Un avvocato è accusato da una donna di aver percepito una somma di denaro e di non aver rilasciato il relativo documento fiscale la difesa del professionista, debole nel giudizio disciplinare, si limita a negare il fatto solo in Cassazione quando ormai è troppo tardi.
Il caso. Talvolta il rapporto tra avvocato e cliente può non essere idilliaco. È questo il caso di una donna che presenta un esposto all’Ordine con il quale lamenta il fatto che l’avvocato alla quale si era rivolta e al quale aveva affidato dei documenti importanti, si sarebbe rifiutato di fissarle un appuntamento e di parlarle perfino per strada. Inoltre, sostiene la donna, il professionista avrebbe ricevuto da lei 600 euro come acconto per i quali non sarebbe stata rilasciata la regolare fattura. Infine, l’avvocato si sarebbe rifiutato più volte di restituire i documenti alla cliente rilasciandoli solo dopo aver ricevuto un pagamento di 5.000 euro. C’è qualche lacuna difensiva in merito ai 600 euro. Per il professionista scatta quindi il procedimento disciplinare. La donna, invitata due volte come teste, dichiara l’impossibilità a comparire e pur ammettendo di non essere mai stata rappresentata in giudizio dall’avvocato, non ritratta la circostanza del versamento di 600 euro senza ricezione della fattura. Il difensore dell’incolpato chiede il proscioglimento del suo assistito sostenendo che, una volta negati i rapporti di prestazione professionale, l’omessa fatturazione resta priva di ogni consistenza fattuale. Manca un necessario chiarimento circa i soldi percepiti. La tesi difensiva non convince il Consiglio nazionale forense che ritiene non essere stata fornita una valida specificazione circa l’omessa fatturazione ed infligge al professionista la sanzione dell’avvertimento. Viene allora proposto ricorso in Cassazione, dove l’avvocato sostiene di non aver mai avuto rapporti professionali con la donna e di non aver incassato alcun acconto. È stato disatteso il principio di autosufficienza. Le sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 2703/12 depositata il 23 febbraio scorso, dichiarano il ricorso inammissibile e precisano che «a fronte di una sentenza che ha espressamente escluso l’esistenza di contestazioni in ordine al pagamento di 600 euro, l’avvocato non avrebbe potuto limitarsi a sostenere il contrario, perché in base al principio di autosufficienza del ricorso avrebbe dovuto, ancor prima, chiarire in quali termini ed in quali atti del giudizio aveva negato di averli ricevuti».
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 7 – 23 febbraio 2012, numero 2703 Presidente Miani Canevari – Relatore Tirelli Fatto e diritto La Corte, rilevato in fatto, dalla lettura della sentenza impugnata, che in data 19/3/2007 A.P. ha inviato al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trani un esposto con il quale ha lamentato che l'avv. F F., al quale aveva affidato dei documenti importanti, si era rifiutato di fissarle un appuntamento a studio e di parlarle persino per strada che successivamente, la P. ha ulteriormente riferito di essere riuscita ad incontrare l'avv. F. e di avergli pagato 600 Euro senza, però, ricevere nessuna ricevuta né ottenere la restituzione dei documenti, che gli sarebbero stati riconsegnati solo dietro il pagamento di 5.000 Euro che per quanto ancora interessa in questa sede, l'avv. F. è stato allora citato a giudizio disciplinare per avere, fra l'altro, mancato di rilasciare fattura a fronte dei predetti 600 Euro che invitata due volte come teste, la P. ha dichiarato di essere impossibilitata a comparire, aggiungendo che l'avv. F. non l'aveva mai rappresentata in alcun giudizio che il difensore dell'incolpato ne ha chiesto il proscioglimento, ribadendo che l'avv. F. non aveva mai avuto nessun rapporto professionale con l'esponente che il Consiglio dell'Ordine ha, però, pronunciato condanna, in quanto l'omissione della fatturazione non era mai stata smentita dalla P. che l'avv. F. si è gravato al Consiglio nazionale forense, il quale ha confermato che la signora P. non a veva mai ritrattato la circostanza di aver dato una cifra di 600 Euro e di non aver ricevuto in cambio la fattura che tale circostanza, a fronte della quale l'incolpato non aveva fornito valida specificazione , in quanto si era limitato a dire che a seguito della ritrattazione della P., che a veva negato i rapporti di prestazione professionale, l'omessa fatturazione era resta ta priva di ogni consistenza fattuale , poteva ritenersi perciò incontestata al pari, d'altronde, della commissione dell'illecito da parte dell'avv. F., cui andava inflitta la sanzione dell'avvertimento in considerazione della non particolare gravità del fatto e dell'assenza di precedenti disciplinari che l'avv. F. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con l'unico motivo l'illogicità ed insufficienza della motivazione, perché contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, aveva sempre sostenuto di non aver avuto rapporti professionali e di non aver incassato alcun acconto dalla P. che, dal canto suo, non aveva provato di averlo pagato ed, anzi, aveva spontaneamente ammesso di non essere mai stata rappresentata in giudizio che a fronte di una sentenza che, come si è visto, ha espressamente escluso l'esistenza di contestazioni in ordine al pagamento dei 600 Euro, l'avv. F. non avrebbe potuto, però, limitarsi a sostenere il contrario, perché in base al principio di autosufficienza del ricorso avrebbe dovuto, ancor prima, chiarire in quali termini ed in quali atti del giudizio aveva negato di averli ricevuti che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, senza necessità di provvedere sulle spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Consiglio dell'Ordine e la qualità di parte in senso solo formale del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il ricorso inammissibile.