Il reato previsto dall’articolo 10 ter, d.lgs. numero 74/2000, presuppone che il debito IVA risulti dalla stessa dichiarazione del contribuente.
Ove invece da tale dichiarazione non risulti alcun debito, non è integrata la condotta di cui all’articolo 10 ter. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 40361, depositata il 15 ottobre 2012. Sequestro per equivalente un universo in continua espansione. Alcuni anni orsono un insigne giurista nel tentare di delimitare il concetto del danno risarcibile in diritto civile lo aveva paragonato ad un universo in lenta, costante, inarrestabile espansione, dall’originario big bang . Ma come ad ogni rivoluzione segue una contro-rivoluzione ed ad ogni riforma una contro-riforma, così anche l’incessante dilatarsi del danno risarcibile ha suscitato una reazione prima giurisprudenziale, poi legislativa volta a contenerne e limitarne la progressione. Piace pensare che la sentenza che si annota rappresenti l’ incipit di quella contro-riforma volta ad arginare l’apparentemente inarrestabile dilatarsi dell’utilizzo del sequestro per equivalente quale arma letale contro l’evasione fiscale, penalmente rilevante. Il caso. A seguito di denuncia presentata dalla Agenzia delle Entrate per violazione dell’articolo 10 ter, d.lgs. numero 74/2000 veniva disposto dal GIP il sequestro per equivalente, finalizzato alla confisca ex articolo 322 ter c.p., di beni e somme di denaro appartenenti alla società ed al legale rappresentate della medesima. Avverso il decreto di sequestro proponeva riesame l’indagato deducendo come, in realtà, dalle dichiarazioni IVA dal medesimo presentate risultasse invece un credito IVA e non un debito superiore alla soglia di € 50.000,00 per anno, che ne determina la penale rilevanza. Il Tribunale del Riesame, nel confermare l’impugnato provvedimento, evidenziava come l’Agenzia delle Entrate non avesse acceduto alla impostazione del ricorrente in ordine alla sussistenza ed entità di un proprio credito IVA verso l’Erario e che la questione tributaria della sussistenza o meno di tale credito vantato dal ricorrente non poteva essere affrontata e risolta in quella sede. Nel proporre l’impugnazione alla Suprema Corte, il ricorrente lamentava come dalle dichiarazioni IVA relative agli anni 2006 e 2007, prodotte in copia al Tribunale del Riesame, emergesse non un debito, ma un credito IVA, che tuttavia non era stato riconosciuto dalla Agenzia delle Entrate che, nell’operare il controllo sulla dichiarazione IVA relativa all’anno 2007, aveva determinato in oltre € 70.000,00 l’imposta dovuta, con conseguente denuncia per violazione dell’articolo 10 ter d.lgs. numero 74/2000. Nel dettaglio, secondo quanto ricostruito dal ricorrente, la dichiarazione IVA relativa all’anno 2007 sarebbe stata presentata tardivamente 24 maggio 2008 dal dichiarante e per tale ragione il credito IVA del medesimo, pur risultante dalla dichiarazione, non sarebbe stato ritenuto sussistente dalla Agenzia delle Entrate. Il Tribunale del Riesame aveva risolto la questione ritenendo di non poter affrontare e decidere la problematica tributaria. La Suprema Corte, operando un vero e proprio capovolgimento di fronte, bene assolve alla propria funzione nomofilattica, ponendo al centro ed a fondamento della propria decisione, in ossequio al principio costituzionale di tassatività della norma penale, il dato letterale di cui all’articolo 10 ter d.lgs. numero 74/2000. Omesso versamento IVA . Rammentano i giudici della Suprema Corte che l’articolo 10 ter , d.lgs. numero 74/2000 sanziona il fatto di chi non versa l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. La fattispecie si perfeziona, per costante giurisprudenza, nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo ed è dunque richiesto, al fine della consumazione del delitto in esame, che l’omesso versamento si protragga sino al 27 dicembre dell’anno successivo. Nel caso in esame, evidenzia la Corte, si pone il problema di stabilire se la tardività della dichiarazione IVA faccia decadere o no il contribuente dal diritto alla detrazione IVA, ma a prescindere da tale questione appare evidente come nel caso de quo non risultasse dalla dichiarazione presentata dal contribuente alcun debito, ma anzi un credito. La fattispecie di cui all’articolo 10 ter, d.lgs 74/2000, invece, richiede che il debito IVA risulti dalla stessa dichiarazione del contribuente, per cui la Corte, altro non può fare che non annullare con rinvio l’impugnato decreto, non risultando la condotta integrata nel caso de quo. Dalle origini del sequestro per equivalente Dietro l'introduzione, con L. 29 settembre 2000, numero 300, dell'articolo 322 ter c.p. emerge chiara l'idea, non del tutto ingiustificata, che certi delitti contro la P.A. costituiscano espressione di una criminalità incentrata essenzialmente sul profitto. In effetti, i reati richiamati nella disposizione da 314 a 321 e 322 bis c.p. ruotano tutti su condotte illecite nella cui tipicità è, in qualche modo, implicito l'ottenimento, o quantomeno il perseguimento, di un indebito profitto, o vantaggio, privato a scapito della P.A. Ragionevole, pertanto, come scelta politico-criminale, l’opzione di rendere obbligatoria in tali ipotesi la confisca del profitto o del prezzo del reato, o del loro equivalente, sicchè la minaccia della risposta penale a questi tipi di reato risulti volta a neutralizzare le ragioni - di profitto privato - per cui li si commette. Si tratta, peraltro, di una scelta in senso lato imposta da accordi internazionali alla cui stipulazione ha preso parte anche l'Italia l'articolo 3, comma 3, L. numero 300/2000, Convenzione OCSE, infatti, obbligava le Parti all'adozione di «misure necessarie per assicurare che lo strumento e i prodotti della corruzione di un pubblico agente straniero o beni di valore equivalente a quello di tali prodotti possano essere oggetto di sequestro o di confisca» e analoga indicazione era contenuta nell’articolo 5, Prot.int. 19 giugno 1997, secondo Protocollo alla Convenzione PIF . Come noto il campo di applicazione della confisca per equivalente si è di recente ampliato, in forza del dettato dell’articolo 1, comma 143, L. numero 244/2007 Finanziaria 2008 , secondo cui «nei casi di cui agli articolo 2, 3, 4, 5, 8, 10- bis , 10- ter , 10- quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322- ter del codice penale» al diritto penale tributario. La ratio dell’intervento legislativo, in detta materia, è nata dalla pratica constatazione della sostanziale inoperatività delle ordinarie ipotesi di confisca ai reati tributari. Ciò in quanto sia la confisca facoltativa, sia quella obbligatoria, nel presupporre l’accertamento di un necessario rapporto di pertinenzialità tra prodotto, profitto e prezzo, da un lato, e reato, dall’altro, hanno trovato difficile applicazione nei reati tributari, perlomeno in tutte le ipotesi in cui i vantaggi illeciti fossero costituiti da un risparmio di spese dovute a titolo di mancato versamento nella maggior parte dei casi , ovvero di rimborso, qualora, ad esempio, nella dichiarazione fraudolenta fosse esposto un credito in tutto o in parte inesistente. E ciò in quanto tale genere di profitti, lato sensu , assai difficilmente potevano adattarsi al concetto di provenienza da reato dal momento che coincidevano con beni già presenti nel patrimonio del reo. al suo ampliamento ed il richiamo ai principi costituzionali . Com’è noto, si va consolidando un orientamento giurisprudenziale, peraltro fatto proprio anche dalla pronuncia in esame, che ammette la sequestrabilità/confiscabilità, non solo dei beni appartenenti all’amministratore, ma anche di quelli della società beneficiaria del reato tributario, indipendentemente dalla applicabilità del d.lgs. numero 231/2001. Ciò appare, secondo un certo orientamento dottrinario, discutibile in quanto importa la confisca di beni appartenenti a soggetto estraneo al reato operando una non consentita applicazione analogica in malam partem del dettato dell’articolo 322 ter c.p., con conseguente vulnus del principio sancito dall’articolo 25, comma 2, Cost Se, invero, tale argomento può essere superato sulla base del rilievo che l’ente in quanto beneficiario dell’evasione non è soggetto estraneo al reato, appare assolutamente imprescindibile, come accaduto nel caso in esame, che l’operatività del sequestro per equivalente, tanto ampia, sia almeno ancorata ad un rigoroso accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti dei reati presupposti, in difetto del quale la misura ablativa non potrà e non dovrà trovare applicazione. Sotto tale profilo la pronuncia in esame appare condivisibile e degna di menzione ed adeguato rilievo.