Si decade dall’impugnazione anche senza comunicazione di fissazione udienza e deposito sentenza?

Il contribuente costituito in giudizio deve rispettare gli ordinari termini di impugnazione anche se la segreteria della Commissione non comunica la data dell'udienza e del deposito della sentenza. Il contribuente costituito in giudizio ha l’onere di verificare lo stato del procedimento, senza doversi affidare alle comunicazioni della cancelleria. Infatti, anche ove non vengano trasmesse dalla Commissione le notizie sulla fissazione dell’udienza di discussione e sull’avvenuto deposito della sentenza, i termini di impugnazione rimangono quelli stabiliti per legge, senza possibilità di ottenere una rimessione in termini per non aver avuto contezza dell’esito del giudizio.

Tale assunto è stato costituito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza 25727/19, depositata il 14 ottobre. La vicenda. Il fisco ha notificato a diversi contribuenti, in solido tra loro, un avviso di liquidazione ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute per la registrazione di una sentenza del Tribunale, la quale aveva disposto la restituzione di un immobile, precedentemente espropriato dal Comune, agli originari proprietari. Poiché l’esito del giudizio in primo grado era sfavorevole ai contribuenti, questi ultimi hanno proposto appello. Il giudizio di appello si concludeva con la conferma della pronuncia di primo grado ma la cancelleria della Commissione non comunicava agli appellanti né la fissazione dell’udienza, né l’avvenuto deposito della sentenza. Pertanto, i difensori venivano a conoscenza dell’esito del procedimento solo successivamente, quando ormai erano decorsi i termini per il ricorso in Cassazione. Tale impugnazione veniva però comunque esperita, chiedendo una rimessione in termini ex articolo 153, comma 2, c.p.c. atteso che la decadenza non era imputabile ai contribuenti, bensì alle omissioni della cancelleria della CTR. Tali contribuenti hanno presentato tardivo ricorso per Cassazione poiché, dopo essersi costituiti nel giudizio di appello, non hanno avuto più alcuna notizia né di fissazione dell'udienza né del deposito della sentenza di gravame. Solo casualmente, hanno scoperto dello svolgimento del processo di gravame ed anche del deposito della decisione di conferma della pretesa impositiva. Avverso la sentenza del giudice del gravame, seppur tardivamente, essi hanno proposto ricorso in Cassazione, evidenziando di essere incorsi nella decadenza del termine per cause a loro non imputabili atteso che la CTR aveva omesso qualunque informazione sullo svolgimento del giudizio. Impugnazione tardiva. Gli Ermellini, con la ordinanza citata, hanno ritenuto inammissibile il ricorso in cassazione sulla base delle seguenti articolate argomentazioni. L'ammissibilità dell'impugnazione tardiva, cioè oltre il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza articolo 38 d.lgs. numero 546/1992 , presuppone che la parte dimostri “l'ignoranza del processo”, ossia di non avere alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza. Tuttavia tale circostanza non è ravvisabile in capo alla parte costituita in giudizio, che non può sostenere di non conoscere la proposizione dell'azione. Per la rimessione in termini dell'impugnazione tardiva, l'interessato deve fornire prova di non aver avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di udienza ed a tal fine, non è sufficiente una «impossibilità relativa né tanto meno una mera difficoltà». Per la Suprema Corte, poiché il contribuente si era costituito in appello, avrebbe potuto verificare lo stato del processo e quindi accorgersi dell'eventuale esito. Conclusioni. La facoltà di impugnazione tardiva nel processo tributario è quindi prerogativa esclusiva della parte non costituita come nel processo civile del convenuto contumace nelle tassative e documentate ipotesi previste dalla norma citata articolo 38 d.lgs. numero 546/1992 . Nel processo tributario, l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza, presuppone che la parte dimostri l’ignoranza del processo, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, situazione che non si ravvisa in capo al ricorrente costituito in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione dell’azione, dovendosi ritenere tale interpretazione conforme ai principi costituzionali e all’ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa e il principio di certezza delle situazioni giuridiche. Né assume rilievo l’omessa comunicazione della data di trattazione, che è deducibile quale motivo d’impugnazione e in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato Cass. Civ., sez. V, 31 marzo 2015, numero 6513 . Sussiste un obbligo di verifica in capo ai difensori costituiti. In buona sostanza, ciò significa riscontrare presso la segreteria della