Il diritto di recesso accordato all'investitore dal sesto comma dell'articolo 30 del d.lgs. numero 58/1998, e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell'intermediario sia intervenuta nell'ambito di un servizio di collocamento prestato dall'intermediario medesimo in favore dell'emittente o dell'offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d'investimento diverso, ivi compresa l'esecuzione di ordini impartiti dal cliente in esecuzione di un contratto quadro, ove ricorra la stessa esigenza di tutela.
Tale disciplina riguarda i singoli rapporti negoziali in base ai quali, di volta in volta, l’investitore si trovi a sottoscrivere uno strumento finanziario offertogli dall’intermediario fuori sede, e non la stipulazione del c.d. contratto quadro, che di per sè non implica l’acquisto di strumenti finanziari ed è perciò sicuramente estranea alla nozione di “collocamento”, sia pur latamente intesa. Con la sentenza del 1° giugno 2016, numero 11401, la Cassazione chiarisce i limiti del diritto di recesso nell’ambito dell’intermediazione finanziaria, precisando che lo stesso si applica solo ai contratti di investimento sottoscritti fuori sede ma non al c.d. contratto quadro, anche qualora lo stesso sia stato sottoscritto fuori dai locali dell’intermediario. Il caso. Con la sentenza in commento la Cassazione conferma le decisioni dei giudici di merito in ordine all’azione giudiziaria promossa da un investitore che ha chiesto dichiararsi la nullità di un contratto sottoscritto, a suo dire, fuori dai locali dell’intermediario finanziario per la mancata indicazione nel contratto del diritto di recesso di cui all’articolo 30 del TUF. Il S.C. precisa, nel solo della propria pregressa giurisprudenza in materia, che il diritto di recesso non trova applicazione con riferimento al c.d. contratto quadro – ossia al contratto contestato dall’investitore - ma solo con riferimento ai singoli contratti di investimento. Il diritto di recesso la regola generale nei contratti di investimento. Secondo l’articolo 30 del d.lgs. 24.2.1998, numero 58 TUF , qualora, in ipotesi di collocamento fuori sede di strumenti finanziari, non sia indicata nei moduli o formulari sottoscritti dall'investitore la facoltà di recesso, si ha la nullità di tale contratto, con la conseguenza che resta travolta l'idoneità della negoziazione a produrre effetti nella sfera giuridico-patrimoniale del cliente. Diritto di recesso per il collocamento o la negoziazione fuori sede? Stante il tenore letterale dell’articolo 30 del TUF, in giurisprudenza si è molto discusso dell’ambito di applicazione di tale regola, ovvero se la stessa si ponga limitatamente a singoli, specifici servizi, precisamente individuati o se, per contro, sia espressivo di una regola generale, riferibile anche alle singole operazioni di investimento, per le quali è necessario un ordine del cliente sotto forma di negoziazione o trasmissione i ricezione ordini, e sempre che si tratti di operazione “fisicamente” stipulata fuori dalla sede legale dell'intermediario. Tale questione è stata oggetto di un intervento della Cassazione a sezioni unite che si è espressa nel senso indicato dalla massima sopra riportata e preferendo, quindi, una interpretazione estensiva del dato letterale. Diritto di informazione e diritto di recesso quale legame. In particolare, si è osservato che la previsione di cui all'articolo 30 in parola pone a carico dell'intermediario offerente un obbligo di informazione preventiva, specifica, tale da permettere l'acquisizione di un consenso consapevole sull'esercizio del diritto fondamentale di recesso. Diritto di recesso quale onere probatorio per l’investitore. In tema di negoziazione fuori sede di strumenti finanziari, peraltro, l'investitore che intenda evocare l'eventuale violazione della normativa sul diritto di recesso dovrà dimostrare anche la sussistenza di un contratto di collocamento tra il soggetto emittente e l'intermediario, o quantomeno che l'offerta di quest'ultimo sia stata indirizzata ad una moltitudine di investitori e a condizioni standardizzate. Nullità per mancanza del diritto di recesso gli effetti per i contratti collegati. L'eventuale nullità di un contratto di swap concluso fuori sede per mancanza dell'indicazione del diritto di recesso di cui all'articolo 30 del TUF travolge anche i successivi contratti di swap stipulati allo scopo di