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 settembre - 15 ottobre 2012, numero 40361 Presidente Mannino – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il decreto di sequestro preventivo in data 28.11.2011, il GIP presso il tribunale di Brindisi ha ipotizzato a carico di F.P.E. il reato di cui all'articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 perché quale legale rappresentante della S.r.l. CASA FACILE corrente in XXXXXXXX, non versava l'IVA per un importo di Euro 70.362,00 dovuta in base alla dichiarazione annuale per il XXXX, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo in OMISSIS , data di scadenza del termine per il versamento dell'acconto per il periodo d'imposta XXXX. Con tale provvedimento - adottato ex articolo 322 ter c.p. e 1 comma 143 L. 24.12.2007 numero 244 - è stato disposto il sequestro preventivo di tutte le somme di denaro depositate sui conti correnti e/o altri rapporti bancari, nonché sui beni mobili registrati intestati al F. e/o alla S.r.l. CASA FACILE quali equivalente del profitto del reato contestato, da individuarsi nella somma di Euro 70.362,00 dato dall'importo dell'IVA non versato. Il provvedimento di sequestro è stato eseguito dal P.M., fino a concorrenza della somma indicata con apposizione del vincolo reale, sui seguenti beni ciclomotore APRILIA SCARABEO con targa XXXXXXX, intestato al F. ciclomotore APRILIA SCARABEO, con targa XXXXXXXX, intestato al F. c/c numero XXXXXX acceso presso la BANCA POPOLARE DI BARI, Filiale di XXXXXXXX, con saldo attivo di Euro 122,63 c/c numero omissis acceso presso la BANCA APULIA s.p.a., Filiale di XXXXXXXX, con saldo attivo di Euro 5,10 oggetti in oro contenuti in una cassetta di sicurezza accesa presso la BANCA APULIA s.p.a. e cointestata con M.R. il valore complessivo di tali beni è stato stimato - da un c.t. ora.1.0 - in complessivo Euro 15.675,00 il sequestro, tuttavia, è stato eseguito sui beni per un valore di Euro 7.838,00, pari al 50% del valore complessivo innanzi indicato. 2. Il tribunale di Brindisi con ordinanza del 24 gennaio 2012 ha rigettato la richiesta di riesame e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Sussistono tutti i presupposti di legge per l'applicazione della misura cautelare reale. Quanto al fumus commissi delicti, il tribunale ha osservato che, l'articolo 10 ter del D.lgs. numero 74/2000 prevede una fattispecie delittuosa diretta a sanzionare l'omesso versamento dell’IVA dovuta in base alle risultanze della dichiarazione annuale. A tale nuova fattispecie è estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente articolo 10 bis. Il comportamento del soggetto che non versa l'IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è, quindi, assimilato dal legislatore, sotto il profilo sanzionatolo, a quello del sostituto d'imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Gli elementi della fattispecie risultano dalla denuncia di reato trasmessa dalla Agenzia delle entrate il 20.1.2011 a carico del F. , nella qualità di legale rappresentante della CASA FACILE s.r.l., da cui si evince che, a seguito del controllo effettuato ai sensi dell'articolo 54 bis del D.P.R. 633/72 della dichiarazione IVA periodo di imposta dal omissis , il contribuente non risulta aver versato entro il omissis l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per l'ammontare di 70,362,00 e dunque in misura superiore alla soglia di Euro 50.000, penalmente rilevante. Il tribunale ha in particolare rigettato la tesi della difesa istante che, sul punto, aveva dedotto che con riferimento agli anni di imposta 2006 e 2007 il F. vantava un credito IVA pari, rispettivamente, ad Euro 70.362 ed Euro 16.762,00, come da dichiarazione IVA allegate in copia dunque, secondo il ricorrente, l'Agenzia delle Entrate sarebbe incorsa in errore nella determinazione dell'imposta evasa non avendo tenuto conto di tale credito. Però - osservava il tribunale - l'Agenzia delle Entrate non aveva ritenuto di accedere alla prospettazione del contribuente circa l'esistenza e l'entità del credito IVA asseritamente vantato, tant’è che aveva stimato il debito erariale tenendo conto dell'imposta e del minor credito da versare ed ha aggiunto il tribunale che non era quella la sede per valutare l'eventuale erroneità del calcolo operato dall’Agenzia delle Entrate. 