Pratica un rapporto orale ad un uomo, trattenendosi in casa sua diverse ore: dubbi sulla sussistenza della violenza sessuale

Integra violenza sessuale qualsiasi atto diretto ed idoneo a compromettere la libertà della vittima, e non solo il mero coito la violenza, quindi, può estrinsecarsi in tutti quegli atti che, in base al comune senso ed all’elaborazione giurisprudenziale, esprimano l’impulso concupiscente dell’agente, con conseguente invasione della sfera sessuale del soggetto passivo.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza numero 26440 del 18 giugno 2013. Il caso. Il Tribunale condannava un uomo per il reato di violenza sessuale articolo 609 bis comma 1 e comma 2 numero 1 c.p. ai danni di due donne, per aver compiuto nei confronti delle stesse atti insidiosi - tanto da superare la loro volontà e porle nella impossibilità di difendersi -, aventi avuto quale esito due violenze sessuali. Nello specifico, l’imputato avrebbe, in un caso, prospettato alla vittima un ‘seminario’ per convincerla a sottoporsi a toccamenti, finendo per tramutarli in atti sessuali, tanto che questa gli praticò un rapporto orale nell’altro caso, sempre con analoga scusa, avrebbe iniziato con spinti approcci, per finire mettendo la propria mano sul pube della donna. La Corte di Appello confermava la condanna, ma, in parziale riforma, riduceva la pena, giusta la concessione delle attenuanti generiche. Avverso la sentenza di seconde cure la difesa proponeva ricorso per Cassazione, deducendo - violazione di legge ed erronea applicazione dell’articolo 609 bis c 1 c.p. ed erronea interpretazione degli atti insidiosi e repentini nessuna delle circostanze indicate dal giudice di merito può essere ricondotta alla nozione di violenza né alla coartazione - vizio motivazionale in ordine alle ragioni poste a fondamento della concretizzazione del reato e del giudizio di colpevolezza travisamento delle deposizioni delle presunte vittime dalle circostanze concrete avrebbe dovuto desumersi il consenso della prima al rapporto e l’insussistenza del reato, quanto alla seconda mancata concessione dell’attenuante del fatto di minore gravità articolo 609 bis comma 3 c.p. . Fatti da ricostruire. Gli Ermellini accolgono il ricorso, rilevando come la Corte Territoriale sia incorso in un vizio motivazionale in ordine alla ricostruzione dei fatti e all’inquadramento di essi nella fattispecie di cui all’articolo 609 bis c.p La Corte di Appello, infatti, aveva ritenuto che gli atti fossero stati posti in essere con violenza sulla scorta di consolidata giurisprudenza, aveva evidenziato come il concetto di ‘violenza’ non sia da intendere solamente nel senso ristretto di esplicazione di vis fisica o coazione materiale diretta a comprimere il volere del soggetto passivo, bensì abbia una accezione ampia, atta a ricomprendere non solo l’energia fisica, ma qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente e che abbia come ricaduta una limitazione della libertà della vittima, costretta – contro la sua volontà – a subire atti sessuali. Manca una precisa definizione legislativa di ‘atti sessuali’. La giurisprudenza ha individuato una serie di criteri validi per determinare la fattispecie legale per cui rientrerebbero in tale categoria tutti quegli atti diretti ed idonei a compromettere la libertà sessuale del soggetto passivo tramite l’eccitazione e il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente. In buona sostanza, quindi, la violenza sessuale comprende tutti gli atti che, in base al senso comune, estrinsecano l’impulso sessuale dell’agente, con conseguente invasione della sfera della vittima. Ai fini dell’integrazione del reato non rileva l’interpretazione soggettiva che dei fatti faccia il giudicante, bensì si tiene conto della sussistenza di un requisito soggettivo il fine di concupiscenza e di uno oggettivo concreta idoneità della condotta a compromettere la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima o a soddisfare le brame carnali dell’agente ne consegue che anche i meri toccamenti e sfregamenti possono rientrare nella previsione di cui all’articolo 609 bis c.p Illogicità tra risultanze istruttorie e decisione. La Corte Suprema, pur condividendo il pacifico principio generale sopraddetto, ha però riscontrato che la conclusione cui è addivenuto il Giudice di seconde cure e’ illogica rispetto alle risultanze istruttorie. Infatti, la ricostruzione fattuale effettuata dalle