Il mero pagamento di una somma di denaro ancorché non dovuta, se tuttavia egualmente è percepita, «non conduce per ciò stesso all’affermazione di un reato da parte del percipiente», ma il processo civile potrebbe essere un'altra storia
Comunque sia, ha specificato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 19716, depositata il 13 novembre 2012, nel caso di specie, le due vicende - di cui si sono occupati i due diversi giudici - sono diverse. Il caso. Un uomo veniva assolto dall’imputazione di bancarotta patrimoniale e documentale, con sentenza passata in giudicato, ma condannato, con distinto processo civile e in entrambi i gradi del giudizio di merito, al pagamento di oltre 117mila euro in favore di una società fallita, per cui aveva ricoperto la carica di amministratore. Assolto dal reato con sentenza passata in giudicato. Per l’uomo, che ha proposto ricorso per cassazione, il decreto ingiuntivo doveva essere annullato visto che la sentenza penale, passata in giudicato, aveva escluso il fatto posto a fondamento della predetta sentenza civile. Il processo civile riguarda una vicenda diversa. Ma la Corte di Cassazione non ribalta il verdetto dei giudici di merito, affermando l’assoluta diversità fattuale tra le vicende oggetto dei 2 giudizi e delle relative sentenze. «Nel giudizio penale – precisa la S.C. – si controverteva della responsabilità penale in ordine alla distrazione della somma in questione» giudizio poi conclusosi con l’esclusione della distrazione stessa. In quello civile, invece, si discuteva della spettanza, ovvero «della sussistenza eventuale di un titolo all’ottenimento della somma». La Corte, pertanto, non può fara altro che respingere il ricorso e condannare il ricorrente al pagamento delle spese.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 ottobre – 13 novembre 2012, numero 19716 Presidente Carnevale – Relatore Berruti Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Roma con sentenza numero 587 del 2005 rigettava il gravame proposto da M.A. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che non aveva accolto la sua opposizione al decreto ingiuntivo numero 1829 del 1998,dato a domanda del fallimento della Ponte su PO. La sentenza della Corte d'Appello, pertanto, confermava il decreto ingiuntivo avente ad oggetto la condanna del M. al pagamento della somma di L. 117.846.993 di cui L. 100.000.000 percepiti a titolo di compenso non dovuto per la carica societaria rivestita nella società poi fallita, e la rimanente parte per la mancata consegna al curatore fallimentare delle giacenze di cassa. Il M. dunque chiedeva la revocazione della predetta sentenza della Corte romana ai sensi dell'articolo 395 numero 5 codice di procedura civile. Chiedeva che, in conseguenza, la Corte pronunciasse sul merito della opposizione al decreto ingiuntivo, riformando la prima sentenza e revocando il decreto opposto. Il fallimento resisteva, eccependo l’inammissibilità e comunque l'infondatezza della domanda di revocazione. La Corte d'Appello rigettava la domanda di revocazione. Il M. aveva sostenuto esservi contrasto fra la sentenza di cui chiedeva la revocazione ed altra sentenza, emessa in sede penale, che lo aveva assolto dall'imputazione di bancarotta patrimoniale e documentale, passata in giudicato. Riteneva infatti che la corte d'appello aveva erroneamente rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo, rilevando la mancanza della forma scritta richiesta per le delibere assembleari che gli avevano attribuito la somma di lire 100 milioni, peraltro a titolo di rimborso spese e non invece quale compenso per la carica di amministratore. La sentenza penale, a suo dire, passata in cosa giudicata, aveva escluso il fatto posto a fondamento della predetta sentenza civile, che negando la predetta spettanza, aveva confermato la condanna al pagamento. La Corte di merito dunque, per quel che riguarda il presente giudizio, osservava che pur essendo astrattamente configurabile un contrasto tra giudicati penale e civile, nel caso che ne occupa i fatti oggetto dell'accertamento penale divenuto definitivo erano totalmente diversi da quelli sui quali invece era stata basata prima la ingiunzione e quindi la sentenza civile. Il M. , secondo la sentenza in esame che a sua volta riportava brani della sentenza penale, era stato assolto perché non era stato provato il delitto contestato e dunque l’ipotesi della distrazione delle somme da parte sua. Questione questa ben diversa dalla esistenza di un titolo di natura civilistica all'ottenimento ed al trattenimento della somma medesima. Contro questa sentenza ricorre per cassazione con atto articolato su due motivi M.A. . Resiste con controricorso il fallimento Ponte sul Po. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso il M. lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 2909 del codice civile in relazione all'articolo 75 del codice di procedura penale. Il ricorrente premette la sua consapevolezza circa la spettanza della valutazione del contrasto fra sentenze, al solo giudice del merito, cosicché la sua decisione, quando è condotta nel rispetto della legge ed adeguatamente motivata non può essere censurata in sede di legittimità. Tuttavia ritiene che nella vicenda ai sensi dell'articolo 75 del codice di procedura penale il processo civile di cui si tratta era proseguito e si era dunque trasferito, nell'ambito della giurisdizione penale. Pertanto la sentenza penale ormai definitiva avrebbe tolto, oltre ad ogni possibilità di individuare un delitto a suo carico, anche ogni dubbio circa la spettanza della somma in questione. Con il secondo motivo, che in quanto collegato e conseguente al primo va esaminato insieme ad esso, il ricorrente denunzia la violazione dell'articolo 2909 del codice civile, in relazione all'articolo 395 numero 5 cpc. A suo avviso il giudice civile nella ricerca della eventuale contrarietà fra due giudicati ovvero fra due sentenze, avrebbe dovuto esclusivamente riferirsi al solo presupposto di fatto delle stesse, e cioè l'esistenza, o meno, di una delibera societaria autorizzativa al pagamento della somma suddetta in suo favore. 2. I due motivi sono infondati. Il ricorrente dimentica che la corte di merito ha affermato la assoluta diversità fattuale tra le vicende oggetto dei due giudizi, civile e penale, e delle relative sentenze. Nel giudizio penale si controverteva della responsabilità penale in ordine alla distrazione della somma in questione, e tale giudizio si è concluso con l'esclusione della distrazione stessa. Nel giudizio civile invece si discuteva della spettanza, ovvero della sussistenza eventuale di un titolo all'ottenimento della somma. Poiché è ben evidente che il mero pagamento di una somma di danaro ancorché non dovuta, se tuttavia egualmente è percepita non conduce per ciò stesso all'affermazione di un reato da parte del percipiente, le due vicende di cui i due diversi giudici, penale e civile si sono occupati, sono tutt'affatto diverse. E detta fondamentale statuizione del giudice del merito, e le argomentazioni a sostegno, non sono scalfite dalle censure. 3. Il ricorso va pertanto respinto. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,liquidate in Euro 4500,00 di cui Euro 200,00 per spese ed esborsi, oltre agli accessori come per legge.