E’ valida la richiesta di giudizio immediato avanzata oltre il termine di 180 giorni dall’applicazione della custodia cautelare

Nella decisione in oggetto la Corte di cassazione, oltre a confermare il principio secondo cui non possono liquidarsi le spese processuali alla parte civile che non sia presente alla discussione in pubblica udienza, ha ribadito il principio, ormai piuttosto consolidato, secondo cui il pubblico ministero, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 453, comma 1 bis c.p.p., può chiedere il giudizio immediato, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta ad indagini si trovi in stato di custodia cautelare, anche oltre il termine di 180 giorni contemplati nella predetta disposizione.

Le ragioni della decisione. La massima si inserisce, come accennato, in un filone giurisprudenziale allo stato granitico, secondo cui «è ius receptum quello per cui un ipotetico errore nella scelta del rito non comporta una nullità assoluta per violazione delle regole che presiedono all’iniziativa del pm nell’esercizio dell’azione penale», potendosi al più considerare l’esistenza di eventuali profili di nullità a carattere generale per intervenuta violazione dei diritti di difesa. Relativamente al giudizio immediato “ordinario”, già prima della riforma operata dalla d.l. numero 92/2008 che ha appunto introdotto la nuova figura di giudizio immediato di cui si tratta, si è ripetutamente sostenuto che sarebbe «valida la richiesta di giudizio immediato avanzata oltre il termine di 90 giorni, quando entro tale termine sia stata comunque completata l'attività di acquisizione probatoria su cui la richiesta stessa si fonda» Cass. Penumero Sez. III, sentenza numero 273/1995 , posto che «il termine di novanta giorni stabilito dall'articolo 454, comma 1, c.p.p. per la richiesta di giudizio immediato da parte del p.m. ha carattere tassativo per quanto attiene al compimento delle indagini, mentre ha natura ordinatoria quanto alla materiale presentazione della richiesta del rito» Cass. Penumero Sez. III sentenza numero 41579/2007 . Il ragionamento sviluppato sul punto dalla Corte di legittimità si fonda sostanzialmente sul fatto che ciò che conta e che in definitiva giustifica il potere del pubblico ministero di procedere secondo il giudizio immediato originario, che priva indubbiamente la difesa di alcune prerogative come l’udienza preliminare o l’avviso della conclusione delle indagini preliminari ex articolo 415 bis c.p.p., è l’evidenza probatoria acquisita nel termine di 90 giorni dall’iscrizione della notizia di reato, sempre che si abbia comunque avuto premura di aver messo l’indagato nella condizione effettiva di essere sentito dall’inquirente mediante interrogatorio. Prima della modifica legislativa de qua , la stessa Corte Costituzionale, del resto, con la pronuncia numero 371/2002, pure richiamata nelle motivazioni della decisione qui commentata, aveva respinto la questione di legittimità costituzionale del giudizio immediato per la mancanza di avviso ex articolo 415 bis c.p.p., ritenendo che, per quel che qui maggiormente interessa, nel complesso la disciplina legale garantisse comunque un contraddittorio tra le parti preventivamente alla presentazione della richiesta. Con l’introduzione del giudizio immediato “cautelare” è parso così naturale alla Corte di Cassazione mutuare i medesimi principi enunciati a proposito di quello “ordinario”, considerando il termine di 180 giorni contemplato dall’articolo 453 comma 1 bis c.p.p. come “sollecitatorio”. Si è, infatti, affermato – e si continua affermare – che «in presenza delle condizioni e dei presupposti previsti dai primi tre commi dell'articolo 453 c.p.p., il termine di 180 giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato» Cass. Penumero Sez. VI sentenza numero 41038/2009 . Da ciò si è dedotto che «il disposto di cui all'articolo 453, comma 1 ter, c.p.p., secondo cui, quando la persona sottoposta a indagini si trovi in stato di custodia cautelare, la richiesta di giudizio immediato dev'essere formulata solo dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame, va interpretata, con riguardo alla prima di dette ipotesi, nel senso che è necessario e sufficiente attendere la decisione del tribunale del riesame e non anche l'esito dell'eventuale ricorso per cassazione» Cass. Penumero Sez. II sentenza numero 17362/2011 . Si è, peraltro, precisato che «allorquando il p.m. abbia avanzato richiesta di