3. Avverso questa pronuncia l'indagato propone ricorso per cassazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato sul rilievo del ricorrente che deduce che l'agenzia delle entrate, nell’effettuare il controllo della dichiarazione Iva inerente il periodo di imposta 2007 e nel determinare in Euro 70.362 l'ammontare dell'imposta asseritamente dovuta, aveva sommato tra loro importi che nella dichiarazione del contribuente erano invece riferiti ad operazioni diverse tra loro. In sostanza il ricorrente contesta il presupposto di fatto del reato ascrittogli. 2. Il ricorso è fondato. Va premesso che l'articolo 10 ter d.lgs. 10 marzo 2000 numero 74 prevede come reato il fatto di chi non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo. L'articolo 1, comma 143, L. numero 244 del 2007, ha poi previsto l'applicabilità della confisca per equivalente di cui all'articolo 322-ter cod. penumero ai reati di cui agli articolo 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater ed 11 del D. Lgs. numero 74 del 2000 disposizione che peraltro non opera retroattivamente, poiché all'istituto, che presenta una natura del tutto peculiare, non è estensibile la regola dettata dall'articolo 200 c.p., in forza della quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Come questa Corte ha già affermato Cass., sez. 3, 14/10/2010 -3/11/2010 il reato di omesso versamento dell'IVA di cui al cit. articolo 10 ter, D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste. Quindi è necessario che l'omissione del versamento dell'IVA dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento articolo 6, comma secondo, della legge 29 dicembre 1990, numero 405 . Nella specie il ricorrente non contesta l'applicabilità della confisca dell'equivalente in vista della quale è stato adottata la misura cautelare del sequestro preventivo. Il ricorrente nega invece il presupposto di fatto del reato contestatogli omesso versamento dell'Iva . Sostiene infatti che dalla dichiarazione IVA per il 2007 risulta un credito - e non un già debito - di pari importo Euro 70.362,00 . Nell'ordinanza impugnata il tribunale si fa carico di questa argomentazione difensiva e riferisce altresì che essa si fonda sulla dichiarazione Iva allegata in copia al ricorso per riesame. Il tribunale però non attesta che dalla dichiarazione Iva risulterebbe invece un debito e non già un credito per l'indagato ricorrente. Ma afferma che l'agenzia delle entrate ha disconosciuto il credito Iva. Nella relazione allegata al ricorso per cassazione è anche ipotizzata la ragione per cui il credito Iva sarebbe stato disconosciuto dall'agenzia delle entrate ciò dipenderebbe dalla circostanza che la dichiarazione Iva per l'anno 2007 era stata presentata in data 24 maggio 2008, ossia tardivamente. Si pone quindi la questione, di natura tributaria, se la tardività della dichiarazione Iva faccia decadere, o no, il contribuente dal diritto alla detrazione IVA. Ciò posto, non è sufficiente allora l'affermazione - meramente assertiva - del tribunale di sostanziale non liquet. Il reato previsto dall'articolo 10 ter d.lgs. numero 74 del 2000 presuppone che il debito Iva risulti dalla stessa dichiarazione del contribuente. Ove invece da tale dichiarazione non risulti alcun debito - e nella specie risulterebbe anzi un credito della società di cui rappresentante legale è l'indagato - non è integrata la condotta di cui all'articolo 10 ter. 3. Pertanto il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Brindisi per riesame del presupposto di fatto del reato. P.Q.M. la Corte annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Brindisi.