Contratto scaduto, «casa vacanze» da liberare. Meglio ricorrere alla giustizia... E’ violenza staccare le utenze domestiche: proprietario condannato

Seppur limitato l’arco temporale del disagio, resta intatta la gravità dell’azione compiuta dal proprietario dell’immobile, che voleva così ‘accelerare’ il rilascio. Alla famiglia occupante l’alloggio la giustizia civile aveva concesso ancora centottanta giorni di tempo. Troppi per il proprietario, soprattutto tenendo presente l’estate ormai alle porte e la possibilità di affittare nuovamente l’appartamento

«Casa vacanze» libera in teoria, occupata in pratica. Perché l’ultimo contratto di locazione è scaduto, sì, ma la famiglia che occupa l’immobile ha ancora 120 giorni di tempo per andare via. E la stagione estiva è oramai alle porte Scontata la frenesia del proprietario – una donna –, timorosa di perdere affari e soldi, che però deve essere contenuta e indirizzata sulle vie della giustizia. Assolutamente sconsiderata, e certo non in buonafede, la scelta di staccare d’impeto tutte le utenze domestiche per «convincere» la famiglia, ancora sistemata nell’alloggio, ad andare via conseguente la condanna a una multa e al risarcimento dei danni, nonostante il disagio sia durato «solo» sette giorni Cassazione, sentenza numero 41675, sezione VI Penale, depositata oggi . Locazione scaduta, uscita in sospeso Nessun dubbio, per la giustizia civile, sullo scioglimento del vincolo relativo a una locazione turistica in Toscana contratto scaduto a fine maggio e conduttore obbligato a lasciare l’immobile entro i primi giorni di ottobre. Ma è proprio questo «cuscinetto» a indispettire la proprietaria dell’immobile, chiaramente preoccupata dall’idea di vedere bloccata la «casa vacanze» per tutto il periodo estivo. Assolutamente spropositata la reazione, ossia disdetta dei «contratti di fornitura del gas metano, dell’energia elettrica e dell’acqua» relativi all’appartamento, con conseguente «cessazione della loro erogazione» per sette giorni, fino alla riattivazione operata dalla famiglia. Difatti, tale azione viene sanzionata sia in primo che in secondo grado, e qualificata come «esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose», e accompagnata, oltre che da una multa, anche dall’obbligo di risarcire i danni subiti dalla famiglia. Molto più sensato sarebbe stato, invece, il ricorso alla giustizia La legge innanzitutto Ma è proprio quest’ultima prospettiva a essere contestata dalla donna, che, proponendo ricorso in Cassazione, sostiene che «dopo la sentenza del giudice civile, non avrebbe avuto motivo e titolo per impugnare la decisione che aveva già riconosciuto il suo diritto al rilascio dell’immobile, sancendo l’avvenuta scadenza del contratto di locazione». Allo stesso tempo, la donna rivendica la propria buonafede, fondata sulla «convinzione della intervenuta cessazione di ogni suo obbligo verso il conduttore» e sulla certezza che proprio il conduttore «avrebbe provveduto a volturare le utenze a suo nome», e sottolinea il ridotto peso da attribuire ai fatti, considerando l’arco temporale limitato della «violenza» – appena una settimana –, vista la «rapida riattivazione delle utenze energetiche». Nonostante tali appunti, però, la visione proposta in Appello viene riconfermata anche in Cassazione, laddove i giudici partono da un dato di fatto evidente l’«esito lesivo» delle azioni della proprietaria dell’alloggio, azioni che hanno «dato luogo a una non breve inutilizzabilità del bene immobile concesso in locazione, rendendolo in sostanza invivibile per un apprezzabile tempo, necessario al conduttore per ottenere il ripristino delle erogazioni dell’energia e dell’acqua, nonché inducendo l’intera famiglia con due bambini piccoli ad avvalersi dell’ausilio di terzi per le loro elementari esigenze di vita». E il fatto che il locatario dell’abitazione «sia stato in grado di provvedere alla riattivazione delle forniture non elide l’oggettiva rilevanza del periodo di durata della violenza», sottolineano i giudici. Anche per questo, sarebbe stato preferibile ricorrere all’autorità giudiziaria strada, questa, percorribile, tenendo presente l’obiettivo, della proprietaria, di «riconsegna» anticipata dell’immobile, giusto in tempo per la stagione estiva. Assolutamente sconsiderata, invece, la scelta di ricorrere a una «opera persuasiva» nei confronti del conduttore Per completare il quadro, infine, i giudici mostrano di non nutrire dubbi sulla «volontà lesiva» della proprietaria, certo non modificabile dalla pronta reazione della famiglia ella «ha agito con piena contezza degli effetti causali della sua condotta, e con la volontà di produrli, sì da non potersi dubitare del dolo», testimoniato dalla intenzione di «rendere disagevole la permanenza del nucleo familiare nell’immobile».