giudizio immediato ai sensi dell'articolo 453, comma 1 bis, c.p.p. nei confronti di soggetto che si trovi per il reato in stato di custodia cautelare, e il g.i.p. abbia rigettato tale richiesta non per carenza dei presupposti di legge, ma per difetto del requisito dell'evidenza della prova, sancito nella diversa ipotesi di richiesta di giudizio immediato ex articolo 453, comma 1, c.p.p., si è in presenza di un provvedimento abnorme funzionalmente , che va annullato senza rinvio». Ciò perché si tratterebbe «di provvedimento che determina una situazione di stallo processuale, impedendo al p.m. di adempiere allo specifico obbligo di legge, posto alla base di tale specifica ipotesi di giudizio immediato, di accelerare i tempi del procedimento, allorquando l'imputato si trovi appunto in stato di custodia cautelare, per diminuire la possibilità di scarcerazioni per decorrenza dei termini di custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari» Cass. Penumero Sez. VI sentenza numero 7912/2011 . La Corte di cassazione, quindi, con la decisione de qua ha fatto proprie tutte queste massime e ha pertanto respinto la lagnanza della difesa sulla nullità del giudizio immediato per essere stata presentata la richiesta relativa oltre il termine di 180 giorni dall’esecuzione della custodia cautelare, in quanto «il termine di 180 giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato». Critiche alla decisione. La decisione in oggetto non pare condivisibile laddove si ritiene di giustificare l’ordinarietà o, se si preferisce, la non tassatività del termine di 180 giorni per la presentazione della richiesta di giudizio immediato “cautelare” in considerazione del fatto che vi sarebbe una sostanziale identità di ratio tra detto termine e il termine di giorni 90 entro il quale deve emergere l’evidenza della prova ex articolo 453, comma 1 c.p.p Presupposto, infatti, del giudizio immediato ex articolo 453, comma 1 bis c.p.p. è che sia stata definita, almeno nel merito, ogni valutazione sui gravi indizi di colpevolezza ex articolo 273, comma 1 c.p.p. ai fini dell’applicazione delle misure cautelari articolo 453, comma 1 ter c.p.p. e che la custodia coercitiva non sia stata nel frattempo revocata o annullata articolo 455, comma 1 bis c.p.p. . Il termine di 180 giorni, quindi, presuppone un giudizio seppur cautelare sui dati raccolti dal pubblico ministero, che possa giustificare l’esercizio dell’azione penale. Da questo punto di vista, la scelta legislativa non appare irragionevole e, se ben si osserva, si inserisce, anche se non del tutto coerentemente, con la tradizione di common law e del processo statunitense, nel quale la custodia del reo, per essere accettabile, deve connettersi ad una rapida instaurazione del processo di merito. Così ricostruito il sistema, è evidente allora che il termine di 180 giorni non ha un senso pregnante se non nell’esigenza di verificare in concreto la possibilità di una revoca o di un annullamento della misura coercitiva. Detto in termini ancor più chiari, il termine in questione si pone certamente in favore dell’accusa al fine di definire, se del caso, questo o quell’aspetto investigativo, ma anche e soprattutto in favore della difesa. Sul punto è innegabile non solo il diritto di svolgere indagini difensive ma anche di presentare dati o elementi da approfondire al pubblico ministero ex articolo 358 c.p.p. a favore della persona sottoposta ad indagini. L’esigenza, certamente contemplata dal codice e capace di giustificare di per sé il rigetto della richiesta di giudizio immediato, da tutelare e che non può essere compromessa dal rito speciale in questione è data dalla necessità di non pregiudicare “gravemente le indagini” articolo 453, comma 1 bis c.p.p. . Tale giudizio è certamente discrezionale ma non arbitrario e, a sommesso avviso di chi scrive, dovrà essere motivato qualora vi siano documentate istanze investigative avanzate dalla difesa. Dopo tutto, se ben si considera la ratio dell’articolo 415 bis c.p.p., ciò che vuole tutelarsi in favore di una difesa, che sia venuta a conoscenza di una indagine ormai definita, è la possibilità, tra l’altro, di presentare memorie, produrre documenti o documentazione di indagini difensive e di chiedere «al pubblico ministero il compimento di atti di indagine» articolo 415 bis , comma 3 c.p.p. . Se è vero che non vi è sanzione processuale per quanto riguarda la violazione dell’articolo 358 c.p.p. e dell’articolo 415 bis