Il passeggero che ometta di indossare la cintura di sicurezza, in caso di sinistro, è responsabile unitamente ed in egual misura con il conducente che non l'abbia obbligato ad indossarla al momento dell'avvio.
Anche il passeggero di un veicolo a motore è un utente della strada, dunque, ove ometta di indossare la cintura è responsabile, unitamente al conducente, per i fatti dannosi che scaturiscano da detta omissione. Al fine di ridurre l'entità dei postumi derivanti da sinistro ed il conseguente importo da liquidarsi a titolo di risarcimento non può chiedersi al danneggiato di sottoporsi, contro la sua volontà, a trattamento sanitario. Il caso. Nel veicolo A viaggiavano Tizio - conducente e Caio - terzo trasportato. Il veicolo A si scontrava frontalmente con il veicolo B. Caio subiva lesioni fisiche di lieve entità inferiori a 9% . Il Tribunale, riconosceva la responsabilità concorsuale del terzo trasportato che al momento del sinistro non indossava la cintura di sicurezza, indi, liquidava in favore di Caio una somma pari al 20% del danno stimato. Caio, ritenendo errata ed incongrua la liquidazione, proponeva appello. Se il passeggero non indossa la cintura di sicurezza la responsabilità ricade sul conduttore? Il quesito, apparentemente labirintico, è decisamente importante al fine di individuare il principio di diritto in ragione del quale deve essere imputata la responsabilità civile per le conseguenze derivanti da sinistro stradale. La Corte di Appello di Firenze ha approfondito la questione ponendosi il seguente interrogativo «se la cintura non era indossata, è più colpevole il conducente, che non propose l’aut-aut, o ti metti la cintura o non si parte, o più colpevole la trasportata con una controproposta perentoria o senza cintura o senza di me?». La responsabilità è solidale. In caso di circolazione stradale, il conducente di un veicolo è obbligato a risarcire i danni prodotti a cose e persone se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Inoltre, in caso di scontro, si presume che ciascuno dei conducenti abbia concorso in modo eguale a causare il sinistro articolo 2054 c.c. . Infine, se il fatto è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido a risarcire il danno articolo 2055 c.c. . E' quindi evidente che principio generale informatore della circolazione stradale è quello secondo cui ciascun utente della strada, passeggero e/o conducente, debba comportarsi in modo da non costituire pericolo o ostacolo per la circolazione ed in modo tale da salvaguardare comunque la sicurezza stradale. Con questa argomentazione logico-giuridica, il giudice d'appello ha subito rigettato l'orientamento a tenore del quale il conducente sarebbe tenuto a far rispettare al passeggero l'obbligo di indossare la cintura, concludendo che l'omissione del conducente si somma a quella del passeggero, dunque, entrambe si pongono - con la stessa intensità - all'origine causale dei danni derivanti dal sinistro. L'omissione del primo non prevale, anzi, insieme, in egual misura, contribuiscono a generare l'evento da cui scaturiscono danni per effetto diretto, la responsabilità civile dovrà essere equamente ripartita al 50%. Come quantificare il danno. La parte convenuta contestava anche l'entità dei postumi individuati con apposita c.t.u. medico-legale, sostenendo che il danno per buona parte di natura estetica patito da Caio ed il relativo risarcimento, potevano essere ridotti attraverso un trattamento chirurgico di dermoabrasione. La logica giuridica di tale difesa, dovrebbe trovare fondamento nel comma secondo dell'articolo 1227 c.c., in ragione del quale il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. Tuttavia, tale concetto non può trovare concreta attuazione nel caso di specie, rilevato che i giudici, senza tentennamenti, hanno affermato che l'azione omissiva è attribuita solidalmente al conducente ed al passeggero che, insieme, hanno generato l'evento dannoso fatto così regolato anche dal primo comma dell'articolo 1227 c.c. . In ogni caso, se fosse accolta la tesi difensiva di parte convenuta, si consentirebbe una riduzione del danno attraverso l'imposizione al danneggiato di un trattamento sanitario ma ciò costituirebbe illegittima limitazione della libertà e del diritto alla salute. Sotto questo profilo, la Suprema Corte, con la pronuncia numero 15231/2007 – ha affermato « in tema di risarcimento del danno l'accertamento dei presupposti per l'applicabilità della disciplina di cui all'articolo 1227 c.c., comma2- che esclude il risarcimento nei confronti di quei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza - integra indagine di fatto, come tale riservata al Giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da motivazione congrua. In ogni caso, non può richiedersi al danneggiato di sottoporsi ad intervento chirurgico tra l'altro di esito incerto al fine di ridurre i postumi permanenti in modo da limitare il risarcimento dei danni». Per tutte le ragioni sin qui articolate, la C.A. ha riformato la sentenza del Tribunale adeguando l'importo liquidato in favore di Caio a titolo di risarcimento del danno biologico.