far fronte alle passività generate dai precedenti rapporti, dovendosi ritenere in tal caso sussistente un collegamento negoziale dovuto al nesso teleologico che lega i vari negozi ove la cessazione del precedente dipenda strettamente dalla stipula del successivo. Condotta dell’intermediario e responsabilità per omessa informazione. La sentenza affronta anche il tema della responsabilità dell’intermediario nel caso in cui venga omessa la informazione all’investitore sull’operazione finanziaria realizzata. Sul punto, la pronuncia non si discosta dal consolidato orientamento per il quale la violazione, da parte dell'intermediario, degli obblighi di comportamento e correttezza posti a suo carico della specifica normativa in materia, può comportare una responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove avvenga nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero una responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto, ove riguardi le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 maggio – 1 giugno 2016, numero 11401 Presidente Bernabai – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 28 settembre 2004, G.R. ha convenuto in giudizio la Bank Insinger De Beaufort N.V. e la Nusa Sim, per sentire dichiarare la nullità dell’acquisto di titoli italiani e obbligazioni argentine, per un valore di Euro 41.790,00, acquistate tramite il promotore finanziario Armando Melica, dipendente della prima e poi dell’altra convenuta, e per ottenere la condanna di entrambe, in solido, alla restituzione del prezzo corrisposto. Esponeva che, avendo conferito il mandato presso un bar di , il contratto era stato sottoscritto fuori della sede della banca, senza prevedere il diritto di recesso e, quindi, in violazione dell’articolo 30 del d.lgs. 24 febbraio 1998, numero 58 t.u.f. inoltre, erano state violate le disposizioni del t.u.f. articolo 21 e del regolamento Consob l luglio 1998, numero 11522 articolo 27 ss. , che impongono all’istituto di credito di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati circa le caratteristiche e l’adeguatezza delle operazioni di acquisto di valori mobiliari. Nel contraddittorio con la Bank Insinger, essendo la Nusa rimasta contumace, il Tribunale di Terni ha rigettato la domanda, sul presupposto che non vi fosse prova di una stipulazione del contratto fuori dai locali commerciali. Il gravame del G. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Perugia, con sentenza 4 febbraio 2011, la quale ha ritenuto che, essendo i documenti sottoscritti dal G. relativi ad un contratto quadro di negoziazione in strumenti finanziari, regolarmente stipulato il 19 luglio 2001, non trovassero applicazione l’articolo 30 t.u.f. e il richiamato articolo 36 regol. Consob del 1998, che riconoscevano sì al cliente il diritto di recedere entro sette giorni, ma solo nella diversa tipologia dei rapporti di collocamento di strumenti finanziari e gestione del portafoglio nella sollecitazione al pubblico inoltre, ad avviso della Corte, sebbene la banca non avesse informato il cliente circa le caratteristiche e l’adeguatezza delle operazioni, tale inadempimento non era causa di nullità del contratto quadro e delle operazioni di acquisto dei titoli, con conseguente infondatezza della domanda di nullità e inammissibilità della domanda di risoluzione del contratto, tardivamente introdotta solo nell’atto di appello. Avverso questa sentenza il G. ricorre sulla base di tre motivi, cui si oppone la Bank Insinger con controricorso e memoria. Motivi della decisione Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 1, 21, 23 e 20 t.u.f., e vizio di motivazione, in tema di applicabilità della disciplina dell’offerta fuori sede, che prevede l’obbligo dell’intermediario di indicare nei moduli e formulari la facoltà di recesso dell’investitore entro sette giorni dalla data di sottoscrizione del contratto. Il motivo è infondato. I giudici di merito, con incensurato accertamento di fatto, hanno affermato che i documenti sottoscritti dal G. presso il bar di Narni scalo non erano relativi alle singole operazioni di investimenti in e cioè agli ordini di acquisto di strumenti finanziari, ma verosimilmente al contratto quadro di negoziazione di strumenti finanziari. La giurisprudenza di questa Corte si è espressa nel senso che il diritto di recesso accordato all’investitore dal sesto comma dell’articolo 30 