Vestititi bruciati in lavanderia, ma l’incendio è opera di vandali. Risarcimento a rischio

Valutazione fondata sul contratto d’opera tra esercizio commerciale e cliente. Fuori tempo massimo il cambiamento di causa petendi operato dal giudice d’appello, che aveva valutato il peso della responsabilità extracontrattuale. Ecco perché il rimborso riconosciuto in un primo momento viene rimesso in discussione.

Capi d’abbigliamento portati in lavanderia. Poi, a distanza di qualche giorno, la sorpresa un incendio – provocato da alcuni vandali – ha distrutto il locale, e, ovviamente, anche il vestiario. Legittimo rimborsare il cliente? Per decidere va fatta chiarezza sulla qualificazione del rapporto contrattuale. E la mutatio proposta dal giudice d’Appello fa a pugni con «la qualificazione data dal giudice di primo grado e accettata dalle parti e ribadita anche con l’atto di impugnazione». Ecco perché il risarcimento – come da Cassazione, sentenza numero 1619, terza sezione civile, depositata oggi – viene messo fortemente in discussione. Vestiti e risarcimento bruciati? Pur col regolare tagliando della lavanderia in mano, rimane poco da fare i vestiti, consegnati qualche giorno prima, sono andati distrutti, bruciati da un incendio. A causarlo alcuni vandali. E proprio per questo il Giudice di pace respinge la richiesta del cliente. A ribaltare la situazione è il Tribunale che condanna la società titolare della lavanderia a risarcire il cliente 1.500 euro, oltre spese di lite. Pomo della discordia, però, resta la valutazione dei fatti, in merito, ovviamente, alla responsabilità della lavanderia alla luce di un evento, l’incendio, comunque provocato da terzi, ovvero alcuni vandali E su questo aspetto insiste la società titolare della lavanderia nel ricorso in Cassazione. Causa petendi. Su un dato, comunque, non vi sono dubbi il rapporto tra lavanderia e cliente è qualificabile come «contratto d’opera lavaggio di capi di abbigliamento affidati, per l’occasione, a soggetto qualificato » che include «l’obbligazione di custodire la merce fino alla riconsegna nei modi dovuti». Quindi, «risponde di inadempimento all’accessoria obbligazione di custodia, colui che si è obbligato alla relativa prestazione tipica del contratto concluso, qualora la merce consegnata va perduta o distrutta». Tuttavia, resta una via d’uscita per il depositario – la lavanderia, in questo caso –, dimostrare cioè che «la perdita o la distruzione è avvenuta per causa a lui non imputabile». Su tale qualificazione del rapporto «le parti hanno accettato il contraddittorio», sottolineano i giudici di Cassazione. Ciò comporta che «erroneamente il giudice d’appello abbia argomentato e statuito circa una responsabilità extracontrattuale», che era stata «dedotta solo nella comparsa conclusionale» presentata, in Appello, dal cliente. Quindi, «solo nella comparsa conclusionale vi fu un mutamento di causa petendi». Per questo motivo, il ricorso della società titolare della lavanderia viene accolto. E la questione viene rimessa nuovamente alla valutazione del Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 dicembre 2011 – 3 febbraio 2012, numero 1619 Presidente Trifone – Relatore Ucella Svolgimento del processo Il Tribunale di Roma, quale giudice di appello, il 4 luglio 2007 condannava la società Euoclean al risarcimento dei danni subiti da C.C., nella misura di euro 1.500, oltre spese di lite, che aveva consegnati alcuni abiti alla stessa per la pulitura e che erano andati distrutti a causa di un incendio verificatosi nel locale di lavanderia, dovuto ad atti vandalici. Il Tribunale riformava integralmente la decisione del Giudice di Pace di Roma che aveva respinto la domanda del C., argomentando che fosse difficile definire un incendio provocato da atti vandalici come atto fortuito. Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la Euroclean s.r.l. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso P.M.P. erede del C., che ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. – Osserva il Collegio che ai fini metodologici, va considerato che dalle fasi di merito si evince in modo in equivoco che il rapporto giuridico intercorso tra le parti debba qualificarsi come contratto d’opera, cui è accessoria l’obbligazione di deposito. E ciò è tanto più vero che con l’unico motivo di appello il C. censurava la sentenza di primo grado in questi termini “violazione e falsa applicazione degli articolo 1218, 1256, 1177, 2697 c.c.”. Infatti, l’appellante precisava che la Euroclean non aveva usato la diligenza qualificata di cui all’articolo 1176 comma 2 c.c. e, comunque, ex articolo 1256 c.c., non trattandosi di risarcimento in forma specifica, l’obbligazione poteva e doveva essere estinta per equivalente in danaro v.p. 4 atto di appello, riportato a p.8 ricorso e non disconosciuta in questa sede dal resistente . 2. – Ciò posto, è evidente, altresì, che ci si trova dinanzi ad un contratto d’opera lavaggio di capi di abbigliamento, affidati per l’occasione a soggetto qualificato , che include ai sensi dell’articolo 1177 c.c. l’obbligazione di custodire la merce fino alla riconsegna nei modi dovuti, per cui risponde di inadempimento all’accessoria obbligazione di custodia colui che si è obbligato alla relativa prestazione tipica del contratto concluso,qualora la merce consegnata va perduta o distrutta. Infatti, in tal caso, il depositario è tenuto a provare, se la cosa va perduta o distrutta, di avere osservato la diligenza del buon padre di famiglia, ossia che la perdita o la distruzione è avvenuta per causa a lui non imputabile giurisprudenza costante di recente Cass. numero 6084/10 Cass.numero 20995/03 . La qualificazione del rapporto su cui le parti hanno accettato il contraddittorio, per come emerge dagli atti di causa, induce a sottolineare che erroneamente il giudice dell’appello abbia argomentato e statuito nel caso in esame, circa una responsabilità extracontrattuale che era stata dedotta solo nella comparsa conclusionale dall’appellante C. In tal modo argomentando, e di riflesso statuendo, il giudice a quo ha dato credito ad una vera e propria mutatio libelli. Infatti, se corrisponde al vero che il giudice del merito ha il potere di interpretare la domanda, al di là della formulazione delle parti, è ormai jus receptum che questo potere va coordinato con il sistema tipico della impugnazione e, quindi, in ragione dell’effetto devolutivo della stessa, deve ritenersi precluso al giudice di secondo grado di mutare la qualificazione data dal giudice di primo grado e accettata dalle parti e ribadita anche con l’atto di impugnazione. Nel caso in esame, come già ricordato, le conclusioni di cui alla citazione di appello riguardavano l’errata applicazione di alcuni principi in tema di responsabilità contrattuale. Solo nella comparsa conclusionale che, come è noto, ha carattere illustrativo delle ragioni esposte e precisate in sede di conclusioni v.Cass.numero 6354/96 , come, peraltro, lo stesso resistente riconosce, vi fu un mutamento di causa petendi. Di qui, l’accoglimento del primo motivo violazione e falsa applicazione degli articolo 112 e 345 c.p.c. con riferimento all’articolo 360 numero 3 c.p.c. , corredato da conferente quesito di diritto, con l’assorbimento degli altri due motivi. La sentenza impugnata va, quindi, cassata e nell’ambito del motivo accolto va rinviata al Tribunale di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, e nell’ambito del motivo accolto cassa e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.