Chi agisce per accertare l’usucapione del vano soffitta può convenire in giudizio il solo amministratore

La legittimazione passiva dell’amministratore del condominio a resistere in giudizio, esclusiva o concorrente con quella dei condomini, non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il Condominio da terzi o anche dal singolo condòmino.

In tal caso l’amministratore ha il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all’assemblea, con la conseguenza che la sua presenza in giudizio esclude la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Seconda sezione Civile, con la sentenza numero 16901, depositata il 4 ottobre 2012. Il caso. Un condomino agisce nei confronti del condominio per chiedere l’accertamento della titolarità di una certa quota millesimale, con ciò sottintendendo altresì la domanda di accertamento, almeno in via incidentale, del diritto di proprietà di un vano soffitta, acquistato per usucapione. L’amministratore del condominio eccepisce la propria carenza di legittimazione passiva, sostenendo che la domanda avrebbe dovuto essere rivolta nei confronti di ogni singolo condomino e trovando, sul punto, il favore del Tribunale in funzione di Giudice dell’appello. La legittimazione passiva dell’amministratore. La sentenza in esame si contraddistingue per la propria sintesi, e, nel riproporre una massima certamente non inedita e decisamente consolidata, sembra non porre nemmeno il dubbio che tra le azioni reali relative alle parti comuni rispetto alle quali l’articolo 1131 c.c. prevede la piena legittimazione passiva dell’amministratore, rientri anche quella volta all’accertamento della proprietà individuale – nel caso di specie per usucapione - della cosa comune, in danno, evidentemente, degli altri condomini. La Suprema Corte non ordina, come chiesto dal ricorrente, l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei singoli condomini, ma, coerentemente con il principio affermato, ritiene l’amministratore convenuto non solo non estraneo alla materia del contendere, ma pienamente legittimato a resistere alle domande. Legittimazione piena o vincolata all’autorizzazione dell’assemblea? Nell’agosto del 2010 le Sezioni Unite hanno avuto modo di affrontare il tema della legittimazione passiva dell’amministratore del condominio, risolvendo il contrasto giurisprudenziale nel senso che questi può certamente costituirsi in giudizio, ma dovrà sempre ottenere, per tale attività, il consenso, al limite in via di ratifica, dell’assemblea «per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione» Cass. Civ., Sez. Unite, numero 18331 del 6 agosto 2010 . Sebbene sia necessario non confondere il tema della capacità di essere convenuto in giudizio con il diverso problema della legittimazione a resistere alla relativa azione – che la sentenza in esame non affronta direttamente – sembra che il principio di diritto fatichi ad essere pienamente recepito in particolare, l’inciso che ritiene la sussistenza di un semplice obbligo di comunicazione di mera rilevanza interna, che non incide sui poteri processuali, comunque garantiti, oltre al preciso riferimento alla legittimazione a resistere in giudizio sono elementi che potrebbero ingenerare una certa confusione. L’azione di accertamento della proprietà. Nonostante l’apparente chiarezza del principio ribadito dalla Suprema Corte, si registrano comunque continue ritrosie, specie dei Giudici di merito, nel considerare le azioni aventi ad oggetto il diritto di proprietà come rientranti nella legittimazione passiva, pur vincolata, dell’amministratore condominiale. E’ il caso della sentenza del Tribunale di Chieti cassata con la pronuncia in commento, ma anche della Corte d’Appello di Milano sentenza 10 gennaio 2010 cassata dalla Suprema Corte con la recente ordinanza numero 4399 del 20 marzo 2012. La riforma del condominio. E’ recentissima la notizia dell’approvazione da parte della Camera del Disegno di Legge di riforma della disciplina codicistica della materia condominiale. Il testo licenziato – che dovrà ottenere l’avallo definitivo del Senato – ha certamente perso molti dei suoi interventi più innovativi si pensi alla possibilità di vendita della cosa comune, originariamente prevista e, quindi, eliminata . Nondimeno, lo spirito della riforma, che recepisce alcuni dei principali orientamenti giurisprudenziali consolidatisi negli ultimi anni, è certamente quello di rendere più snella e meno imbrigliata la gestione della cosa comune, anche con riferimento alla legittimazione processuale. Se dovesse effettivamente essere approvato il testo attuale del Disegno di Legge, all’articolo 1131 c.c. sarebbe aggiunto un ultimo comma, del tutto nuovo, che prevederebbe « in ogni caso, in materia di atti di alienazione, concessione in godimento o disposizione di beni comuni, costituzione di servitù attive e passive nonché nell’esecuzione degli atti ad esse relativi, l’amministratore rappresenta anche i condomini assenti o dissenzienti e ogni limite o condizione ai poteri di rappresentanza si considera non apposto». E’ decisamente presto per dire quale sarà la portata di una simile previsione. Chissà che essa non consenta di mettersi