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 maggio – 25 ottobre 2012, numero 41675 Presidente Agrò – Relatore Paoloni Motivi della decisione 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Firenze ha confermato la decisione resa il 26.10.2007, a conclusione del giudizio con rito ordinario, dal Tribunale di Livorno sezione di Cecina, che ha dichiarato P.D.F. colpevole dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di danneggiamento, condannandola alla pena - con le attenuanti generiche ed unificati dalla continuazione i due reati - di euro trecento di multa e al risarcimento del danno in favore di una delle tre costituite parti civili risarcimento che la Corte territoriale, in accoglimento del loro appello, ha esteso anche alle altre due parti civili. 2. La condotta criminosa della D.F. è agevolmente ricostruibile. Con sentenza del 6.4.2005 divenuta definitiva dopo i fatti penalmente rilevanti ascritti all’imputata il Tribunale civile di Livorno rigettava la domanda della D.F. di risoluzione per inadempimento sfratto per morosità del contratto di locazione turistica di un suo immobile di Cecina stipulato con L.M. e dichiarava inammissibile la connessa domanda della stessa D.F. volta ad ottenere il pagamento di somme versate per le forniture domestiche di gas, elettricità ed acqua relative alle utenze a lei intestate, La stessa sentenza dichiarava, tuttavia, scaduto il contratto di locazione immobiliare alla data del 29.5.2004, condannando il conduttore M. al rilascio dell’immobile “entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza”. In tale contesto l’imputata allo scopo di ottenere un più rapido “rilascio” dell’appartamento, per riaffittarlo in vista dell’imminente stagione estiva, nel maggio del 2005 ha proceduto a disdire i contratti di fornitura, a lei intestati, del gas metano, dell’energia elettrica e dell’acqua serventi l’appartamento occupato dal M. con la moglie e due bambini, così determinando la cessazione della loro erogazione, durata circa una settimana fino alla riattivazione delle utenze con autonomi contratti di fornitura stipulati dal locatario M. I giudici di merito di primo e di secondo grado hanno ritenuto il comportamento della D.F., oggetto di querela del M. in proprio e nell’interesse dei due figli minori tutti e tre costituitisi parti civili nel giudizio , integrare il reato di ragion fattasi in relazione alla “violenza sulle cose” esercitata ex articolo 392 co. 2 c.p. dall’imputata, intesa come “mutamento di destinazione dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas, beni mobili distolti dal servizio all’appartamento concesso in locazione, con interruzione dell’erogazione delle forniture”. Violenza deliberatamente attuata dall’imputata e correlata alla sua possibilità di “ricorrere al giudice” per far valere il proprio diritto al rilascio dell’immobile, atteso che la D.F. aveva la possibilità di proporre appello contro l’indicata sentenza civile che, negata la morosità del M. per la durata del cessato contratto di locazione, aveva concesso allo stesso un termine di sei mesi per il definitivo “rilascio” dell’appartamento, termine ancora lontano dalla scadenza nel momento in cui la proprietaria ha effettuato la disdetta dei contratti di fornitura energetica e dell’acqua relativi all’abitazione locata. Nel medesimo quadro dei conflittuali rapporti instauratisi tra le parti i giudici di merito hanno inscritto l’ulteriore concorrente condotta della D.F. qualificata come danneggiamento capo B della rubrica , consistita nel recidere un filo stendibiancheria collocato, come confermato da più testimoni, dal M. e dalla moglie all’esterno dell’appartamento. 3. Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputata di persona, prospettando le seguenti censure per violazione di legge e carenza ed illogicità della motivazione con riguardo alla sola contestata fattispecie di cui all’articolo 392 c.p. 3.1. Erronea applicazione dell’articolo 392 c.p. e illogicità della decisione in riferimento alla effettiva possibilità della prevenuta di adire l’autorità giudiziaria e alla sua ritenuta volontà lesiva. Il diritto al rilascio dell’immobile ceduto in locazione non era in realtà oggetto di contrasto o di una controversia di fatto tra le parti. Dopo la sentenza del giudice civile la D.F. non avrebbe avuto motivo e titolo per impugnare la decisione “ non potendo ella ottenere più di quanto già ottenuto” che aveva già riconosciuto il suo diritto al rilascio dell’immobile, sancendo l’avvenuta scadenza del contratto di locazione del M. Né appare logico ritenere che la D.F. avrebbe “dovuto tollerare l’utilizzo delle utenze da parte della famiglia M. a suo nome” a lei intestate . I giudici di secondo grado, del resto, evocando la possibilità di impugnazione della sentenza, civile da parte dell’imputata, non hanno saputo individuare quale specifico diritto, reale o supposto, l’imputata avrebbe potuto azionare in sede giudiziaria per far valere le proprie ragioni. Difetta, quindi, un presupposto indefettibile del contestato reato di cui all’articolo 392 c.p. 3.2. Illogicamente la sentenza impugnata ha trascurato di esaminare l’effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e di rilevare come l’intero contegno dell’imputata sia stato improntato alla “buona fede”, nella convinzione della intervenuta cessazione di ogni suo obbligo verso il conduttore M. e nella stessa certezza che sicuramente il M. avrebbe provveduto a volturare le utenze a suo nome. Per altro, se la violenza sulle cose è integrata - come afferma la giurisprudenza di legittimità - anche da un mutamento della loro destinazione che si traduca nell’impedirne l’uso, tale violenza deve - come chiarisce quella stessa giurisprudenza - possedere, ai fini dell’articolo 392 c.p., un carattere di permanenza o di sufficiente stabilità temporale, che nel caso di specie manca per la descritta rapida riattivazione delle utenze energetiche a cura del locatario . 4. L’impugnazione va respinta per infondatezza dei delineati motivi di ricorso. 4.1. L’elemento oggettivo del reato non, è oggetto di contestazione da parte della ricorrente, se non sotto il profilo della sua significatività temporale. L’azione della D.F. manifestatasi attraverso l’estinzione dei contratti di somministrazione delle forniture di energia e di acqua relative all’appartamento affittato realizza un concreto e specifico mutamento di destinazione dei beni “portati” dalle utenze gas metano, energia elettrica, acqua integrante il reato di cui all’articolo 392 c.p., tradottosi nel modificarne o impedirne l’originaria utilizzazione loro propria, funzionale ad un normale uso della stessa unità abitativa concessa in locazione cfr. Cass. Sez. 6, 17.12.2008 numero 6187/09, Perucci, rv. 243053 . Correttamente i giudici di merito hanno inquadrato la condotta della ricorrente nella categoria della violenza realizzatrice del reato nella sua manifestazione di “mutamento di destinazione” della cosa oggetto dell’arbitraria autotutela del soggetto agente. Non è dubitabile che la cessazione delle utenze intestate alla proprietaria locatrice, senza l’assenso del legittimo conduttore, operata dalla D.F. ha determinato, quale effetto automatico, secondo la palese intenzione della donna questo essendo il suo obiettivo, strumentale ad un anticipato rilascio dell’immobile da parte del locatario , l’immediato distacco delle forniture in favore dell’appartamento abitato dal M. e dalla sua famiglia. Un esito lesivo che, in forma derivata, ha dato luogo ad una non breve inutilizzabilità del bene immobile concesse in locazione, rendendolo in sostanza “invivibile” per un apprezzabile tempo una settimana o poco più , necessario al conduttore per ottenere il ripristino delle erogazioni dell’energia e dell’acqua, nonché inducendo l’intera famiglia con due bambini piccoli ad avvalersi dell’ausilio di terzi per le loro elementari esigenze di vita. Il dato per cui il M., al momento dei fatti legittimo locatario dell’abitazione, sia stato in grado di provvedere alla riattivazione delle forniture non elide l’oggettiva rilevanza del periodo di durata della “violenza” mutamento di destinazione/inutilizzabilità del bene costitutiva del contestato reato v. Cass. Sez. 6, 28.10.2008 numero 4373/09, Sola, rv. 242775 . 4.2. Non hanno pregio i rilievi sulla asserita indeterminatezza della pretesa giuridica che l’imputata avrebbe potuto far valere “ricorrendo al giudice”. Posto che l’interesse anche patrimoniale della D.F. afferiva alla possibilità di riaffittare per l’estate l’appartamento già locato al M., non risponde al vero che l’imputata non avesse titolo per adire nuovamente l’autorità giudiziaria, che pure aveva già riconosciuto, in forma indiretta dichiarata scadenza del contratto di locazione , il suo diritto alla riconsegna dell’immobile ceduto in locazione. Il suo interesse anticipato alla riconsegna, potenzialmente contestabile dal M. autorizzato ad occupare l’appartamento per ulteriori sei mesi dalla pronuncia-pubblicazione della sentenza civile , ben le consentiva, infatti, come chiarisce la sentenza impugnata, di rivolgersi all’autorità giudiziaria, in luogo di esercitare la personale indebita opera “persuasiva” nei confronti del conduttore con il provocato distacco delle forniture energetiche. Non soltanto la sentenza civile del Tribunale di Livorno era appellabile essendo passata in giudicato soltanto dopo i fatto integranti l’odierna regiudicanda penale , sì che la D.F. ben avrebbe potuto invocare la modifica del capo della decisione concernente la durata del periodo di c.d. comporto semestrale riconosciuto al M. Ma la stessa D.F. avrebbe ancor più efficacemente in termini di tempestività potuto adire il giudice dell’esecuzione civile in virtù del conseguito titolo esecutivo per il rilascio dell’appartamento formato dalla sentenza civile articolo 56 L. 392/78 in tema di locazioni urbane , richiedendo la riduzione del termine di postergazione della riconsegna concesso al locatario. Ovvero, ancora, avrebbe potuto esperire la particolare procedura di opposizione innanzi al Tribunale a norma dell’articolo 618 c.p.c., secondo quanto previsto - sempre in tema di locazioni immobiliari - dall’articolo 6 co. 4 L. 9.12.1998 numero 431. E’ appena il caso di aggiungere, in vero, che la possibilità di fare ricorso al giudice limitante ex articolo 392 c.p. l’autotutela giuridica del titolare di un preteso diritto putativo o reale non può certo considerarsi circoscritta al solo giudizio di cognizione del merito della controversia, effettiva o potenziale, necessariamente involgendo essa anche la fase degli effetti susseguenti in executivis, dell’azione giudiziaria promossa dal titolare del preteso diritto. Anche in tale fase esecutiva persistono immutate le esigenze, sottese alla norma incriminatrice, di impedire e di prevenire - per ragioni di ordinata convivenza collettiva e di pace sociale - che il soggetto privato si faccia ragione da se stesso, non avvalendosi dei mezzi che l’ordinamento giuridico gli offre per la tutela dei suoi interessi personali. 4.3. Analogamente prive di fondamento sono le censure attinenti alla mancata dimostrazione della volontà lesiva della ricorrente, che avrebbe agito nella convinzione di esercitare un proprio legittimo diritto, improduttivo di supposti danni a terzi e in particolare al proprio locatario M. L’analisi del dolo specifico del reato ascritto alla ricorrente sviluppata dalla sentenza di appello è corretta e conforme agli indirizzi ermeneutici di questa Corte regolatrice in tema di accertamento del dolo specifico del reato di ragion fattasi. La buona fede del soggetto agente, che è condizione o presupposto dell’esistenza stessa dei reati previsti dagli articolo 392 e 393 c.p. convinzione del legittimo esercizio di un proprio diritto , non va fraintesa come indice dell’assenza di volontà colpevole, questi essendo caratterizzata dall’attuazione di una condotta con la consapevolezza di poter ricorrere al giudice per difendere un diritto che si ritiene di vantare e che si esercita e realizza - invece - in via personale e diretta alla scopo di raggiungere i medesimi risultati favorevoli che si conseguirebbero con il rivolgersi all’autorità giudiziaria. Non è necessario che il diritto oggetto dell’arbitraria tutela privata sia realmente esistente, essendo sufficiente che l’autore agisca nella ragionevole opinione di difendere un suo diritto e nella consapevolezza degli effetti, diretti o indiretti, discendenti da siffatta difesa o autotutela. Nel caso di specie, come già visto, la D.F. ha agito, ben sapendo e anzi volendo determinare proprio tale effetto, che l’estinzione dei contratti di fornitura a lei intestati avrebbe causato, in relazione di diretta causalità efficiente, il “taglio” o cessazione delle erogazioni di gas, elettricità e acqua all’appartamento abitato dalla famiglia del M. Effetto tale da rendere l’immobile seriamente inutilizzabile per lo scopo abitativo suo proprio per un tempo significativo e comunque non breve, nella dissimulata aspettativa - proprio a causa del contegno scientemente attuato dalla prevenuta estinzione dei contratti di somministrazione - di un anticipato rilascio dell’appartamento da parte del M. Come rilevano le due conformi sentenze di merito sulla base dei dati conoscitivi ampiamente offerti dalla istruttoria dibattimentale, la D.F. ha agito con piena contezza degli effetti causali della sua condotta e con la volontà di produrli, sì da non potersi dubitare del dolo del reato connotante il comportamento dell’imputata globalmente valutato v. sentenza di appello “ logica alla base della complessiva condotta della D.F., intesa a rendere disagevole la permanenza del nucleo familiare del M. nell’immobile” . Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.