relativa commissione tributaria, se sia stata fissata l'udienza e se sia stata depositata la relativa sentenza. Viene addossato al difensore un gravoso onere determinato da un disservizio della segreteria della commissione tributaria. È opportuno, alla luce di quanto sopra esposto, che le parti siano particolarmente diligenti e si informino per tempo sull’avvenuto deposito della sentenza, in quanto potrebbe accadere che la segreteria, pur essendone obbligata, non comunichi il dispositivo. L’impugnazione tardiva risulta ammissibile solo se la parte dimostra l’ignoranza del processo, cioè di non averne avuto conoscenza alcuna, per vizio di notifica del ricorso o della comunicazione di fissazione d’udienza. Tali condizioni non si verificano però nei confronti del soggetto già costituito in giudizio. In sintesi, il termine per impugnare decorre dalla data di pubblicazione della sentenza e non dalla sua comunicazione da parte della cancelleria, trattandosi solo di attività informativa e non costitutiva ai fini del trascorrere del tempo per l’impugnazione. Nonostante l’istituto della rimessione in termini sia applicabile anche nel giudizio tributario, nella specie si è verificato un errore di diritto non scusabile da parte dei contribuenti, non ravvisandosi alcun elemento impeditivo alla tempestiva proposizione del ricorso per Cassazione. Infatti, il concetto di causa non imputabile riguarda il verificarsi di un evento a che abbia il carattere dell’assolutezza e non di una mera impossibilità relativa o di una semplice difficoltà b che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza. In conclusione, l’essere già parte del giudizio addossa ai contribuenti l’onere di verificare lo stato del procedimento, indipendentemente quindi dalle dovute comunicazioni di cancelleria. Il presupposto della rimessione in termini è che la parte dimostri di non aver potuto esercitare tempestivamente un potere processuale per una causa a essa non imputabile es. per caso fortuito o forza maggiore , quando cioè l’evento impeditivo non poteva essere evitato nonostante l’adozione di un comportamento diligente. La generalizzata possibilità di rimessione in termini “a maglie larghe” fa perno sulla nozione di decadenza per “causa non imputabile”, ossia per una varietà di situazioni di incolpevolezza dell’agente che vanno ben al di là delle due ipotesi-limite della “forza maggiore” e del “caso fortuito” articolo 650 e 668 c.p.c. . Sulla sussistenza delle condizioni della norma ovvero sulla causa non imputabile occorre evidenziare come la decadenza debba essere collegata ad un evento non imputabile alla parte, come avviene ad esempio nelle ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore la causa invocata, inoltre, deve essere l’effettiva circostanza che ha determinato il verificarsi della decadenza. La rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’articolo 184-bis c.p.c. che in quella di più ampia portata contenuta nell’articolo 153, comma 2, c.p.c. richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte perchè dettata da un fattore estraneo alla sua volontà del quale è necessario fornire la prova ai sensi dell’articolo 294 c.p.c Ne consegue che non rientrano in tale categoria le scelte discrezionali della parte Cass. Civ., sez. lav., 25 marzo 2011, numero 7003 . L’ostacolo derivante da causa non imputabile deve presentare il carattere dell’assolutezza, mentre non è sufficiente la prova di una impossibilità relativa, cioè della semplice difficoltà o dell’impedimento che possa essere superato Cassazione numero 19836/11 , né può considerarsi incolpevole l’errore di diritto, consistente ad esempio nell’ignoranza circa la sussistenza di una norma giuridica Cassazione sentenze nnumero 17704/10 e 8715/14 . La decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto. Un’asserita causa di forza maggiore, per poter assurgere al rango di circostanza giustificativa della rimessione in termini, deve presentare oggettivi elementi di assolutezza. Sarà quindi il giudice, all’esito di una valutazione da effettuarsi caso per caso, a decidere se effettivamente le ragioni addotte dall’interessato sono o meno idonee a consentire l’espletamento tardivo di un’attività processuale altrimenti preclusa.