L’epiteto utilizzato all’indirizzo di un uomo deve essere ancora considerato offensivo, nonostante l’evoluzione della società non ci si può limitare a considerarlo come espressivo di disprezzo. E comunque il presunto scarso livello culturale dell’offensore non può rendere la lesione all’onore meno grave.
Né la rivendicazione di una presunta bassa levatura culturale né il richiamo a una interpretazione ‘aggiornata’ sul ‘peso’ da attribuire alle parole possono modificare la valutazione sui reati relativi alle offese rivolte all’onore della persona. Apostrofare un uomo col termine ‘str ’, quindi, rende assolutamente legittimo l’addebito dell’ingiuria Cassazione, sentenza numero 19289, quinta sezione penale, depositata oggi . Contesto. Chiarissima la linea seguita sia in primo che in secondo grado per i giudici, difatti, l’epiteto rivolto da un giovane a un anziano è da censurare. Nessun dubbio, quindi, sulla condanna. Perché il ‘peso’ della parola è evidente. Né, peraltro, è credibile – perché non corredata da elementi concreti – l’ipotesi, avanzata dal giovane, di essersi recato fuori città, assieme ad alcuni amici, nei giorni della presunta aggressione verbale nei confronti dell’anziano. Peraltro, sempre secondo i giudici, non è da trascurare il contesto comune delle due persone, ossia un condominio, con relativi, complicati rapporti Il bene dell’onore. Ma è ancora sulla «valenza offensiva» attribuita che batte il giovane, attraverso il proprio legale, col ricorso proposto in Cassazione. La tesi difensiva è chiara, almeno secondo il punto di vista dell’uomo finito sotto accusa il termine utilizzato «esprimerebbe meno dissenso, anche alla luce del basso grado culturale di chi l’aveva pronunciato». Visione sensata? Assolutamente no, per i giudici di Cassazione, i quali confermano la condanna. Difatti, l’offesa costituita dall’epiteto ‘str ’ non può essere attenuata da una presunta «bassa levatura culturale», a maggior ragione tenendo presente il quadro di riferimento costituito da «contrasti condominiali». Eppoi, pur tenendo conto dei possibili aggiornamenti sul ‘peso’ delle parole, alla luce dell’evoluzione della società, esistono, comunque, «limiti invalicabili a tutela della dignità umana» e «alcune modalità espressive» sono oggettivamente, «per la carica di disprezzo che esse manifestano e per la riconoscibile volontà di umiliare il destinatario», da ritenere «offensive e inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciato».
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 aprile – 21 maggio, numero 19289 Presidente Sandrelli – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto P.L., ritenuto, con coppia sentenza conforme, responsabile di ingiuria nei confronti di O.D., ricorre tramite il difensore, deducendo travisamento dei fatti e manifesta illogicità della motivazione per non essere stato ritenuto provato l’alibi attraverso la testimonianza di due suoi amici, nonché travisamento dei fatti ed erronea applicazione della legge penale per essersi attribuita valenza offensiva ad un termine esprimente invece dissenso, anche alla luce del basso grado culturale di chi l’aveva pronunciata. Considerato in diritto Il ricorso é infondato e va disatteso. La sentenze impugnata supera indenne la censura di travisamento dei fatti e di manifesta illogicità della motivazione sul punto della prova di alibi, a fronte di plausibile motivazione, da un lato, in ordine all’assenza di qualunque dato documentale a sostegno della trasferta milanese dell’imputato, in compagnia di due amici, per assistere ad un importante evento sportivo, dall’altro, e comunque, in punto di radicale inattendibilità, per manifesta illogicità, della versione secondo cui i tre sarebbero partiti, per recarsi a Milano, addirittura alle sette del mattino del giorno precedente a quello in cui, per di più in orario serale, si sarebbe svolta la competizione alla quale dovevano presenziare. Senza contare la valorizzazione, da parte dei giudici di merito, del referto medico, rilasciato alla p.o. il giorno seguente al fatto, a cui il D. faceva riferimento all’ingiuria subita il giorno prima. Né presenta maggior fondamento la doglianza di travisamento dei fatti ed erronea applicazione della legge penale per essersi attribuita valenza offensiva ad un termine ‘stronzo’ che, secondo il ricorrente, esprimerebbe mero dissenso, anche alla luce del basso grado culturale di chi l’aveva pronunciato. Invero, premesso che tra le parti vi erano contrasti inerenti a rapporti condominiali la p.o., poi defunta, aveva presentato un esposto contro L. proprio per tali motivi , non sembra affatto a questa certe che l’intrinseca valenza offensiva del termine usato, dovuta alla sua forza evocativa, possa cedere a fronte non solo di una, meramente asserita, bassa levatura culturale del prevenuto, ma anche di un contesto rappresentato da rimostranze dirette da un uomo giovane, l’imputato, ad anziano ultra settantenne, per motivi di contrasti condominiali. Senza contare che, secondo costante indirizzo giurisprudenziale di legittimità, per quanto, al fine di accertare se sia stato leso il bene protetto dall’articolo 594 cod. penumero , sia necessario fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore ed al contesto nel quale la frase ingiuriosa è stata pronunciata, esistono, tuttavia, limiti invalicabili, posti dall’articolo 2 Cost., a tutela della dignità umana, di guisa che alcune modalità espressive - tra le quali rientra indubbiamente la parola ‘stronzo’, sono oggettivamente e dunque per l’intrinseca carica di disprezzo e dileggio che esse manifestano e/o per la riconoscibile volontà di umiliare il destinatario da considerarsi offensive e, quindi inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciate, tranne che siano riconoscibilmente utilizzate ioci causa Cass. 11632/2008, Rv. 239479 . Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.