alle spalle anche gli ultimi dubbi e di garantire, da un lato, a chi agisce la possibilità di farlo in termini accettabili nei confronti di un unico soggetto si pensi all’onerosità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti di ogni singolo condomino, specie nel caso, sempre più frequente, di realtà particolarmente grandi , e, dall’altro, a chi resiste di essere adeguatamente rappresentato e tutelato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 maggio - 4 ottobre 2012, numero 16901 Presidente Triola – Relatore Scalisi Svolgimento del processo L'avv. A.S S. , con atto di citazione del 1994, conveniva in giudizio davanti al Pretore di Chieti, il Condominio omissis per sentire accogliere le seguenti conclusioni a dichiarare che l'attore era titolare della quota di 7.66 millesimi di proprietà nel predetto condominio b condannare, conseguentemente, il condominio alla restituzione delle maggiori somme pagate a partire dall'approvazione del regolamento condominiale e relativa tabella millesimale del 31.12.1993 c condannare il condominio alla restituzione delle maggiori somme pagate a partire dall'approvazione del regolamento condominiale e relativa tabella millesimale. Si costituiva il Condominio eccependo la carenza di legittimazione processuale dell'attore per non essere il proprietario dell'unità immobiliare del fabbricato condominiale, l'incompetenza per valore del giudice adito, il difetto di legittimazione passiva dell'amministratore, dovendo la causa essere, eventualmente, promossa nei confronti di tutti i condomini, il mancato pagamento delle somme di cui l'attore chiedeva la restituzione, la prescrizione di ogni avversa pretesa. Il Giudice di Pace, subentrato al Pretore, in conseguenza della soppressione degli uffici di Pretura, con sentenza numero 468 del 2002, configurando la domanda attrice come richiesta di modificazione della tabella millesimale ha accolto l'eccezione di legittimazione passiva sollevata dal Condominio convenuto e per l'effetto ha rigettato ogni altra richiesta dell'attore. Proponeva appello l'avv. A.S S. che precisava di non aver mai chiesto la modifica delle tabelle millesimali ma, di aver chiesto l'accertamento dei suoi diritti di partecipazione millesimale alle parti comuni dell'edificio in virtù delle tabelle millesimali approvate dall'assemblea. Si costituiva il condominio il quale chiedeva il rigetto dell'appello. Il Tribunale di Chieti, con sentenza numero 778 del 2005, confermava la sentenza del Giudice di Pace cambiando, tuttavia, motivazione. Il Tribunale osservava a che S. non aveva domandato la modifica delle tabelle millesimali, come, invece, aveva ritenuto il Giudice di Pace, ma aveva denunciato l'errore in cui sarebbe incorso l'amministratore, attribuendogli i 9,34 millesimi di proprietà, anziché, i 7,66 millesimi di proprietà che gli sarebbero spettati in base alla tabella millesimale allegata al regolamento, b Tuttavia, nelle conclusioni rassegnate nell'atto di citazione e successivamente, confermate, definitivamente, all'udienza del 3 ottobre 2002 l'attore non aveva richiesto il mero accertamento dell'errore materiale, ma una ben più ampia domanda avente ad oggetto l'accertamento del fatto che egli fosse titolare di una quota pari a 7,66 millesimi di proprietà e dunque avrebbe chiesto un accertamento di proprietà c l'accertamento di proprietà però non andava chiesto al Condominio, ma a tutti i condomini, e sotto questo profilo, andava dichiarata la mancata legittimazione passiva del convenuto d In ogni caso, riteneva il Tribunale di Chieti la domanda dell'attore andava rigettata anche nel merito, perché S. nel chiedere l'accertamento della titolarità dei 7,66 millesimi di proprietà sull'edificio, non aveva allegato alcun titolo di proprietà esclusiva sul vano soffitto indicato nell'atto di citazione. La cassazione della sentenza numero 778 del 2005 del Tribunale di Chieti è stata chiesta da A.S S. con ricorso affidato a tre motivi. Il Condominio omissis ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. - A.S S. con il primo motivo, lamenta la falsa applicazione di norme processuali articolo 276, 2 comma cpc. Avrebbe errato il Tribunale, secondo il ricorrente a intanto per non avere accertato, prioritariamente - così come vorrebbe l'articolo 276, 2 comma, cpc, l'esistenza in capo all'attore della legittimazione ad processum e ad causam b comunque, per aver ritenuto l’attore - odierno ricorrente - carente di legittimalo ad processum ed ad causam perché, nonostante il ricorrente non avesse un titolo formale di proprietà, il condominio per facta concludenza lo ha sempre ritenuto a tutti gli effetti condomino c nell'aver sostenuto che l’attore avrebbe proposto una più ampia domanda avente ad oggetto l'accertamento del fatto che egli fosse titolare della quota di 7,66 millesimi di proprietà nel predetto condominio. Tale convincimento è frutto, sostiene, ancora, il ricorrente, di un'errata interpretazione delle richieste conclusive dell'atto di citazione introduttivo nelle quali al punto A l'attore chiedeva “di ritenere e dichiarare il Dott. Proc. A.S S. titolare della quota di 7,66 millesimi di proprietà del condominio . Epperò, l'attore chiedeva emettersi una sentenza dichiarativa in relazione ad un'esistente tabella che lo stesso fosse titolare della quota di 7,66 riportata in tabella e non di quella di 9,34 applicata dall'amministratore condominiale e, neppure, presente nella tabella. 1.1.= Le censure, singolarmente e nella loro interezza, sono fondate e vanno accolte per le ragioni di cui si dirà. L'attuale ricorrente aveva affermato di aver posseduto il vano soffitta per più di un ventennio, e dunque di averlo acquistato per usucapione. Pertanto, la Corte avrebbe dovuto accertare, comunque, anche in via incidentale - e non sembra lo abbia fatto - se S.A.S. fosse proprietario del vano soffitta, e in mancanza di altro titolo di acquisto, se lo stesso lo avesse acquistato per usucapione. D'altra parte, come pure ha evidenziato lo stesso Tribunale di Chieti nelle conclusioni rassegnate nell'atto di citazione e. successivamente, confermate definitivamente, all'udienza del 3 ottobre 2002, l'attore attuale ricorrente non aveva richiesto il mero accertamento dell'errore materiale, ma una ben più ampia domanda avente ad oggetto l'accertamento del fatto che egli fosse titolare di una quota pari a 7,66 millesimi di proprietà, e dunque, avrebbe chiesto un accertamento di proprietà. Né l'affermazione del condominio, resa nell'atto di costituzione in giudizio, di aver precedentemente rivendicato la proprietà del vano soffitta con una causa promossa davanti al Tribunale di Chieti, probabilmente non ancora conclusasi, poteva sollevare il Giudice del merito ad accertare la proprietà dell'attuale ricorrente in ordine al vano soffitta. Lo stesso accertamento in ordine alla carenza di legittimatio ad processum e ad causam dell'attore, non poteva che essere subordinato all'accertamento del titolo di proprietà, mentre, invece, sembra che il Tribunale di Chieti abbia escluso la legittimatio ad causam, dando per dimostrato quel che l'attore chiedeva venisse accertato e dichiarato. 2.= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'errata applicazione dell'articolo 102, 2 comma cpc. Avrebbe errato il Tribunale, secondo il ricorrente, per non aver considerato che il Condominio e per esso l'amministratore condominiale, non è soggetto estraneo in una causa riguardante parti comuni, ma è parte attiva, così come lo sono tutti i condomini. Ove il Tribunale avesse ritenuto che il Condominio fosse parte attiva nel giudizio di cui si dice, aveva l'obbligo di disporre l'integrazione del contraddittorio, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 102, 2 comma, cpcomma 2.1.= Anche questo motivo è fondato e va accolto. Ai sensi dell'articolo 1131 secondo comma cod. civ., la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio a resistere in giudizio, esclusiva o concorrente con quella dei condomini, non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell'edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino in tal caso, l'amministratore ha il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all'assemblea, con la conseguenza che la sua presenza in giudizio esclude la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini. 3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la contraddittoria motivazione su un fatto decisivo prospettato dalle parti. Secondo il ricorrente, l'affermazione del Tribunale secondo la quale l'attore non ha impugnato le delibere con le quali l'assemblea ha approvato i rendiconti annuali sarebbe ultronea perché il condominio non avrebbe eccepito tale mancanza di impugnazione nel giudizio di primo grado, ma solo in appello e, pertanto, violando l’articolo 345 cpc. Sicché, ritiene il ricorrente, il Giudice di appello non avrebbe potuto ritenere che la domanda di restituzione delle somme non fosse accoglibile per non avere il ricorrente impugnato le delibere condominiali. Sempre secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe errato, anche, per aver ritenuto che nulla sarebbe spettato a S. , essendo questo moroso nel pagamento delle quote condominiali, perché a il decreto ingiuntivo che sarebbe indicato a fondamento della morosità dello S. non era stato mai azionato b nessuna azione riconvenzionale era stata proposta dal Condominio e, pertanto, il Giudice di appello non avrebbe potuto ritenere non dovuto il richiesto dall'attore, odierno ricorrente, sulla base di presunti crediti non proposti con riconvenzionale. 3.1.= Tale censura rimane assorbita dall'accoglimento del primo e del secondo motivo e/o, comunque, l’accoglimento del primo e del secondo motivo priva di utilità giuridica l'esame di questo secondo motivo tale che si può prescindere dall'esaminarlo. In definitiva, va accolito il primo e il secondo motivo dichiarato assorbito il terzo, la sentenza impugnata va cassata per quanto in motivazione e la causa rinviata al Tribunale di Chieti in persona di altro Magistrato, al quale è rimesso, ai sensi dell'articolo 385 cpc, il regolamento delle spese anche per il presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Chieti in persona di altro magistrato al quale rimette ai sensi dell'articolo 385 cpc, il regolamento delle spese anche per il presente giudizio di cassazione.