Anche per l’incauto acquisto si fanno rigorosi gli indici sintomatici della provenienza delittuosa della res

A distinguere fra ricettazione ed incauto acquisto sta l’intensità della rappresentazione della provenienza illecita delle cose acquistate. Tuttavia, anche per quest’ultimo reato la prova del sospetto del compratore deve essere “univocamente” deducibile.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 45218/2015, depositata il 12 novembre. Il fatto. Aveva acquistato a basso prezzo ed in grande quantità centraline elettroniche per auto sprovviste di codice identificativo, presso un autodemolitore di un quartiere di una grande città. Il tribunale condanna l’imputato per ricettazione, ex articolo 648 c.p., la Corte d’appello riqualifica il reato ai sensi della previsione dell’incauto acquisto di cose di sospetta provenienza, ex articolo 712 c.p., con forte diminuzione di pena – pur applicando i massimi edittali, visti i precedenti dell’imputato - ravvisando nell’incauto compratore una condotta quantomeno tendenziosamente mirata ad ignorare la sospetta provenienza delle cose oggetto d’acquisto. L’imputato ricorrente in Cassazione contesta la logicità del costrutto probatorio dei giudici d’appello, in realtà precario ed insufficiente a provare l’intento criminale dell’imputato. La Cassazione annulla con rinvio, deducendo in punto di sostenibilità del percorso argomentativo giudiziale. Cosa è ricettazione e cosa incauto acquisto ex articolo 712 c.p. il dolo eventuale “non fa” più da spartiacque. E’ già noto come le Sezioni Unite abbiano fornito – con sentenza numero 12433/2009 - il criterio orientativo atto a distinguere le condotte sussumibili sotto le due previsioni. Non è il dolo eventuale sulla provenienza illecita delle cose oggetto d’acquisto a fornire l’accetta per perimetrare l’area applicativa delle due previsioni penali. Il dolo eventuale può sorreggere l’intento ricettatorio, almeno quando può ragionevolmente ritenersi che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res ma la colpevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza. La Corte d’appello aveva sondato, per derubricare il fatto alla meno grave ipotesi contravvenzionale, l’intensità della rappresentazione della provenienza della res , ritenendo che la soglia raggiunta dall’imputato fosse un semplice sospetto, visti gli elementi probatori acquisiti. In breve, è la forza degli elementi sintomatici della sospetta provenienza a consentire l’inquadramento della condotta nell’uno o nell’altro reato. Nel caso specifico, la mancata certificazione dell’acquisto da parte del grossista non poteva fondare la più grave previsione penale a carico dell’acquirente, per la diligenza dell’uomo medio a questo richiedibile, che non può imporre la pedissequa verifica sull’origine lecita delle cose acquistate. La Cassazione compie una “stretta” sugli elementi sintomatici dell’incauto acquisto la prova si fa rigorosa. La Cassazione non contesta il sopra esposto orientamento, poggia l’indice sulla forza degli elementi probatori che devono sostenere un giudizio di colpevolezza sul reato, anche di incauto acquisto ex articolo 712 c.p., fin giungendo ad annullare con rinvio la sentenza impugnata. E’ ben noto come non occorra, ai fini della configurazione del reato in esame, l’accertamento del reato presupposto. Tuttavia, i giudici richiedono l’univocità dei dati sintomatici a sostegno di un giudizio di reità, ritenuti insufficienti quelli dedotti – i mancati scontrini per l’acquisto delle centraline, il basso prezzo -. La Cassazione si fa in questo caso rigorosa, occorre un quid pluris , di univoca interpretabilità, che tolga ogni dubbio sulla colpevolezza dell’imputato, da individuarsi, ad esempio – appurata l’estesa casistica giurisprudenziale -, nell’abitualità al reato del venditore o dal prezzo assolutamente vantaggioso d’acquisto rispetto al valore di mercato delle res oggetto di compravendita.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 ottobre – 12 novembre 2015, numero 45218 Presidente Fiandanese – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 24.01.2014, il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava F.S. responsabile del reato di ricettazione di centraline elettroniche per auto e lo condannava alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa. 2. Avverso detta sentenza, nell'interesse di F.S., veniva proposto appello con sentenza in data 18.02.2015, la Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riqualificato il fatto nella contravvenzione di cui all'articolo 712 cod. penumero , rideterminava la pena in mesi quattro di arresto, con conferma nel resto. 3. Nei confronti della pronuncia di secondo grado, viene proposto, nell'interesse del sunnominato F., ricorso per cassazione per lamentare -vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'articolo 712 cod. penumero primo motivo -vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli articolo 133 cod. penumero e 27 Cost. secondo motivo . 