La copertura di una scala esterna, già esistente, non modifica in alcun modo la sagoma del fabbricato nessuna violazione delle distanze dalla strada vicinale
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 14417/13, depositata il 27 marzo. Il caso. Una tettoia a copertura della scala di accesso al piano seminterrato di un edificio realizzata, però, in parziale difformità dalla DIA, almeno secondo il Gip scatta così la condanna penale del direttore dei lavori. A nulla serve la demolizione della stessa, anche perché, ha osservato il giudice, era stata alterata la sagoma dell’edificio, e comunque violata le NTA del PRG perché «non poteva equipararsi ad una pensilina» e quindi avrebbe dovuto rispettare la distanza di 10 metri dalla strada vicinale. Scala coperta. Il ricorso per cassazione viene presentato dal direttore dei lavori, il quale sostiene che l’intervento era consistito unicamente nella copertura della struttura già esistente, nello specifico 3 muri perimetrali. Il preesistente filo di fabbricato non è stato variato. Di conseguenza, secondo il ricorrente, non era stata modificata nessuna sagoma e non erano state violate le distanze dalla strada vicinale, perché è rimasto invariato il preesistente filo di fabbricazione. Questa tesi viene confermata dai giudici di Cassazione i quali, in primis, osservano che con il capo di imputazione non risulta contestato il cambiamento della sagoma, ma unicamente la violazione delle distanze dalla strada vicinale. La scala già esisteva. Ma nella specie – precisa la Cassazione - «la scala già esisteva, compresi i muri perimetrali, e l’opera è consistita unicamente nel coprire con un tetto una struttura muraria già esistente». Inoltre – conclude la S.C. – non può ritenersi alterata la sagoma, «dal momento che dalla sentenza impugnata non risultano realizzati, rispetto all’edificio preesistente, nuovi aggetti o sporti o nuove strutture perimetrali, bensì solo la copertura di una preesistente struttura». Per questo la sentenza impugnata viene annullata senza rinvio.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 febbraio – 27 marzo 2013, numero 14417 Presidente Mannino – Relatore Franco Svolgimento del processo Con la sentenza in epigrafe il Gip del tribunale di Cuneo dichiarò C.M. colpevole del reato di cui all'articolo 44, lett. a , d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, per avere, quale direttore dei lavori, realizzato, in parziale difformità dalla DIA, una tettoia a copertura della scala di accesso al piano seminterrato, condannandolo alla pena dell'ammenda ritenuta di giustizia. Osservò il giudice che la tettoia in questione era stata poi demolita che essa aveva alterato la sagoma dell'edificio, e comunque che violava le NTA del PRG perché non poteva equipararsi ad una pensilina e quindi avrebbe dovuto rispettare la distanza di m. 10 dalla strada vicinale. L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione dell'articolo 44, lett. a , d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, e dell'articolo 87 delle NTA. Osserva che la scala di accesso dall'esterno al piano interrato era già esistente e che la stessa era contornata da tre muri perimetrali. L'intervento era consistito unicamente nella copertura di questa struttura. Pertanto non era stata modificata la sagoma e non erano state violate le distanze dalla strada vicinale, perché il preesistente filo di fabbricazione non è stato variato. Motivi della decisione Il ricorso è fondato. Dalla sentenza impugnata risulta - che esisteva già una scala di accesso al piano interrato situata all'esterno dell'edificio principale sul lato sud - che la scala era contornata da tre muri perimetrali, ma priva di copertura - che l'intervento in questione è consistito nell'apporre un tetto a copertura di questa struttura muraria già esistente - che la sua situazione anteriore corrisponde a quella attuale conseguente alla demolizione della struttura di copertura. Il giudice ha giustamente ritenuto erronea la tesi del responsabile dell'ufficio tecnico comunale, secondo cui l'intervento andrebbe qualificato come “ampliamento” sicché mancherebbe la distanza di 10 metri dalla strada vicinale, come prescritto dall'articolo 87, comma 1, lett. J, delle NTA del comune di Fossano. Il giudice, peraltro, ha ritenuto ugualmente configurabile il reato innanzitutto perché sarebbe mutata la sagoma dell'edificio, come risulterebbe