presunte parti offese non permette di ritenere che l’imputato abbia compiuto atti repentini e subdoli, idonei a vincere la volontà delle stesse entrambe hanno dichiarato di aver pranzato nell’appartamento dell’uomo e di aver prolungato la visita per svariate ore. Infine, le stesse riferiscono quanto alle loro, specifiche, dirette esperienze una finì per praticare addirittura un rapporto orale all’ospite, l’altra – che rifiutò l’approccio – racconta che l’uomo desistette, senza problemi, dal suo proposito. In esito al riscontro del vizio motivazionale la Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado, rinviando ad altra sezione della medesima corte di Appello, affinché proceda ad un nuovo esame, tenendo conto dei principi ormai consolidati in giurisprudenza.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 maggio - 18 giugno 2013, numero 26440 Presidente Lombardi – Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Il Tribunale di Milano, con sentenza del 24/5/2011, dichiarava M.F.A. responsabile del reato di cui all'articolo 609 bis, co. 1 e numero 2 co. 1 cod. penumero , commesso in danno di D.N.P. e S.M.E. , e lo condannava alla pena di anni 6 di reclusione, con applicazione delle pene accessorie, nonché alla rifusione in favore della costituita p.c. D.N. , i danni liquidati equitativamente in Euro 5.000,00. La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sull'appello interposto nell'interesse del prevenuto, con sentenza del 25/5/2012, considerati i fatti contestati nella sola previsione di cui all'articolo 609 bis co. 1 cod.penumero , in parziale riforma del decisum di prime cure, concesse le attenuanti generiche, ha ridotto la pena ad anni 4 e mesi 6 di reclusione, con conferma nel resto. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, con i seguenti motivi -violazione di legge ed erronea applicazione dell'articolo 609 bis co. 1 cod.penumero , nonché erronea interpretazione degli atti insidiosi e repentini, in quanto nessuna delle circostanze indicate dal giudice di merito può essere ricondotta nella nozione di violenza, neppure intesa in senso lato, né alla coartazione. Peraltro, non sono stati ravvisati nella ricostruzione delle vicende atti repentini ed insidiosi -vizio di motivazione in ordine alle ragioni poste a supporto della ritenuta concretizzazione del reato e del giudizio di colpevolezza dell'imputato -le deposizioni delle presunte vittime sono state totalmente travisate dalla Corte territoriale da esse si desume il consenso delle donne, in particolare, al rapporto intrattenuto con il prevenuto, per quanto attiene alla D.N. , e ai toccamenti per quanto attiene alla S. . Nessuna azione repentina da parte del M. è dato rilevare, conseguentemente, è insussistente il reato contestato -ha errato la Corte territoriale nel non concedere la attenuante di cui al co. 3 dell'articolo 609 bis cod.penumero -va rilevata in ogni caso la improcedibilità ex articolo 129 co. 1 cod.proc.penumero per entrambi i fatti contestati non è stata mai sporta querela e la procedibilità di ufficio deriva dalla connessione, ex articolo 609 septies co. 4 numero 4, cod.penumero , con i reati oggetto di imputazione a carico del M. nel procedimento penale pendente davanti al Tribunale Bari, definitosi in data 16/7/12, con sentenza assolutoria in relazione ai reati ex articolo 613 e 640 cod.penumero . Con memoria inoltrata in atti la difesa del prevenuto ha allegato la motivazione della predetta pronuncia, ribadendo la eccezione sollevata con l'ultimo motivo di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato per quanto di ragione. Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l'impugnata pronuncia, in correlato al contestuale esame dei primi due motivi di annullamento, formulati in ricorso, permette di rilevare il vizio motivazionale in cui è incorso il giudice di merito in ordine alla ricostruzione dei fatti e all'inquadramento di essi nella fattispecie del reato di violenza sessuale di cui al co. 1 dell'articolo 609 bis cod.penumero . Ad avviso della Corte territoriale deve ritenersi che gli atti sessuali, posti in essere dal M. ai danni della D.N. e della S. , siano stati compiuti con violenza. Sul punto il decidente, richiamandosi ad una pronuncia di questa Corte sent. 6643/2010 , evidenzia che il concetto di violenza non va inteso nel senso ristretto di esplicazione di una vis fisica o coazione materiale diretta alla persona quale