Corte di Appello di Firenze, sez. II Civile, sentenza 24 gennaio – 20 febbraio 2012, numero 238 Presidente relatore Paolo Occhipinti Fatto e diritto L’8.7.1999, in uno scontro frontale fra una Volkswagen Golf ed una Nissan Primera, B. V., passeggera trasportata dalla Golf, riportava lesioni con postumi invalidanti permanenti. La B. citava per il risarcimento avanti al Tribunale di Pistoia il conducente della Golf su cui viaggiava, S. A., e la relativa società assicuratrice Meie Assicurazioni s.p.a. ora Aurora Assicurazioni s.p.a. , non ritenendo satistattiva la somma di lire 11 milioni ricevuta da quest’ultima. Con sentenza del 15.6.2004 l’adito Tribunale, supposto che, per la presunzione di responsabilità concorrente dei due contrapposti conducenti articolo 2054 c.c. , la B. avesse diritto a pretendere dal convenuto solo il 50% del danno patito, e supposto che, per il mancato uso della cintura di sicurezza da parte della danneggiata, la responsabilità andasse ulteriormente ripartita nella proporzione del 20% per il S., conducente, e del 30% per la trasportata, arrivava alla conclusione che quest’ultima avesse diritto al risarcimento del solo 20% dell’intero danno e siccome la somma ricevuta dalla società assicuratrice era “ ampiamente esaustiva ”, rigettava la domanda. Avverso tale sentenza ha proposto appello la B. resiste al gravame la Meie Assicurazioni contumace è rimasto il S Ciò premesso, rileva subito la Corte l’errore del primo giudice, che ha ignorato il disposto dell’articolo 2055 c.c., secondo il quale, se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte ne sono responsabili in solido. Avendo, perciò, l’attrice riportato il danno a seguito di uno scontro con responsabilità solidale e presunta ex articolo 2054 dei due conducenti, essa aveva ed ha diritto a pretendere l’intero risarcimento anche da uno solo di essi. Rimane il problema della ripartizione della responsabilità nel rapporto interno fra trasportatore e trasportata, problema che il primo giudice ha creduto di risolvere con prevalenza della responsabilità della trasportata, in un rapporto di tre a due, sulla scorta di una sentenza della Cassazione la 4993/04 , in verità assai diversa da come egli l’ha intesa. Ora, al fine di cui sopra è, intanto, da osservare che esattamente, il Tribunale ha ricollegato l’evento lesivo al fatto che l’infortunata non indossava la cinture di sicurezza. La stessa, infatti, si è ferita trauma cranico sbattendo la fronte contro il parabrezza della Golf. Le rimostranze dell’appellante al c.t.u., reo di essersi presa l’iniziativa di dire che la periziata viaggiava senza cintura, formalmente possono anche essere giuste, ma nella sostanza nulla tolgono al fatto che, se, per contraccolpo dell’urto, uno sbatte con la testa contro il parabrezza, per di più frantumandolo, è giocoforza dedurne che non indossava la cintura. Né serve sostenere che la cintura era indossata e che l’appellante al momento dell’incidente “ era protesa in avanti nel tentativo di recuperare una sigaretta sfuggita di mano al guidatore ” se così fosse stato, essa avrebbe sbattuto non la fronte, ma la nuca o, semmai, la calotta cranica, ed in ogni caso non contro il parabrezza, ma contro qualche cosa di molto più basso. E dunque, se la cintura non era indossata, è più colpevole il conducente, che non propose l’ aut-aut, o ti metti la cintura o non si parte, o più colpevole la trasportata con una controproposta perentoria o senza cintura o senza di me? Quando due vogliono o omettono di volere la stessa cosa, come si fa a stabilire chi dei due ha voluto o ha omesso di più, e chi meno? E’ come se le due mani che applaudono questionassero su chi applaude di più. L’omissione dell’uno ha contribuito alla produzione dell’evento esattamente come ha contribuito l’omissione dell’altro l’attrice non sarebbe andata ad urtare il parabrezza con la fronte sia nel caso che, in mancanza di cintura, il conducente si fosse rifiutato di trasportarla, sia nel caso che fosse stata lei a rifiutare di essere trasportata. Pertanto, il concorso di colpa della danneggiata va stabilito nel 