3.1. In relazione al primo motivo, evidenzia il ricorrente come la Corte territoriale, pur riconoscendo la mancanza di prova sull'esistenza di un qualsivoglia reato presupposto e corretta la deduzione difensiva per la quale le centraline elettroniche per auto, di per sé stesse, non costituiscono materiale illecito, neanche se codificate, conclude ritenendo che il F. avrebbe quanto meno dovuto sospettare dell'illecita provenienza di detto materiale, attese le modalità attraverso le quali lo stesso se ne era procurato la disponibilità, il loro consistente numero e l'assenza di ogni documento dimostrativo dell'acquisto il tutto, sulla base di un ragionamento del tutto contraddittorio, apodittico ed illogico, riconoscendo da un lato l'oggettiva impossibilità di tracciare la provenienza delle centraline perché prive di codice e, dall'altro, ravvisando pretestuosi, e per nulla oggettivi, motivi di sospetto circa la loro illecita provenienza. 3.2. In relazione al secondo motivo, si censura l'operato trattamento sanzionatorio che applica la pena nel massimo con motivazione del tutto censurabile che, da un lato, si limita al generico riferimento ai precedenti penali del reo e, dall'altro, eleva ad indici di commisurazione della pena circostanze che esulano dal disposto dell'articolo 133 cod. penumero , in palese violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità del trattamento sanzionatorio sancito dall'articolo 27 Cost Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato e, come tale, pienamente accoglibile. 2. La fondatezza del primo assorbente motivo di ricorso esonera dall'esame dei secondo. 3. Alla riqualificazione del reato come originariamente contestato e ritenuto dal Tribunale, i giudici di secondo grado pervengono attraverso un iter logico-motivazionale contraddittorio e manifestamente illogico, frutto di un'erronea applicazione e di un'altrettanto erronea interpretazione della norma che punisce il reato di incauto acquisto. La Corte d'appello riconosce, da un lato, la mancanza di prova dell'esistenza di un qualsivoglia reato presupposto e, dall'altro, che il materiale oggetto del reato, di per sé, non costituisce materiale illecito potendo essere oggetto di libera compravendita. Da queste premesse, la Corte compie un salto logico affermando che, pur tuttavia, il Fajia avrebbe quantomeno dovuto sospettare dell'illecita provenienza dei beni in parola attese le modalità attraverso le quali lo stesso se ne era procurato il possesso acquistandole per dieci eVo l'una da un non meglio identificato autodemolitore di una zona vicino al quartiere Ballarò , il consistente numero delle stesse ben ventiquattro e l'assenza di ogni valido documento dimostrativo del loro acquisto scontrino fiscale o altro . Orbene, secondo l'or% i consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità della contravvenzione di acquisto di cose di sospetta provenienza, non occorre che sia accertata la provenienza delle cose da reato, essendo a tal fine richiesta solo la prova dell'acquisto o della ricezione, senza gli opportuni accertamenti, di cose rispetto alle quali l'agente abbia motivi di sospetto circa la loro provenienza, come indicati nell'articolo 712 cod. penumero Sez. U, sent. numero 12433 del 26/11/2009, dep. 30/03/2010, Nocera, Rv. 246325 . II reato, pertanto, si realizza allorquando l'acquisto avvenga in circostanze tali da indurre una persona di media avvedutezza in una condizione di oggettivo sospetto circa la legittima provenienza delle cose, che prescinde dall'opinione o dalla valutazione dell'agente, la cui colpa si configura per la sola omissione dei doverosi accertamenti circa tale legittima provenienza. Fermo quanto precede, appare in modo evidente l'illogicità dei ragionamento della Corte territoriale che fonda il giudizio di penale responsabilità su due dati la cui lettura non può considerarsi univoca nella direzione indicata dalla Corte da un lato, infatti, si riconosce l'oggettiva impossibilità di tracciare la provenienza delle centraline in quanto prive di codice e, dall'altro, si ravvisano generici motivi di sospetto, peraltro non meglio indicati nella loro oggettività e quindi solo astrattamente ipotizzabili. Corretta appare a questo punto la deduzione difensiva secondo cui non può ritenersi idoneo motivo per sospettare di una loro illecita provenienza né il consistente numero delle centraline rinvenute nel possesso dei ricorrente elemento di per sé neutro, data la libera commerciabilità di detti beni , né il loro aspetto beni visibilmente autentici né, tantomeno, l'assenza di documenti dimostrativi dell'acquisto dato di nessuna valenza probatoria non risultando nemmeno ipotizzata la data dei conseguimento dei predetti beni e non potendo certo pretendersi, in un tempo potenzialmente infinito, il possesso di un documento giustificativo di un acquisto . La Corte, inoltre, non risulta aver in alcun modo considerato l'incidenza dei dato costituito dal fatto che le centraline erano prive di codice . La sentenza va quindi annullata con rinvio per nuovo giudizio in quella sede, il giudice di merito dovrà indicare, in modo preciso, su quali elementi è traibile il giudizio secondo cui, pur a fronte di beni di siffatta natura liberamente commerciabili e visibilmente autentici , sulla base di tutti gli elementi di prova raccolti, una persona di media avvedutezza avrebbe dovuto comunque sospettare circa la loro provenienza da auto rubate. 4. Alla pronuncia di accoglimento consegue l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo.