L’uomo, a causa delle particolari tensioni familiari, e in buona fede, ha falsamente interpretato la situazione, per questo il fatto non configura il reato di calunnia.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 27729, depositata il 24 giugno 2013. La fattispecie. Un uomo incolpava la moglie, sapendola innocente, di avergli negato gli incontri con la figlia minore, in violazione dell’ordinanza del Tribunale civile. Situazione familiare tesa e difficile. Condannato in primo grado per il reato di calunnia articolo 368 c.p. , veniva assolto, perché il fatto non costituisce reato, dalla Corte di appello. I giudici territoriali avevano rilevato, infatti, che l’accusa rivolta dall’imputato alla moglie era falsa, essendo emerso che era la figlia ad avere autonomamente scelto di non incontrare il padre, ma, «nella situazione tesa e difficile che si era creata fra i coniugi» - sottolineano i giudici – l’imputato ben poteva aver maturato «la convinzione che alla base del rifiuto della figlia vi fosse una condotta induttiva o impositiva della madre». Deve sussistere la certezza dell’innocenza dell’incolpato. A pronunciarsi nell’ultimo grado di giudizio, su impulso della donna, è la Sesta Sezione Penale della Cassazione. La Corte, ritenendo infondato il ricorso, osserva che, perché si realizzi il dolo di tale reato, «è necessario che chi formula la falsa accusa abbia certezza dell’innocenza dell’incolpato». Pertanto «l’erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude, quindi, l’elemento soggettivo». Fatti interpretati male, ma senza malafede. L’erroneo convincimento sulla colpevolezza dell’accusato può riguardare fatti storici completi o, come nella fattispecie, profili valutativi della situazione oggetto di causa. In pratica, in quest’ultimo caso, «l’attribuzione dell’illiceità è dominata da una pregnante inferenza soggettiva, che, nella misura in cui non risulti fraudolenta, è inidonea a integrare il dolo tipico della calunnia». Ed è - come detto - ciò che è successo nel caso in esame, dove l’uomo, viste le particolari tensioni familiari, e in buona fede, ha falsamente interpretato i fatti. Ricorso rigettato dunque, e spese a carico della ricorrente.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 – 24 giugno 2013, numero 27729 Presidente Agrò – Relatore Cortese Fatto Con sentenza del 12.03.2012 la Corte d'appello di Catania, in riforma della pronuncia di condanna del Tribunale di Catania del 25.02.2011, assolveva C.S.M. perché il fatto non costituisce reato dall'imputazione di cui all'articolo 368 cp., per avere, con querela del 28.03.2007, incolpato la moglie A.C. , che sapeva innocente, di avergli negato, il omissis , in violazione dell'ordinanza del Tribunale civile di Catania del 12.03.2007, gli incontri con la figlia minore M. . Rilevava in particolare la Corte di merito che l'accusa rivolta dall'imputato alla moglie era oggettivamente falsa, essendo emerso che era in realtà la piccola M. ad avere autonomamente scelto di non voler incontrare il padre, ma, nella situazione tesa e difficile che si era creata fra i coniugi, il C. ben poteva avere maturato la convinzione che alla base del rifiuto della figlia vi fosse una condotta induttiva o impositiva della madre. Contro la sentenza propone ricorso per cassazione la parte civile A.C. , deducendo che la Corte d'appello ha del tutto trascurato i molteplici elementi, ben evidenziati dal primo giudice, che connotavano l'accusa del C. come sicuramente dolosa, posto che lo stesso aveva perfettamente percepito che il rifiuto agli incontri era dipeso dalla volontà espressa della bambina e si era ben guardato, nella sua querela, dal precisare le circostanze di fatto che deponevano in tal senso. Diritto Il ricorso è infondato. Per quanto concerne, invero, il delitto di calunnia, deve osservarsi, in via generale, che, perché si realizzi il dolo di tale reato, è necessario che chi formula la falsa accusa abbia certezza dell'innocenza dell'incolpato. L'erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude, quindi, l'elemento soggettivo. Si è tuttavia precisato v., per tutte, Sez. VI, 14 marzo 1996, Gardi che tale esclusione opera solo se il convincimento dell'accusatore si basi su elementi seri e concreti e non su semplici supposizioni. A quest'ultimo riguardo, occorrono però alcuni chiarimenti. Se, invero, l'erroneo convincimento sulla colpevolezza dell'accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica, la omissione di tale verifica determina effettivamente la dolosità di un'accusa espressa in termini perentori. Quando invece l'erroneo convincimento riguarda profili valutativi della situazione oggetto di accusa, non descritta in sé in termini radicalmente difformi dalla realtà, l'attribuzione dell'illiceità è dominata da una pregnante inferenza soggettiva, che, nella misura in cui non risulti fraudolenta, è inidonea a integrare il dolo tipico della calunnia. Applicando tali principi al caso di specie, deve osservarsi che, secondo la ricostruzione della Corte etnea, la falsità dell'accusa rivolta dal prevenuto attiene precipuamente alla interpretazione del comportamento passivo e non collaborativo dell'accusata, ritenuto dall'imputato - alla stregua delle sue valutazioni condizionate dal clima di tensione che caratterizzava il rapporto fra i coniugi - come rivelatore con ogni probabilità di una pressione decisiva nei confronti della figlia, tale da integrare una violazione penalmente rilevante del provvedimento civilistico sulle visite. Ne è scaturita, quindi, secondo la detta ricostruzione, una rappresentazione falsata, non di fatti, ma dell’interpretazione dei medesimi, determinata dalla particolarità della vicenda in cui il prevenuto si trovava coinvolto, che lo ha indotto a leggerli, senza comprovata malafede, come riconducibili alla responsabilità dell'accusata. Tale ricostruzione appare logicamente motivata e idonea a vincere le obiezioni sollevate nel ricorso, che insiste sulla riconducibilità effettiva dei rifiuti alla bambina, che non è in sé in discussione, e sull'assenza, nella querela, di una descrizione puntuale dei fatti che rendesse chiara tale riconducibilità, che è agevolmente spiegabile, alla luce di quanto sopra, con la erronea convinzione maturata dall'imputato e non con intenti di dolosa alterazione che sarebbero stati, oltre tutto, di inverosimile ingenuità, a fronte dell'effettivo svolgersi dei fatti stessi, quale riscontrato dalle terze persone intervenute . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la parte privata ricorrente al pagamento delle spese processuali.