c.p.p. del dovere del p.m. di svolgere indagini a favore della difesa, si domanda se, ai fini dell’ammissibilità del giudizio immediato “cautelare”, tutto ciò sia davvero così irrilevante, posto che si tratta di derogare a schemi ordinari e a facoltà difensive. Da quanto sopra si deduce, quindi, che anche ad ammettere la derogabilità del termine di 180 giorni, ciò può farsi ma facendo riferimento a giustificazioni e a valutazioni sistematiche a più ampio raggio. Tuttavia, il discorso meriterebbe ben più vaste considerazioni e purtroppo non è questa la sede più opportuna per svolgerli. E’ tempo, quindi, di concludere. De iure condendo. Non può dubitarsi che la correlazione tra esercizio dell’azione penale e custodia cautelare sia opportuna, anche dal punto di vista delle garanzie processuali e non solo per esigenze di prontezza della pena. Tuttavia, in questa doverosa correlazione non deve mai pregiudicarsi in concreto la difesa e soprattutto l’esigenza di vagliare la possibilità dell’innocenza. I termini, quindi, concessi ai fini del giudizio immediato di cui si tratta non possono non avere anche lo scopo di mettere la difesa nelle condizioni di preparare adeguatamente il contraddittorio probatorio ed argomentativo. Nello stesso modo, se vi è necessità di procedere entro termini adeguati, non si può accettare come del tutto normale che una richiesta di giudizio immediato possa avanzarsi se e quando il pubblico ministero si deciderà in merito. Trascorsi 180 giorni dalla definizione nel merito della cautela la difesa si forma una aspettativa legittima e costituzionalmente rilevante e precisamente che il procedimento si svilupperà secondo le direttrici ordinarie e, per l’effetto, la difesa si preparerà considerando gli sviluppi processuali prevedibili secondo le indicazioni legali. Sostenere che tutto ciò sia irrilevante e nulla valga ai fini del “giusto processo”, pone notevoli perplessità. Supponendo, però, che la legge sia equivoca e che le sopra esposte considerazioni non trovino adeguato supporto normativo, non parrà improprio, visto il fervore normativo in atto, che si auspichi una seria revisione e coordinazione dell’istituto in questione, oltre che per paventate esigenze economiche anche e soprattutto per tutelare valori fondamentali, sperando che si cambi e si cambi per il meglio.

Corte di Cassazione, Sezione I Penale, sentenza 4 ottobre – 23 ottobre 2012, numero 41287 Presidente Giordano – Relatore Caprioglio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell’8.4.2011 la Corte di assise d’appello di Venezia confermava la condanna all’ergastolo di B.F. inflitta dalla Corte d’assise di Treviso in data 27.4.2010 per il reato di duplice omicidio in danno di L.E., che era stata uccisa per scannamento, ed in danno della figlioletta A., di ventidue mesi, cui venne tagliata la gola con unica profondissima ferita. La Corte territoriale ribadiva che l’imputato era stato visto dai vicini recarsi dalla L., in stato di grande agitazione, il giorno del fatto. Lo stesso era stato quindi immediatamente ricercato e rinvenuto in Slovenia, dove era stato arrestato il 26.2.2009. La condotta omicida era stata ricondotta alla reazione all’abbandono della donna, che si era trattenuta la bambina. Nell’abitazione della vittima venivano rinvenute numerose tracce che portavano inequivocabilmente all’imputato, il quale nel corso dell’esame dibattimentale aveva ammesso il fatto. La Corte prendeva in esame i rilievi di ordine procedurale che avevano già fatto oggetto di eccezione in primo grado. Veniva ritenuto che il ricorso al giudizio immediate era stato operato in forza dal dettato dell’articolo 453 I comma cod.proc.penumero , essendo stato l’imputato in custodia cautelare, lo stesso fu sottoposto all’interrogatorio di garanzia ad opera del gip e quindi fu messo in condizione di conoscere gli addebiti e di difendersi tale interrogatorio è stato ritenuto ampiamente sufficiente a giustificare la scelta del , che nel caso di soggetti detenuti è svincolato dal requisito dell’evidenza probatoria e sostituisce in termini di garanzia quello richiesto ad opera del Pm il termine di 180 giorni da quello dell’esecuzione della misura entro cui dovrebbe essere fatta la richiesta di rito immediato, oltre a non rappresentare un termine perentorio, andava calcolato considerando la sospensione dei termini feriali. Veniva ribadita la sussistenza dell’aggravante della particolare crudeltà, visto che la L. prima