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - T, ordinanza 14 maggio – 14 ottobre 2019, numero 25727 Presidente Greco – Relatore Luciotti Rilevato che - in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione di maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute per la registrazione della sentenza numero 10237 del 16/05/2008, emessa dal Tribunale di Roma, che aveva disposto la retrocessione ai contribuenti di un fabbricato precedentemente espropriato dal Comune di Roma, i contribuenti T.M.C. , nonché S.E. , S.O. e S.A. , quali eredi di S.R. , nonché S.V. e S.S. , quali eredi di S.M. , propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata Agenzia delle entrate con controricorso, nei confronti della sentenza della CTR laziale in epigrafe indicata, che aveva rigettato l’appello dei contribuenti avverso la sfavorevole sentenza di primo grado - con ricorso successivo la contribuente C.C. ha impugnato per cassazione la medesima sentenza sulla base di quattro motivi, cui ha replicato l’Agenzia delle entrate con controricorso - sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato articolo 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale i ricorrenti hanno depositato memorie. Considerato che - in via pregiudiziale, deve dichiararsi l’inammissibilità, per tardività, dei ricorsi - la sentenza impugnata, resa dalla CTR del Lazio, risulta depositata il giorno 11/01/0216 e non notificata, con conseguente applicabilità del c.d. termine lungo di cui all’articolo 327 c.p.c. - il ricorso principale risulta, tuttavia, spedito per la notificazione in data 10/12/2018 ed il ricorso successivo proposto da C.C. risulta spedito il 14/12/2018 - le notifiche sono, quindi, manifestamente tardive e non può attribuirsi rilevanza alle ragioni dedotte dai ricorrenti nel rispettivo primo mezzo di cassazione, incentrato sulla nullità della sentenza della CTR per omessa comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza di trattazione e del dispositivo della sentenza impugnata - i ricorrenti sostengono, infatti, di essere incorsi in decadenza, non imputabile agli stessi, per mancata comunicazione, da parte della segreteria della CTR, dell’avviso di trattazione della causa e dell’avviso di deposito della sentenza - in base al consolidato orientamento di questa Corte cfr. Cass. numero 9330 del 2017, numero 23323 del 2013 e numero 6032 del 1991 , nel processo tributario l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 38, comma 3, presuppone, tuttavia, che la parte dimostri l’ignoranza del processo , ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, situazione che non si ravvisa in capo al ricorrente costituto in giudizio, come nel presente caso, cui non può dirsi ignota la proposizione dell’azione, dovendosi ritenere tale interpretazione conforme ai principi costituzionali ed all’ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa ed il principio di certezza delle situazioni giuridiche nè assume rilievo l’omessa comunicazione della data di trattazione, che è deducibile quale motivo di impugnazione ai sensi dell’articolo 161 c.p.c., comma 1, in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato - ancora questa Corte ha, di recente, ribadito che il termine previsto dall’articolo 327 c.p.c., comma 1 decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti D.P.R. numero 546 del 1992, ex articolo 37, comma 2 trattandosi di attività informativa che resta estranea al procedimento di pubblicazione, della quale non è elemento costitutivo, nè requisito di efficacia v. Cass.7675/2015 Cass. 8508/2013 Cass. 639/2003 . È per questa ragione che è stato ritenuto privo di rilievo, nella fattispecie, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’articolo 153 c.p.c., comma 2, a seguito della L. numero 69 del 2009, pur essendone stata riconosciuta l’applicabilità al rito tributario da ultimo, Cass.12544/2015 Cass.8715/2014 Cass. 3277/2012 . Invero, è stato chiaramente precisato da questa Corte Cass. 8151/2015 che l’errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria di appello, rimane escluso dall’ambito di applicazione dell’istituto della rimessione in termine già previsto dall’articolo 184 bis c.p.c., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, numero 69, articolo 46, e sostituito dalla generale previsione di cui all’articolo 153, comma 2, in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile cfr. Cass. numero 17704 del 29/07/2010 , non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte e della prova del quale quest’ultima è onerata cfr. Cass. numero 23323 del 2013, che subordina l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, numero 546, articolo 38, comma 3, alla dimostrazione dell’ ignoranza del processo , dovendo la parte fornire prova di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza , postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza - e non già una impossibilità relativa, nè tantomeno di una mera difficoltà - e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza cfr. Cass. 8216 del 2013 così in Cass. numero 9330 del 2017, cit. - l’inammissibilità dei ricorsi rende superfluo l’esame degli ulteriori motivi di ricorso e, addirittura, di riferire sugli stessi - i ricorrenti, rimasti soccombenti, vanno condannati al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. dichiara l’inammissibilità dei ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.