Truffa all’ufficio postale, buggerati cento clienti. Legittimo il licenziamento del dipendente, anche se ha avuto un ruolo ‘minore’ nell’operazione

Sotto accusa direttore e addetto allo sportello per aver trattenuto le somme dei clienti, invogliati a investire in titoli. Assolutamente non fondato, per i giudici, l’appunto dell’addetto allo sportello sulla presunta genericità delle contestazioni mosse dall’azienda. E, comunque, neanche il minore apporto alla truffa può mettere in discussione la legittimità del licenziamento.

Contestazione disciplinare panoramica, senza minuziosi dettagli che permettano di ricavare le differenti quote di responsabilità dei ‘protagonisti’ dei fatti contestati, eppure tutto ciò basta – e avanza – per considerare fondato il provvedimento del licenziamento adottato dall’azienda Cassazione, sentenza numero 21264/2012, Sezione Lavoro, depositata oggi . Consigli truccati per gli acquisti. A finire sotto accusa sono il direttore e un addetto allo sportello di un ufficio postale a loro viene addebitato un ‘piano’ di raggiri operati nei confronti dei clienti. A questi ultimi è stato consigliato di scegliere quell’ufficio per l’«acquisto di titoli» come i ‘Buoni del Tesoro poliennali’, ma le cifre investite sono finite, in realtà, nelle tasche dei due dipendenti di Poste Italiane. A rendere ancora più grave la vicenda, poi, il fatto che ben cento persone siano state buggerate in un contesto davvero piccolo, un paesino di neanche mille anime! Alla luce dei fatti, la scelta dell’azienda è quella di optare per il licenziamento, ritenuto legittimo dai giudici, sia in primo che in secondo grado. Quadro d’insieme. A contestare il provvedimento, ora, è l’addetto allo sportello, che, ricorrendo in Cassazione, punta a ribaltare la decisione assunta dai giudici di Appello. Almeno sulla carta, però, le premesse sono poco favorevoli all’uomo a quest’ultimo, difatti, è addebitato, tra l’altro, il fatto di aver convinto ben trentacinque clienti «a disinvestire il proprio denaro ed ad impegnarlo presso l’ufficio postale nell’acquisto di titoli», aggiungendo che «non era più possibile investire il denaro in buoni postali fruttiferi». E, peraltro, gli è stato anche riconosciuto il ruolo di intermediario, avendo avuto il compito di «contrattare con i clienti la misura degli interessi» e di «corrispondere gli interessi alle scadenze». A proprio favore, invece, l’uomo porta un elemento la mancata indicazione del quantum delle responsabilità, con particolare riferimento alla «lettera di contestazione» messa ‘nero su bianco’ dall’azienda. Manca, cioè, secondo l’oramai ex dipendente delle Poste un quadro dettagliato degli addebiti a lui contestabili, e ciò, sempre secondo l’uomo, dovrebbe portare a una messa in discussione del licenziamento. Ma questa presunta genericità viene completamente messa in discussione dai giudici della Cassazione, i quali, condividendo quanto già affermato in Appello, mostrano di considerare assolutamente preciso il quadro tratteggiato dall’azienda, ossia «illecita attività di persuasione sui clienti circa la vantaggiosità di taluni investimenti omessa contabilizzazione delle operazioni riscossione ed appropriazione delle somme consegnate dai clienti». Senza dimenticare, poi, che la lettera di contestazione «conteneva l’indicazione analitica dei clienti che avevano consegnato il denaro, l’importo versato oggetto di appropriazione, la data di sottoscrizione del modello ‘prenotazione titoli’ da parte del singolo cliente». Si tratta di un quadro d’insieme cristallino, fondato sull’evidenza dell’«accordo» tra direttore e addetto allo sportello. Di conseguenza, chiariscono i giudici, si può affermare, tranquillamente, che «la condotta illecita è stata specificamente contestata, non incidendo sulla regolarità della stessa la mancata indicazione degli eventuali vantaggi economici singolarmente conseguiti dai due lavoratori o del contributo causale di ciascuno», avendo l’azienda contestato «l’esistenza di un’intesa tra i due dipendenti». Assolutamente proporzionato, quindi, il licenziamento – confermato anche dai giudici della Cassazione – dell’addetto allo sportello, licenziamento che non può neanche essere messo in discussione per il fatto che egli abbia convinto ‘solo’ trentacinque sui cento clienti buggerati.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 ottobre – 29 novembre 2012, numero 21264 Presidente De Renzis – Relatore D’antonio Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 10/12/2007 la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Termini Imerese che ha dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare di G.L., dipendente di Poste Italiane con la qualifica di operatore specializzato ed addetto allo sportello presso l’ufficio postale di Santa Cristina di Gela. La Corte territoriale, dopo aver rilevato l'infondatezza dell’eccezione sollevata dal lavoratore di mancanza di specificità delle contestazioni degli addebiti nonché di tardività della stessa contestazione oltre che di mancata valutazione delle ragioni addotte dal lavoratore a giustificazione, ha rilevato che dalla prova svolta era risultato che in almeno 35 dei casi esaminati dagli ispettori, clienti di Poste erano stati convinti dal L., d’intesa con G.B. direttore dell’ufficio postale suddetto, a disinvestire il proprio denaro ed ad impegnarlo presso l’ufficio postale di Santa Cristina di Gela nell’acquisto di titoli BTP con scadenza triennale o quinquennale, obbligazioni, titoli Mediobanca che il L. aveva detto loro che non era più possibile investire il denaro in buoni postali fruttiferi che spesso era lo stesso L. a contrattare con i clienti la misura degli interessi promessa ed a corrispondere loro gli interessi alle scadenze facendo apporre la firma per quietanza su foglio bianco o senza far firmare alcunché che i clienti consegnavano il denaro sottoscrivendo il modello di prenotazione titoli TDS il quale però non veniva inviato alla filiale per l’apertura del conto che lo stesso L. una volta scoperti i fatti aveva rassicurato i clienti che il B. avrebbe restituito tutto in quanto lui non c’entrava niente “mi hanno trascinato”. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione G.L. formulando due motivi. Si è costituita Poste Italiane con controricorso. Il L. ha depositato il dispositivo di sentenza penale in ordine ai fatti per cui è causa Poste Italiane ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art 7 l. numero 300/1970 articolo 360 numero 3 . Censura la sentenza in quanto la Corte territoriale ha ritenuto specifica la contestazione disciplinare ma, in modo contraddittorio, ha posto al fondamento della decisione fatti non indicati nella lettera di contestazione sebbene conosciuti da tempo dal datore di lavoro. Il ricorrente rileva, a conforto della genericità della contestazione, che Poste Italiane ha contestato a lui ed al B. i medesimi fatti senza specificare il singolo contributo causale, l’ammontare delle somme di competenza dell’uno e dell’altro, senza alcuna collocazione spazio temporale. Con il secondo motivo denuncia omessa insufficiente errata e contraddittoria motivazione articolo 360 numero 5 Censura la sentenza che, da un lato, afferma la specificità della motivazione e dall’altro, fonda la decisione su fatti non contestati al lavoratore. La Corte è incorsa in contraddizione là dove ha affermato la specificità della contestazione ma poi ha fatto riferimento anche ad altri fatti. I motivi esaminati congiuntamente stante la loro connessione, sono infondati. Il ricorrente ripropone davanti a questa Corte le censure già sollevate in appello circa la mancanza, nella lettera di contestazione, della specifica descrizione dei singoli episodi con l'indicazione della condotta a lui addebitabile. La Corte d’Appello con decisione che appare adeguatamente motivata e priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di diritto, ha escluso la denunciata mancanza di specificità della contestazione disciplinare. La Corte territoriale ha affermato che la lettera di contestazione del 10/12/02 riporta esplicitamente le condotte ascritte al ricorrente in concorso con G.B., direttore dell’ufficio potale di Santa Cristina di Gela. In particolare la Corte ha esposto che i fatti contestati consistevano nell’illecita attività di persuasione sui clienti