50% rispetto al convenuto il che vuol dire che essa ha diritto al 75% del danno complessivo. Di nessun significato giuridico l’obiezione punto 3 dell’atto di appello che il conducente non sarebbe legittimato ad eccepire il non uso della cintura da parte della trasportata, “ dal momento che egli stesso quale conducente dell’auto era tenuto a fare rispettare tale obbligo”. Seguendo un tale ragionamento, neanche l’attrice sarebbe legittimata a rimproverare alcunché al conducente, dato che l’obbligo d’indossare la cintura era suo, non meno di quanto fosse del conducente quello di fargliela indossare. E dovremmo rigettare in toto la domanda. Infine, la quantificazione del danno. Come accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio, la Dongiovanni ha riportato postumi invalidanti pari al 7% dell’integrità psicofisica, quasi interamente riferibili al danno estetico. Erroneamente la sentenza di primo grado ha ridotto al 4,5% il danno permanente in considerazione di una possibile riduzione attraverso un intervento di chirurgia plastica. Operando in tal modo, il primo giudice avrebbe dovuto liquidare almeno il danno patrimoniale corrispondente al preventivabile costo dell’intervento comunque, è principio consolidato che il danneggiato non è tenuto a sottoporsi ad interventi chirurgici finalizzati a ridurre il danno, quando none ne è certo l’esito ed essi possono essere per la persona particolarmente sacrificanti Cass. 6.7.2007 numero 15231 . L’assunto della società assicuratrice che tale danno potrebbe essere ridotto “ con un banale intervento di dermoabrasione” non trova riscontro nella c.t.u., dove si parla di intervento chirurgico “ e” trattamento dermoabrasivo, con ulteriore periodo d’invalidità temporanea di 20 giorni e il risultato migliorativo, per quanto probabile, non è garantito. Conseguentemente, il danno complessivo patito dall’appellante si determina come segue applicazione delle tabelle del foro milanese euro 8.226,70 per danno biologico permanente, euro 1.033,00 per danno da invalidità temporanea totale 20 giorni , euro 387,30 per danno da invalidità temporanea parziale ed euro 4.762,98 per danno morale in totale, euro 14.405,00. Ciò con riferimento alla data del sinistro luglio 1999 . Detratto il 25% conseguente al concorso di colpa dell’infortunata, il danno risarcibile si riduce ad euro 10.803,75. Sommando rivalutazione monetaria ed interessi si può fare ascendere tale cifra con arrotondamento ad euro 11.200,00 alla data del 5.4.2000, quando la società assicuratrice corrispose la somma di lire 11.000.000, pari ad euro 5.681,03. Conseguentemente, il credito risarcitorio residuo, dopo la corresponsione dell’acconto, ammonta ad euro 5.319,00 cifra arrotondata . Da tale data sono ulteriormente dovuti rivalutazione monetaria ed interessi legali. Accogliendosi in parte la domanda, merita applicazione una parziale compensazione delle spese. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiara il diritto dell’appellante B. V. al risarcimento, nei confronti degli appellati, del 75% dei danni riportati nel sinistro per cui è causa. Conseguentemente, condanna S. A. e la Aurora Assicurazioni s.p.a. quale incorporante la Meie Assicurazioni s.p.a. , a pagare a B. V. la somma residua di euro 5.319,00, oltre alla rivalutazione monetaria ed agl’interessi legali sugl’importi anno per anno rivalutati, entrambi a decorrere dal 5.4.2002. Dichiara compensate per un quarto le spese processuali di entrambi i gradi, e condanna il S. e la Aurora Assicurazioni s.p.a. al pagamento in favore dell’appellante dei restanti tre quarti, quota che liquida come segue per il primo grado, euro 120,00 per spese vive, euro 900,00 per diritti ed euro 1.200,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CAP secondo legge per il secondo grado, euro 210,00 per spese vive, euro 750,00 per diritti ed euro 1.200,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CAP secondo legge. Pone le spese di consulenza tecnica d’ufficio a totale carico degli appellati, in solido, e ne ordina il rimborso se e nella misura in cui siano state anticipate dall’attrice.