di essere sgozzata era stata picchiata brutalmente, con pugni e calci e ferita ripetutamente, fase questa reliminare allo sgozzamento, non di breve durata, in cui non si verificò sanguinamento, il che era dimostrativo che si trattò di un’azione diretta solo a tormentare e infliggere inutili sofferenze. Venivano poi ritenute l’aggravante dell’abuso di relazioni domestiche e quella di aver agito contro la figlioletta. Non veniva invece ritenuta l’attenuante della provocazione, non potendo assurgere a giustificazione il fatto che la donna avesse rifiutato di riprendere la convivenza con l’imputato. Quanto alle facoltà mentali di quest’ultimo, la Corte rigettava l’istanza di integrazione istruttoria avanzata dalla difesa, poiché le consulenze acquisite avevano portato a ritenere integre le facoltà mentali dell’imputato, nel senso che non venivano denunciate neppure dal consulente di parte politologie in grado di compromettere la sua capacità di intendere e volere, ancorché il soggetto sia stato definito borderline. Le circostanze attenuanti generiche venivano concesse fin dal primo grado, proprio per le condizioni di disagio sociale dell’imputato, ma con giudizio di minusvalenza in relazione al reato sub B e di equivalenza quanto al reato sub A , con il che veniva inflitta la pena dell’ergastolo, con isolamento diurno per due anni che in secondo grado veniva confermata. 2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalnente, per dedurre 2.1. mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle questione di rito. Sarebbe nulla la sentenza d’appello per derivazione dalla nullità del decreto ci giudizio immediato disposto in violazione dell’articolo 453 cod.proc.penumero non sarebbe stato obbligato il Pm a chiedere il giudizio immediato di imputato detenuto, atteso che l’articolo 453 citato usa il termine ‘‘richiede’’ dovevano ricorrere i due presupposti dell’evidenza probatoria e del previo interrogatorio dell’indagato. Non sarebbe sufficiente l’interrogatorio di garanzia a tale proposito, essendo intervenuto in un momento in cui non erano ancora stati raccolti gli elementi di prova decisivi, cosicché l’imputato si è visto sottratto il diritto della comunicazione ex articolo 415 bis cod. procomma penumero e non gli è mai stato spiegato su quali basi l’accusa si era andata a fondare, a seguito delle consulenze tecniche disposte in materia biologica e dattiloscopia. Sul punto, l’imputato ha obiettato che inconferente sia stata la motivazione della sentenza, che con poche righe avrebbe liquidato la questione di legittimità costituzionale avanzata in relazione all’articolo 453 comma 1 bis cod. procomma penumero , poiché il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale 203/2002 non è pertinente, posto che all’epoca la Consulta ebbe ad affrontare il diverso profilo della mancata notificazione, in caso di richiesta di giudizio immediato, dell’avviso ex articolo 415 bis cod. procomma penumero in questo caso, la Corte aveva proprio rigettato la questione sul presupposto che il sacrificio al diritto di difesa dell’imputato è compensato dall’evidenza probatoria e dall’intervenuto interrogatorio, laddove nel caso dì specie tali compensazioni non operano. 2.2. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all’articolo 61 numero 4 cod. penumero avrebbe errato la Corte di merito el ritenere irrilevanti ai fini della configurabilità dell’aggravante in questione indole, origini e stile di vita dell’imputato, tanto più che in sede dibattimentale furono escussi numerosi testimoni che provarono come l’indole dell’imputato era tutt’altro che malvagia, trattandosi di persona remissiva e timorosa che aveva accettato, suo malgrado, la fine della convivenza con la L. con cui continuava ad avere rapporti corretti. Non solo, ma viene sottolineato che le ferite rinvenute sul corpo della donna erano da difesa, che gli ematomi possono esser stati causati da urti su superfici rigide, che il tutto è durato pochi minuti e che la morte è stata immediata, cosicché non può essere ritenuta configurabile l’aggravante della crudeltà e sevizie, per mancanza sia dell’aspetto morale della crudeltà che delle modalità dell’azione consistente in sevizie. 2.3. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione dell’articolo 62 numero 2 cod. penumero ed in ordine all’esclusione dell’infermità di mente. Sarebbero stati trascurati dai giudici di merito il figlicidio, l’overkilling, il disturbo borderline accertato, la contraddittorietà e la lacunosità della perizia del dott. Roncali, l’assenza di movente e l’indole dell’imputato il figlicidio è di per sé indice di malessere psichico, trattandosi di atto contro natura il CT di parte non aveva escluso disturbi, come erroneamente sostenuto, avendo evidenziato tratti abnormi di personalità e vulnerabilità psicofisica, integranti un’alterazione complessa di personalità, così come del resto confermato dai testi escussi che hanno tra l’altro rappresentato un cambiamento di umore del prevenuto nell’ultimo anno, a causa di un accumulo di ansie e frustrazioni per gli esiti infruttuosi della ricerca di collocazione lavorativa. Egli, proprio perché dissociato, avrebbe vissuto come provocatori anche la nuova relazione affettiva della L., ovvero il rifiuto opposto dalla stessa di aiutarlo onde fargli rinnovare tra l’altro il permesso di soggiorno. In proposito l’imputato ribadisce e argomentazioni avanzate in sede di appello per contestare la mancata rinnovazione di una perizia psichiatrica, mirata ad appurare quanto meno la riduzione delle sue facoltà mentali al momento del fatto. Considerato in diritto Il primo motivo di ricorso concernente la nullità del decreto di giudizio immediato, richiesto oltre il termine dei 180 giorni e in assenza dell’evidenza probatoria e dell’intervenuto interrogatorio dell’imputato, non ha alcun fondamento. Prima di tutto deve essere sottolineato che è ius recptum quello per cui un ipotetico errore nella scelta del rito non comporta nullità assoluta per violazione delle regole che presiedono all’iniziativa del pm nell’esercizio dell’azione penale. Nel caso di specie peraltro va sottolineato che alcun errore è addebitabile alla scelta del Pm di optare per il giudizio immediato, atteso che l’articolo 453 comma 1 bis cod. procomma penumero prevede tale tipo di procedura nei confronti di soggetti in stato di custodia cautelare, nella prospettiva di contenere i tempi processuali in una ragionevole durata, soprattutto quando incombe a privazione della libertà personale. Come è stato già chiarito da questa Corte, la numero 92 del 2008 ha introdotto con l’articolo 453 c.p.p., commi 1 bis e ter una nuova figura di giudizio immediato, autonoma da quella originaria, avente caratteristiche proprie e che riguarda i reati per i quali la persona sottoposta alle indagini si trovi in stato di custodia cautelare Cass. Sez VI, 20.1.2011, numero 7912 e sez. II. 7.2009, numero 38727 . La modifica normativa è finalizzata ad accelerare i tempi del procedimento, con l’imposizione al P.M. di completare velocemente le indagini quando l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare, col risultato di diminuire la possibilità di scarcerazioni per decorrenza dei termini di custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari. In tale ipotesi, non trova applicazione il presupposto dell’evidenza probatoria, richiesto ai fini della instaurazione del giudizio immediato ai sensi dell’articolo 453 c.p.p., comma 1, anche perché la privazione della libertà personale impone che si abbia riguardo ad un grave compendio indiziario. L’innesto che è stato operato con l’introduzione del comma 1 bis nel contesto della previsione dell’articolo 453 cod. procomma penumero , seppure non preveda la ricorrenza dei due presupposti indicati dal comma 1, non si allontana dalla logica di sistema dell’opzione processuale, poiché lo status cautelare del soggetto lascia ampiamente presupporre 1 che l’interessato sia stato interrogato o comunque sia stato posto nella condizione di esserlo e 2 che a suo carico siano stati raccolti gravi indizi di colpevolezza. Giova ricordare che l’interrogatorio di garanzia previsto dall’articolo 294 cod. procomma penumero è da ritenere equipollente all’interrogatorio ‘‘sui fatti dai quali emerge la evidenza della prova’’, previsto dall’articolo 453 cod. procomma penumero , per l’accesso al giudizio immediato da ultimo Sez. II, 18.1.2012, numero 17007 , atteso che il semplice nucleo indiziario sui quali è basata la misura restrittiva della libertà, ancorché suscettibile di incrementi con il prosieguo delle indagini, consente all’indagato di conoscere le linee portanti dell’accusa su cui è chiamato a difendersi. Dunque neppure può essere condiviso l’assunto difensivo secondo cui l’imputato sarebbe stato rinviato a giudizio immediato senza conoscere gli sviluppi successivi delle indagini, atteso che trovandosi