l'utente, in caso di mancato pagamento, al rischio del distacco della fornitura. Come del resto aveva rilevato il giudice di primo grado, la minaccia di distacco della fornitura, unitamente al sollecito di pagamento, corrisponde pienamente al paradigma di coercizione o di indebito condizionamento , configurato dagli articolo 24 e 25 del codice del consumo, in quanto idonea, secondo l'id quod plerumque accidit, a limitare la libertà di scelta del comportamento del consumatore.Sulla violazione della diligenza professionale. Non ha pregio, a tale proposito, rileva ancora il Collegio, il motivo con cui si contesta che la condotta della società erogatrice sarebbe in linea con la regolamentazione di settore quale risultante dalle delibera AEEG 229/01. L'AGCM non ha infatti contestato la violazione della regolamentazione di settore che non prevede alcun obbligo di sospendere la procedura di riscossione in presenza di reclami da parte dei clienti , ma la violazione di un precetto di carattere generale la diligenza professionale richiesta dal codice del consumo. Al riguardo, deve ritenersi che il rispetto delle normativa di settore non valga ad esonerare il professionista dal porre in essere quei comportamenti ulteriori che, pur non espressamente previsti, discendono comunque dall'applicazione del più generale principio di buona fede a cui si ispira tutta la disciplina a tutela del consumatore. Sanzioni applicabili anche in assenza di specifiche disposizioni normative. Un comportamento commerciale, quindi, può essere sanzionato pur in mancanza della violazione di una specifica disposizione volta a regolamentare il settore, dovendosi certamente escludere che la delibera AEEG numero 229/01 possa avere l'effetto di esonerare il professionista dal porre in essere quegli ulteriori accorgimenti che, sebbene non espressamente prescritti, derivano, tuttavia, dal più generale canone di diligenza professionale o di buona fede.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 16 novembre 2010 - 31 gennaio 2011, numero 720Presidente Maruotti - Relatore GiovagnoliFatto e diritto1. Viene in decisione l'appello proposto dall'Enel s.p.a. per ottenere la riforma della sentenza del T.a.r. Lazio, sez. I, numero 8399/2009.La sentenza di primo grado ha respinto il ricorso proposto dall'Enel avverso il provvedimento numero 19232 del 3 dicembre 2008 dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con il quale veniva irrogata una sanzione di 90.000 euro alla società in quanto avrebbe posto in essere alcune condotte aggressive ai sensi degli articolo 24 e 25 del d.lgs. 6 settembre 2005, numero 206 Codice del consumo .2. L'appello non merita accoglimento.3. Dagli atti emerge che l'Enel ha effettivamente posto in essere un comportamento contrario con il principio di buona fede sancito dal codice del consumo.Come è noto, in materia di pratiche commerciali, i professionisti sono tenuti a rispettare uno standard di diligenza tale da consentire al consumatore di determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale. Tale canone di diligenza viene definito dall'articolo 18, comma 1, lett. h , del codice del consumo, come il normale grado della specifica competenza che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività dei professionisti .Si tratta di una nozione di diligenza professionale che assume rilievo specifico nell'ambito della disciplina delle pratiche commerciali scorrette e si differenzia rispetto alla nozione civilistica di diligenza nell'adempimento delle obbligazioni e di colpa nell'ambito dell'illecito aquiliano.Nel caso di specie, questo standard di diligenza risulta essere stato violato perché l'Enel, pur a fronte di puntuali reclami da parte del consumatore sull'entità degli addebiti, non ha ritenuto, nelle more della verifica tecnica, di sospendere la procedure esecutive per la riscossione, che espone l'utente, in caso di mancato pagamento, al rischio del distacco della fornituraCome ha correttamente rilevato il giudice di primo grado, la minaccia di distacco della fornitura, unitamente al sollecito di pagamento, corrisponde pienamente al paradigma di coercizione o di indebito condizionamento , configurato dagli articolo 24 e 25 del codice del consumo, in quanto idonea, secondo l'id quod plerumque accidit, a limitare la libertà di scelta del comportamento del consumatore.4. Non sussistono neanche profili di disparità di trattamento con altri operatori, perché nel caso dell'Enel, a prescindere dalla parziale sovrapponibilità del sistema adottato con quello di altri operatori, è emerso, in concreto, che in almeno 8 casi, pur in presenza di precisi reclami da parte degli utenti tendenti a contestare l'entità dell'importo fatturato, la società non ha provveduto a bloccare cautelativamente la procedura di riscossione dell'importo, inviando al contrario solleciti di pagamento.5. Non ha pregio nemmeno il motivo con cui si contesta che la condotta di Enel sarebbe in linea con la regolamentazione di settore quale risultante dalle delibera AEEG 229/01. L'AGCM non ha infatti contestato la violazione della regolamentazione di settore che non prevede alcun obbligo di sospendere la procedura di riscossione in presenza di reclami da parte dei clienti , ma la violazione di un precetto di carattere generale la diligenza professionale richiesta dal codice del consumo.Al riguardo, deve ritenersi che il rispetto delle normativa di settore non valga ad esonerare il professionista dal porre in essere quei comportamenti ulteriori che, pur non espressamente previsti, discendono comunque dall'applicazione del più generale principio di buona fede a cui si ispira tutta la disciplina a tutela del consumatore.Un comportamento commerciale, quindi, può essere sanzionato pur in mancanza della violazione di una specifica disposizione volta a regolamentare il settore, dovendosi certamente escludere che la delibera AEEG numero 229/01 possa avere l'effetto di esonerare il professionista dal porre in essere quegli ulteriori accorgimenti che, sebbene non espressamente prescritti, derivano, tuttavia, dal più generale canone di diligenza professionale o di buona fede.Del resto, come correttamente rilevato dal T.a.r, richiamando sul punto il parere numero 3999/2008 della I Sezione del Consiglio di Stato, il principio di specialità di cui all'articolo 19, comma 3, d.lgs. numero 206/2005 opera solo laddove esista una compiuta ed organica disciplina della materia, e certamente la disciplina dettata dall'AEEG con la citata delibera del 2001 non possiede tali caratteristiche.Nel caso di specie, quindi, a prescindere dall'assenza di violazione mai contestate dall'AGCM della regolamentazione AEEG, la scorrettezza della pratica commerciale discende dal non aver tenuto indenne il consumatore delle conseguenze negative di errori di misurazione precedentemente commessi dall'Enel, che avrebbe dovuto, anziché sollecitare il pagamento, provvedere a bloccare la procedura di fatturazione a seguito della presentazione di legittimi reclami.6. Non risultano fondate neanche le censure che contestano l'eccessività della sanzione.La sanzione comminata 90.000 euro , al contrario, ben inferiore rispetto al massimo edittale 500.000 euro risulta pienamente giustificata in ragione della gravità dei comportamenti contestati, incidenti peraltro sull'erogazione di un servizio essenziale quale il consumo del gas e delle dimensioni dell'operatore, che risulta essere una della più importanti imprese del settore.7. In definitiva, l'appello deve essere respinto. Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in complessivi € 4.000,00 quattromila/00 .P.Q.M.Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto numero 779/2010 , lo respinge.Condanna l'Enel s.p.a. al pagamento delle spese processuali a favore dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che liquida in complessivi € 4.000,00 quattromila/00 .Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.