t.u.f., e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento o gestione di portafogli individuali, prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d’investimento diverso, ivi compresa l’esecuzione di ordini impartiti dal cliente in esecuzione di un contratto quadro, ove ricorra la stessa esigenza di tutela vd. Sez. Unumero numero 13905 del 2013 . Quest’orientamento, tuttavia, non giova al ricorrente nel caso concreto, dal momento che, come chiarito dalle Sezioni Unite, la disciplina del recesso di cui si sta parlando non può che riguardare i singoli rapporti negoziali in base ai quali, di volta in volta, l’investitore si trovi a sottoscrivere uno strumento finanziario offertogli dall’intermediario fuori sede, e non la stipulazione del c.d. contratto-quadro, che di per sé non implica l’acquisto di strumenti finanziari ed è perciò sicuramente estranea alla nozione di collocamento , sia pur latamente intesa. Del resto, come accertato dai giudici di merito, il cliente poteva recedere in qualsiasi momento dallo stesso contratto quadro, in base a una clausola ivi inserita, inviando una comunicazione scritta mediante lettera raccomandata. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 1418 c.c., 21 e 23 t.u.f., 28 e 29 regol. Consob. del 1998, e vizio di motivazione, per avere erroneamente escluso l’invalidità del contratto per effetto dell’inadempimento della banca agli obblighi informativi derivanti dal contratto quadro e dalla legge. Il motivo è infondato, essendo diretto all’enunciazione di un principio di diritto opposto a quello seguito dalla giurisprudenza di legittimità e dalla sentenza impugnata. Questa Corte ha avuto più volte occasione di ribadire che unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile, ove non altrimenti stabilito dalla legge, di determinarne la nullità e non già la violazione di norme riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti cd. contratto-quadro , mentre è fonte di responsabilità contrattuale e può condurre, eventualmente, alla risoluzione del contratto, ove le violazioni riguardino le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto-quadro. Va quindi escluso, in assenza di una esplicita previsione normativa, che la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’articolo 1418, comma 1, c.c., la nullità del cosiddetto contratto-quadro o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso a partire da Cass., sez. unumero , numero 26724 del 2007, vd., tra le altre, le sentenze della I sez. civ. numero 2414 del 2016 e numero 8462 del 2014 . Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 99, 112 e 163 c.p.c. e 6 del d.lgs. 17 gennaio 2003 numero 5, e vizio di motivazione, per avere ritenuto nuova e inammissibile la domanda di risoluzione del contratto, proposta in appello, sebbene si trattasse di una mera emendatio libelli rispetto alla domanda di nullità originariamente proposta nel primo grado di giudizio. Il motivo è infondato. Le Sezioni Unite, alla luce del ruolo che l’ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell’assetto negoziale, e considerando che la risoluzione contrattuale è coerente solo con l’esistenza di un contratto valido, hanno ritenuto che il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, abbia il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti dagli atti, ogni forma di nullità del contratto stesso vd. Cass., sez. unumero , numero 14828 del 2012 , anche di tipo protettivo vd. Cass., sez. unumero , numero 26242 del 2014 . Sulla base di questa ricostruzione, il giudice è tenuto nei limiti del devoluto a rilevare d’ufficio la nullità, anche in appello, cui segue la facoltà della parte di proporre un’espressa istanza di accertamento in tal senso vd. Cass. da ultimo cit. . Diverso è, però, il caso - che è quello in esame - in cui la parte abbia proposto soltanto una domanda di nullità del contratto, rigettata nel merito dal tribunale, e solo in appello abbia introdotto, in via subordinata, una domanda di risoluzione, trattandosi evidentemente di una inammissibile domanda nuova, a norma dell’articolo 345 c.p.c In conclusione, il ricorso è rigettato. Sussistono giusti per compensare le spese del presente giudizio, in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale nell’interpretazione dell’articolo 30 t.u.f P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa le spese del giudizio.