strumento di compressione dell'altrui volere la nozione, calata nella ipotesi del reato di cui trattasi, ha un'ampia accezione tecnico-giuridica e ricomprende non solo l'energia fisica ma qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente che abbia come ricaduta la limitazione della libertà del soggetto passivo, costretto, contro la sua volontà, a subire atti sessuali. Conseguentemente, ad avviso del giudicante, nel caso in esame sussiste violenza perché si è trattato di atti insidiosi, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo, ponendolo nella impossibilità di difendersi, in quanto compiuti con l'inganno il M. , nel caso della D.N. , ha prospettato alla donna un seminario per convincere la stessa a sottoporsi a toccamenti, per poi, repentinamente, tramutare i toccamenti in atti sessuali, tant'è che la parte offesa ha significativamente riferito di non sapere spiegare come fosse giunta a praticare un coito orale all'imputato nel caso della S. , il prevenuto, ponendo in essere la identica condotta, ha tramutato gli iniziali toccamenti in atti sessuali, consistiti nel mettere la propria mano sul pube della donna. Il principio generale in ordine alla sussistenza del reato ex articolo 609 bis co. 1 cod.penumero , richiamato dalla Corte di merito è del tutto esatto. Va osservato infatti, che in assenza di definizione legislativa della espressione atti sessuali la giurisprudenza di legittimità ha individuato una serie di criteri validi per una adeguata determinazione della fattispecie legale, riassumibili nella indifferenza penale della natura delle manifestazioni della libertà sessuale quando queste non tocchino la libertà altrui, e della riconducibilità alla nuova espressione, oltre che del coito di qualsiasi natura, anche di ogni atto diretto e idoneo a compromettere la libertà della persona attraverso l'eccitazione o il soddisfacimento dell'istinto sessuale dell'agente sicché essa viene a comprendere tutti gli atti che, secondo il senso comune e la elaborazione giurisprudenziale, esprimono l'impulso sessuale dell'agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo. Ne consegue che la configurabilità del reato non dipende dalla interpretazione soggettiva del giudicante, ma è legata alla contestuale presenza di un requisito soggettivo il fine di concupiscenza, ravvisabile anche nel caso non si ottenga il soddisfacimento sessuale e di un requisito oggettivo, consistente nella concreta idoneità della condotta a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e a suscitare o a soddisfare la brama sessuale dell'agente sicché rientrano tra gli atti sessuali anche i toccamenti, i palpeggiamenti e gli sfregamenti sulle parti intime delle vittime, posti in essere dall'agente in maniera subdola e repentina Cass. 28/1/2011, numero 3074 Cass. 9/3/2011, numero 16706 Cass. 27/1/04, numero 6945 Cass. numero 44246/2005, Borselli . Orbene, va rilevato, però, che nel caso in esame la ricostruzione dei fatti, come rappresentata dalle vittime, e ritenuta attendibile dalla Corte distrettuale, contrasta con la concretizzazione della fattispecie delittuosa, ut supra esaminata, in quanto, sia nell'episodio attinente alla D.N. , sia in quello riguardante la S. , non è dato ravvisare alcun elemento che possa permettere di ritenere che l'imputato abbia compiuto atti subdoli o repentini, viste le circostanze di tempo e di luogo in cui i fatti si sono verificati. Il decidente omette ogni ragionevole giustificazione sul punto le donne, infatti, si sono interattenute a pranzare in appartamento con l'imputato, fermandosi per diverse ore, non rifiutando di farsi toccare e palpeggiare dallo stesso peraltro, nel caso della D.N. fu consumato un rapporto orale, mentre nel caso della S. , allorché costei si rifiutò di praticare al M. identico coito, quest'ultimo desistette dal proposito manifestato. In dipendenza delle superiori considerazioni risulta, dunque, illogica la conclusione a cui è pervenuto il giudice di seconde cure, col ritenere concretizzato il reato ex articolo 609 bis co. 1 cod.penumero . Pertanto, questa Corte ritiene di dovere annullare con rinvio la impugnata sentenza, affinché il giudice ad quem proceda ad un nuovo esame, tenendo conto di quanto osservato e dei richiamati principi, in materia affermati, dalla giurisprudenza di legittimità. Gli ulteriori motivi si ritengono assorbiti. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Milano, altra sezione.