circa lo vantaggiosità di taluni investimenti, l’omessa contabilizzazione delle operazioni, la riscossione ed appropriazione delle somme consegnate dai clienti derivanti da detti investimenti rivelatisi inesistenti per l’omessa contabilizzazione delle operazioni, il pagamento ai clienti di somme a titolo di interessi. La Corte territoriale ha, altresì, specificato che la lettera di contestazione conteneva l’indicazione analitica dei clienti che avevano consegnato il denaro, l’importo versato oggetto di appropriazione, la data di sottoscrizione del modello prenotazione titoli da parte del singolo cliente e che i fatti addebitati si concretizzavano “nell’accordo tra il L. ed il B. volto ad appropriarsi di denaro di clienti, nominativamente indicati, inducendoli a versare i propri risparmi nelle loro mani, di uno ovvero di entrambi, il L. ed il B., consegnando ai predetti dei modelli per la prenotazione o sottoscrizione di titoli di stato oppure obbligazioni, senza poi trasmettere tali moduli alla filiale di Palermo per l’apertura del conto clienti, omettendo di contabilizzare il denaro ricevuto”. Sulla base di tali elementi di fatto, evidenziati nella sentenza impugnata, è del tutto infondata l’eccepita genericità della contestazione disciplinare in quanto i fatti sono specificamente descritti ed hanno consentito al lavoratore di svolgere compiutamente la sua difesa. Il ricorrente lamenta che Poste non ha specificato il singolo contributo causale, l’ammontare delle somme di competenza dell’uno o dell’altro dei due dipendenti nonché l’assenza della collocazione spazio temporale. Le censure sono infondate atteso che la condotta illecita è stata specificamente contestata non incidendo sulla regolarità della stessa la mancata indicazione degli eventuali vantaggi economici singolarmente conseguiti dai due lavoratori o del contributo causale di ciascuno avendo l’azienda contestato l’esistenza di un’intesa tra i due dipendenti. Il ricorso, inoltre, manca della necessaria specificità ove il L. lamenta che solo nel costituirsi in giudizio davanti al Tribunale Poste Italiane aveva indicato tardivamente gli episodi a lui addebitati e che la Corte si era basata su fatti non contestati nella lettera del 10/12/02 il ricorrente infatti, non giudica, quali fatti, eventualmente nuovi, siano stati esposti dalla società soltanto nella memoria di costituzione per consentire a questa Corte di valutarne la rilevanza ai fini del giudizio sulla specificità della contestazione disciplinare. Dal ricorso sembra che il ricorrente individui tali fatti nuovi nella circostanza che dei circa 100 clienti indotti ad investire presso l’ufficio postale di Santa Cristina di Gela, secondo la Corte d’Appello, soltanto 35 sarebbero stati convinti dal L. ad investire il denaro e che, inoltre, era stato lo stesso ricorrente a contrattare con i clienti la misura dell’interesse. Appare evidente che la riduzione del numero dei clienti convinti dal L. o il suo intervento nella determinazione degli interessi non incidono sulla specificità della contestazione e non modificano la gravità della condotta addebitata al L. ed al B. e che ha portato al licenziamento per giusta causa. Il ricorso è, infine, del tutto inammissibile nella parte in cui censura 1a sentenza per aver affermato la responsabilità del L. e ritenuta sussistente la giusta causa di licenziamento. Il ricorrente, infatti, si limita a ripetere quanto esposto nell’atto di appello, così come dallo stesso ammesso nella premessa “nel merito” a pag. 19 del ricorso, senza denunciare vizi della sentenza. Il ricorso va, pertanto, respinto con condanna del ricorrente, soccombente, a pagare le spese processuali. Dette spese vengono liquidate in applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al d.m. 20 luglio 2012, numero 140 che ha determinato i parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministrero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012, numero 1, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, numero 27. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla resistente € 40,00 per esborsi ed € 4.000,00, oltre accessori di legge, per compensi.