in custodia cautelare, il materiale accusatorio doveva essere osteso ad ogni passaggio determinato da richieste in tema cautelare e quindi alcuna limitazione è apprezzabile neppure sotto detto profilo. Anche l’asserito mancato rispetto del termine di 180 giorni non è dirimente, poiché come è stato opinato da questa Corte, in precedenti condivisibili arresti, il termine di 180 giorni è stato definito nella stessa relazione al disegno di legge come ‘‘sollecitatorio’’ . E’ stato quindi ritenuto che anche per i termini stabiliti dall’articolo 453 c.p.p., comma 1 bis, introdotto con la novella del D.L. numero 92 del 2008, articolo 2, va fatta applicazione, per identità di ratio e di scopo, del principio di diritto già affermato da questa Corte, a proposito del termine di 90 giorni di cui all’articolo 454 c.p.p. Cass., 41579/2007, Cerami 26305/2004, Dentici . Ne consegue che, in presenza delle condizioni e dei presupposti previsti dall’articolo 453 c.p.p., primi tre commi, il termine di 180 giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposte alle indagini si trova in stato di custodia cautelare ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato’’ Sez. I, 9.12.2009, numero 3221 . Non può essere apprezzato in tale modus operandi, alcun profilo di contrasto con le norme costituzionali ed in particolare con i principi in tema di diritto di difesa, atteso che la Corte Costituzionale ha già avuto modo di sottolineare, con ordinanza del 10.7.2002, numero 371, che l’emissione del decreto di giudizio immediato, determinando l’inizio della fase processuale e costituendo il momento di passaggio al dibattimento, non potrebbe comunque prescindere dalla garanzia del contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, secondo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 111 Cost. e che i presupposti e la peculiare struttura del giudizio immediato non privano la difesa della possibilità di interloquire prima dell’emissione del decreto che dispone tale giudizio che, sotto il profilo della possibilità di esercitare il diritto di difesa, al fine di evitare l’emissione del decreto che dispone il giudizio immediato, non è pertanto ravvisabile alcuna violazione dei parametri costituzionali e che, quanto al riferimento all’articolo 111, secondo comma Cost., è stato affermato che il principio per il quale il processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, non è evocabile in relazione alle forme introduttive del giudizio che, per quanto concerne il giudizio immediato, trovano giustificazione nelle peculiari esigenze di celerità e di risparmio di risorse processuali che connotano tale rito alternativo v. ordinanza numero 203 del 2002 . Le censure avanzate dalla difesa con il primo motivo di ricorso sono quindi destituite di fondamento, non apprezzandosi alcuna formatura di norma processuale nel percorso seguito per l’esercizio dell’azione penale. Quanto all’intervenuto riconoscimento dell’aggravante di cui all’articolo 61 numero 4 cod. penumero , deve essere sottolineato che i giudici di merito hanno motivato la ricorrenza dell’aggravante solo in relazione al reato di cui al capo A omicidio della L. , con il corretto richiamo a dati di fatto evidenze rilevate sul corpo della donna in sede di autopsia di inequivoca valenza dimostrativa, quanto alla circostanza che prima di essere uccisa la donna venne selvaggiamente picchiata, seviziata in varie parti del corpo, placcata con una cinghia, prima dello scannamento, condotta che evidenziava una volontà di infierire per il gusto di martoriare. La valutazione operata è in linea con l’orientamento interpretativo di questa Corte, secondo cui l’aggravante ricorre proprio solo quando ri comunque il risultato di morte con l’adozione di tecniche particolarnente afflittive. A pagg. 10 ed 11 della sentenza di primo grado viene fatto espresso ed esclusivo riferimento al reato in danno alla L. L’aggravante non poteva del resto essere con questa motivazione ritenuta sussistente in relazione al reato sub B , data la diversità di presupposti essendo stata la figlioletta colpita alla gola con un solo colpo. Il reato sub B è stato considerato reato più grave, in ragione della valutazione in termini di minusvalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche, considerandolo aggravato anche dalla crudeltà, con ricadute sia in sede di giudizio di bilanciamento espresso e sia sulla quantificazione della pena. Per questa ragione su