anche da due sentenze di questa Corte. Sennonché, va in primo luogo rilevato che con il capo di imputazione non risulta contestato il cambiamento di sagoma, ma unicamente la violazione delle distanze dalla strada vicinale. In secondo luogo, una delle due massime citate Sez. 3, 9.2.1998, numero 3849, Maffullo, m. 210647 - dopo aver affermato il principio che “La sagoma di una costruzione concerne il contorno che viene ad assumere l'edificio ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti rientrano nella nozione di sagoma e sono sottoposte al regime delle c.d. varianti in corso d'opera” - si riferisce alla realizzazione ex novo di una scala esterna di accesso al primo piano, che pertanto aveva alterato la sagoma dell'edificio ed impedito la sanatoria, integrando l'ipotesi della parziale difformità. Nella specie, invece, la scala già esisteva, compresi i muri perimetrali e l'opera è consistita unicamente nel coprire con un tetto una struttura muraria già esistente. In terzo luogo, la seconda massima citata Sez. 3, 9.2.2006, numero 8303, Nardini, m. 233563 ribadisce il principio che “In tema di disciplina edilizia, rientrano nel concetto di sagoma di una costruzione tutte le strutture perimetrali come gli aggetti e gli sporti, restandone escluse le sole aperture che non prevedono superfici sporgenti, soltanto per le quali è consentita la procedura della denunzia di inizio attività per varianti in corso d'opera”. Nella specie, pertanto, non si comprende come possa ritenersi alterata la sagoma, dal momento che dalla sentenza impugnata non risultano realizzati, rispetto all'edificio preesistente, nuovi aggetti o sporti o nuove strutture perimetrali, bensì solo la copertura di una preesistente struttura. Del resto, il giudice non insiste sulla non contestata alterazione della sagoma e sembra fondare la sua decisione unicamente sulla violazione dell'articolo 87, comma 1, lett. j, della NTA del PRG, secondo il quale la distanza rispetto alla strada vicinale di almeno 10 metri, va riferita al filo di fabbricazione, il quale è dato dal perimetro esterno delle pareti della costruzione, con esclusione degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline, dei balconi e delle altre analoghe opere, aggettanti per non più di m. 1,50, mentre sono inclusi nel perimetro le verande, gli elementi portanti in risalto, gli spazi porticati, i vani semiaperti di scale e ascensori. Il giudice ha quindi ritenuto che l'opera in questione, ai fini del calcolo della distanza della costruzione dal ciglio stradale, andava “inclusa nel perimetro esterno, non essendo la stessa equiparabile a una semplice pensilina , posto che poggia su pilastri infissi nel suolo”. Sennonché, giustamente la difesa osserva che il giudice non ha considerato che tale perimetro esterno già preesisteva, dal momento che i muri esterni della scala non erano stati oggetto d'intervento, che era consistito unicamente nella posa del tetto. Di conseguenza, proprio sulla base della norma regolamentare richiamata dal giudice, deve concludersi nel senso che il preesistente filo di fabbricazione non fu variato. E del resto, la norma regolamentare citata include espressamente nel perimetro esterno “i vani semi-aperti di scale e ascensori”. Nella specie risulta appunto già esistente un vano chiuso su tre lati e privo di copertura, che dunque costituiva vano semiaperto e che pertanto era incluso nel perimetro esterno della costruzione. L'opera contestata consiste appunto nella realizzazione del tetto di questo vano semiaperto, che non aggetta certamente per più di 1,5 m. e che di conseguenza non è computabile ai fini della distanza. In conclusione, è chiaro l'errore in cui è incorso il giudice nel ritenere che l'intervento sia consistito nella realizzazione di una tettoia, la quale è un manufatto composto da una struttura di sostegno pilastri o muri e da un tetto di copertura. Nel caso in esame, invece, la struttura di sostegno era già preesistente e costituiva a tutti gli effetti “perimetro esterno” ai sensi dell'articolo 16 della NTA del PRG del comune di Fossano. L'apposizione di un tetto aggettante per meno di m. 1,50 non ha perciò variato il perimetro esterno e dunque non ha violato la distanza di m. 10 dalla adiacente strada vicinale. Risulta quindi evidente che la violazione contestata con il capo di imputazione non sussiste. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.