questo solo punto la sentenza deve essere annullata, con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della corte d’assise d’appello di Venezia. Non è fondato, e quindi va disatteso, l’ultimo motivo di impugnazione, quanto alla mancata concessione dell’attenuante della provocazione e quanto alla ritenuta imputabilità. Sull’attenuante negata, va subito precisato che è stato correttamente motivato dal giudice di primo grado che il dato che la vittima avesse manifestato la volontà di non riprendere la relazione con l’imputato non poteva elevarsi a fatto ingiusto, laddove per attenuare il disvalore di un’azione delittuosa da intendersi come reazione a fatto ingiusto deve aversi riguardo ad un comportamento contrario a norme giuridiche o a regole della civile convivenza e tale non può ritenersi la libera determinazione della L. di allontanarsi da chi era il padre di sua figlia. Quanto poi al vizio parziale di mente, ancora è stato ampiamente dato atto che il perito che in sede di incidente probatorio aveva sottoposto ad indagini psichiatrica l’imputato aveva escluso la sussistenza di profili patologici di rilievo, dato obiettivo che lo stesso consulente di parte non aveva contestato salvo sottolineare come il B. avesse un modesto quoziente intellettivo, fosse strutturalmente fragile per una storia di abbandono alle spalle e per la mancanza di integrazione sociale e che il fatto andava ben al di là di qualsivoglia ordine di grandezza in termini di gravità. Tutto ciò aveva portato il consulente a suggerire l’incidenza dei gravi disturbi di personalità sulla sua capacità, ma i giudici hanno correttamente ritenuto che la sussistente fragilità emotiva e culturale dell’imputato non potesse essere considerata di intensità e gravità tale da portare il medesimo a non rendersi conto del disvalore giuridico dall’atto posto in essere, atteso che gli aspetti sicuramente border line del suo carattere rimasero ad uno stato emotivo e passionale, che non ebbero ricadute in termini di imputabilità. Tale valutazione veniva correttamente ripresa dalla Corte territoriale, che escludeva una valenza di detti disturbi anche nella più aperta prospettiva della sentenza Sez. Unite Raso 9163/2005 , proprio a fronte di una indole violenta, già manifestata dal soggetto nel contesto familiare e della insuscettibilità dei profili di fragilità e vulnerabilità manifestati dall’imputato a rientrare anche nella nozione più ampia di ‘‘infermità’’ indicata nell’arresto menzionate. La motivazione che è stata fornita dai giudici di merito sulla non indispensabilità della rinnovazione della perizia che era stata richiesta è adeguata e non può quindi esser fatta oggetto di valutazione in detta sede, poiché afferente al meritum ca jsae. Sul punto è principio che è stato affermato da questa Corte e che si intende qu ribadire, quello secondo cui il rigetto della richiesta di parte di rinnovazione della perizia in seconde cure, ove congruamente e logicamente motivato dal giudice di appello, è incensurabile in Cassazione, trattandosi di giudizio di fatto Sez. III 25.2.1999, numero 4646 . La sentenza impugnata va quindi annullata nei limiti di cui è stato detto sopra. Non può farsi luogo alla liquidazione delle spese richieste dalla difesa delle parti civili, in quanto è pervenuta a questa corte una breve memoria, a mezzo fax, in cui erano contenute le rassegnate conclusioni e la richiesta di rifusione delle spese è orientamento di questa corte, a cui si intende aderire, quello secondo il quale ‘‘non sussistono i presupposti per la condanna dell’imputato al rimborso delle spese in favore delle parti civili, in quanto non competono nel giudizio per cassazione le spese processuali alla parte civile che - come avvenuto nella specie -, dopo avere depositato memorie, non intervenga nella discussione in pubblica udienza nel giudizio per cassazione, come desumibile in virtù del rinvio disposto dall’articolo 168 disp. att. cod procomma penumero alle norme che disciplinano la condanna dell’imputato soccombente alle spese in favore della parte civile Sez. 3, Sentenza numero 35298 del 26/06/2003 dep. 09/09/2003, imp. Ranzato, Rv. 226165 ’’. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo B , limitatamente all’aggravante della crudeltà ed al giudizio di bilanciamento tra le circostanze e rinvia per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della corte d’assise d’appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso.