Compie il reato, prova a smentire e non si pente: la Cassazione conferma la condanna

Bocciata la deduzione di motivazione contraddittoria e di travisamento della prova, nonché la domanda volta a riconoscere le attenuanti generiche l’uomo deve rispondere di violenza sessuale e sequestro di persona.

Lo afferma la sentenza numero 20882/12 – della Cassazione Penale – depositata in data 30 maggio. Violenza e sequestro. Un uomo veniva dichiarato colpevole nei primi due gradi di giudizio per aver costretto una donna, con violenze e minacce, a subire un rapporto sessuale articolo 609 bis c.p. e per aver privato la medesima della libertà, obbligandola a stare in macchina fino alla consumazione dell’atto erotico 605 c.p. . In particolare la Corte di Appello di Bologna, nel condannare il soggetto a sei anni di reclusione, poneva l’accento sul fatto che non fosse credibile la versione da lui fornita, ossia di un rapporto consensuale seguito dalla feroce reazione della donna dovuta all’accusa di avergli rubato il telefonino o al rifiuto di pagarla dopo il compimento dell’atto . Veritiera la narrazione della donna. Il ricorso sollevato dall’uomo in Cassazione è infondato. Innanzi tutto, la prova della responsabilità del violentatore è stata corredata da precisi dettagli ed è risultata fornita con univoca versione. Tanto le affermazioni di testimoni e della polizia giudiziaria, quanto le ferite riscontrate sul corpo della malcapitata sono apparsi pienamente compatibili con la dinamica di stupro. La tesi presentata dal soggetto è quindi inverosimile e fantasiose. Attenuanti non riconosciute. La contestazione di erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata concessione delle generiche – esclusivamente sulla base del comportamento tenuto dall’uomo in sede processuale e senza considerare gli elementi favorevoli – non trova accoglimento. Il giudice di seconde cure ha fornito congrue, specifiche e adeguate motivazioni sulle ragioni per le quali non ha riconosciuto le attenuanti. L’incensuratezza e l’inserimento sociale sono insufficienti e ampiamente superati dalla mancanza di resipiscenza avendo l’imputato a più riprese denigrato la vittima attribuendole una condotta di vita amorale , a fronte di un fatto che esprime, di per sé, una notevole capacità e inclinazione alla delinquenza.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 marzo – 30 maggio 2012, numero 20882 Presidente Mannino – Relatore Franco Svolgimento del processo Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Bologna confermò la sentenza emessa il 6.5.2010 dal tribunale di Parma, che aveva dichiarato M.A. colpevole dei reati di cui A all'articolo 609 bis cod. penumero per avere con violenza e minacce costretto Mo.Ha. a subire un rapporto sessuale nella sua auto B all'articolo 605 cod. penumero per avere privato la medesima della libertà personale trattenendola a bordo dell'auto fino alla consumazione del rapporto sessuale C agli articolo 582, 585 cod. penumero , e lo aveva condannato alla pena di anni sei di reclusione, oltre pene accessorie e risarcimento dei danni in favore della parte civile. In particolare, la corte d'appello, tra l'altro, rilevò, da un lato, che non era credibile la versione dell'imputato secondo cui il rapporto era stato consensuale e che la reazione successiva della donna era dovuta all'accusa di avergli rubato il cellulare o al rifiuto di darle il denaro richiesto e, dall'altro lato, che il sequestro di persona si era verificato anche dopo il compimento dell'atto sessuale, quando l'imputato aveva costretto la donna a risalire in auto per accompagnarla a casa. L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo 1 mancanza o manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova circa la sussistenza del delitto di violenza sessuale. Lamenta il vizio di motivazione innanzitutto in ordine alle modalità con le quali si sarebbe consumata la violenza sessuale perché con l’atto di appello aveva evidenziato l'impossibilità della dinamica descritta dalla M. secondo cui il sedile dell'auto sarebbe stato repentinamente declinato e la portiera bloccata per impedire al passeggero di uscire. E difatti il consulente tecnico della difesa aveva dimostrato che non vi era la presenza né di chiusura centralizzata né di sedili ribaltabili con una leva. La corte d'appello ha risposto sul punto in modo manifestamente illogico senza considerare che la chiusura manuale della portiera non escludeva che la stessa si sarebbe comunque potuta aprire dall'interno e che il sedile era ribaltabile solo con un certo lasso di tempo e con l'aiuto del passeggero ma non in modo repentino, sicché erano irrilevanti la foga e l'impeto dell'imputato. La corte ha poi totalmente omesso di esaminare le richiamate condizioni dell'abitacolo che non presentavano alcun segno riconducibile ad urti o colluttazioni. Osserva che la motivazione è manifestamente illogica anche in ordine alle lesioni refertate che consistevano in un semplice arrossamento dei genitali con esclusione di segni di lesioni contusive o traumatiche recenti e che illogicamente e paradossalmente sono state ritenute dalla corte d'appello un riscontro delle modalità violente del rapporto avvenuto con foga e impeto. Illogicamente poi la sentenza impugnata da rilievo alle altre lesioni accertate, che consistevano soltanto in una escoriazione alla mano ed in piccole ecchimosi alla gamba destra e che anch'esse non si conciliano con una violenza sessuale all'interno dell'auto. Lamenta poi che la motivazione è carente nel suo complesso perché distorce i dati probatori e non prende in considerazione gli argomenti della difesa, ed in particolare la precedente esperienza della donna in un centro antiviolenza che sminuisce il valore della immediatezza della denuncia il fatto che l'imputato aveva detto che la donna aveva reagito con violenza non all'accusa di aver rubato il cellulare ma al rifiuto di regalarle Euro 200,00 che le occorrevano che la risalente conoscenza nel tempo tra i due influiva sulla versione secondo cui vi erano già stati rapporti sessuali consenzienti, negati dalla donna. 2 violazione dell'articolo 521 cod. proc. penumero in ordine alla imputazione di sequestro di persona e conseguente nullità della sentenza ex articolo 522 cod. proc. penumero Osserva che è stato condannato per il sequestro di persona che avrebbe commesso dopo la consumazione del rapporto sessuale quando avrebbe costretto la donna a risalire in auto per accompagnarla a casa, mentre con il capo di imputazione gli era stato contestata la privazione della libertà sessuale contestualmente alla violenza sessuale e fino alla consumazione del rapporto sessuale. Si tratta di fatti diversi il cui mutamento ha inciso concretamente sul diritto di difesa che era stata impostata sull'assorbimento della privazione della libertà nel delitto di violenza sessuale e non su una autonoma privazione di libertà successiva. 3 mancanza di motivazione circa la sussistenza del delitto di sequestro di persona. Lamenta che non sono state esaminate le questioni poste dalla difesa con l'atto di appello ed in particolare quella della mancanza dello elemento soggettivo del reato, essendo stata la sua condotta finalizzata non a privare la donna della libertà personale ma a riaccompagnarla a casa e non lasciarla sola in un luogo isolato. 4 erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche esclusivamente sulla base del comportamento processuale tenuto dall'imputato e senza considerare gli elementi favorevoli al riconoscimento delle attenuanti. La corte ha così inammissibilmente negato le attenuanti generiche solo perché l'imputato aveva esercitato il suo fondamentale diritto di difesa offrendo una versione dei fatti alternativa a quella dell'accusa, e ciò in presenza di una situazione di fatto che si presta potenzialmente a diverse interpretazioni. 5 manifesta illogicità della motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, inosservanza dell'articolo 442, comma 2, cod. proc. penumero in riferimento alla diminuzione della pena. Lamenta che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto superflue le prove indicate dalla difesa nella richiesta di rito abbreviato condizionato, e cioè l'escussione del teste Me. che era stato a cena con l'imputato, la persona offesa ed altra ragazza la sera del fatto e la perizia sull'auto dell'imputato. La corte ha erroneamente ritenuto l'inutilità della testimonianza sulla base del tenore della stessa in corso di dibattimento, mentre la verifica dei presupposti richiesti dall'articolo 438, comma 5, cod. proc. penumero deve rifarsi ad una valutazione ex ante. Ancor più evidente era la necessità della perizia che è stata ritenuta superflua a causa della presenza della relazione del consulente della difesa, la quale però poi, in sede di decisione, è stata ritenuta ininfluente e disattesa. Invece, a fronte di una consulenza che smentiva totalmente il racconto della persona offesa, il giudice avrebbe dovuto disporre la perizia per accertare riscontri tecnico oggettivi alla ricostruzione fornita dall'accusa, non avendo il PM nominato un proprio consulente. Motivi della decisione Il ricorso è infondato. Può preliminarmente rilevarsi che la prova della responsabilità dell'imputato per i reati contestatigli è stata, con una articolata, ampia, coerente e completa motivazione, estesa a tutti gli elementi forniti dal processo, desunta dalla sentenza di primo grado soprattutto sulla base delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, che sono state ritenute pienamente attendibili, perché dotate di credibilità intrinseca, per la loro sincerità, schiettezza, per essere stata sempre fornita una univoca versione, corredata di precisi dettagli e coerente-mente ripetuta, nonché scevra da motivazione di odio o risentimento verso l'imputato. I giudici del merito hanno poi evidenziato che tali dichiarazioni, già di per sé credibili, avevano trovato elementi di riscontro nelle dichiarazioni delle amiche e coinquiline di H. che avevano visto questa rientrare a casa sconvolta, piangente per la disperazione ed in uno stato tale di agitazione da non riuscire nemmeno a parlare, riferendo subito di essere stata vittima di una violenza sessuale. Altri riscontri si rinvenivano nelle dichiarazioni degli agenti di polizia giudiziaria che si erano recati a casa della donna dopo che questa li aveva chiamati ed avevano notato che era tremante, con lo sguardo perso, trafelata e presentava escoriazioni, graffi alla mano, lividi sul ginocchio e segni al collo, oltre ad una crisi di pianto. Altri riscontri venivano poi dalla deposizione della amica F. . Vi erano inoltre riscontri oggettivi, costituiti dalla documentazione sanitaria, che attestava la presenza di escoriazione alla mano, ecchimosi alla gamba destra, arrossamento delle grandi e piccole labbra e del clitoride, distorsione al polso sinistro segni tutti pienamente compatibili con la descritta dinamica dello stupro . A ciò si aggiungeva il fatto che l'imputato, rintracciato dagli agenti, presentava vistosi e profondi graffi sul viso e sul collo. La sentenza di primo grado aveva poi osservato, con congrua ed adeguata motivazione, che la tesi alternativa prospettata dal prevenuto era completamente inverosimile, per tutta una serie di ragioni dettagliatamente indicate. Ciò posto, il primo motivo di ricorso è infondato perché le eccezioni con esso proposte sono assolutamente inidonee ad inficiare le ragioni sulle quali si fonda il convincimento della piena attendibilità della persona offesa e quindi della responsabilità dell'imputato. Invero, quanto alla censura relativa alla motivazione sulle modalità con le quali sarebbe stata consumata la violenza sessuale, i giudici del merito hanno, con congrua ed adeguata motivazione, osservato che i rilievi del consulente di parte non escludevano che il fatto si fosse svolto così come raccontato dalla donna. Infatti, la mancanza di chiusura centralizzata nel veicolo non era incompatibile col blocco dello sportello dal lato del passeggero, avendo in particolare la persona offesa riferito che il M. si era allungato verso di lei proprio per toccare qualcosa in quello sportello. I giudici hanno anche ritenuto irrilevante il fatto che il sedile non si abbassava a scatto ma con la rotazione di una manopola a ghiera, perché il ribaltamento del sedile era comunque fattibile e la relativa manovra fu solo percepita dalla donna, colta di sorpresa, come repentina e improvvisa. Quanto alle lesioni refertate, basta rilevare che esse non hanno costituito prova della violenza sessuale, ma solo elemento di riscontro delle dichiarazioni della Mo. e, sotto questo profilo, la motivazione è pienamente logica nella parte in cui le ha appunto considerate elemento di riscontro in quanto erano perfettamente compatibili sia con i gesti violenti compiuti dall'imputato per tener ferma la donna sia con un rapporto sessuale avvenuto non consensualmente. La sentenza impugnata ha poi motivatamente ritenuto irrilevante la presunta difformità di un paio di settimane sul momento il cui la vittima e l'imputato si erano conosciuti anche perché la maggiore durata certamente non dimostrava che vi era stata una relazione intima, negata dalla donna ed ha poi plausibilmente rilevato che la versione dell'imputato, secondo cui la Mo. aveva reagito furiosamente all'accusa di avergli sottratto il cellulare o al rifiuto di darle 200 Euro, non spiega come mai egli si fosse lasciato deturpare il volto con profondi graffi visibili ancora a distanza di settimane, graffi che invece dimostravano che il M. , intento a sopraffare la vittima, aveva dovuto sottostare all'unica forma di difesa che la stessa aveva potuto approntare. Il secondo motivo è inammissibile perché consiste in una censura nuova non dedotta con l'atto di appello, e che non può quindi essere proposta per la prima volta in questa sede di legittimità. Il terzo motivo è infondato perché i giudici del merito, con congrua ed adeguata motivazione, hanno ritenuto che l'imputato aveva con violenza privato la donna della libertà personale dopo la consumazione del rapporto sessuale e dopo che la Mo. era già uscita dall'auto, allorché il M. la fece con forza rientrare all'interno della autovettura, afferrandola per un braccio e tenendola rinchiusa nell'abitacolo durante tutto il tragitto verso casa, sebbene essa avesse dimostrato di non volere rimanere più nemmeno un attimo con l'imputato. I giudici hanno anche adeguatamente motivato sullo elemento psicologico, osservando che l'imputato aveva voluto impedire alla donna di chiedere aiuto, dal momento che questa, uscita dall'auto, lo aveva subito chiesto, gesticolando in direzione di una autovettura comparsa sulla strada e cercando di attirare l'attenzione. È infondato anche il quarto motivo perché la corte d'appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali non ha riconosciuto le attenuanti generiche, in considerazione del fatto che l'incensuratezza e l'inserimento sociale erano insufficienti e comunque ampiamente superati dalla mancanza di resipiscenza avendo l'imputato denigrato la vittima attribuendole una condotta di vita amorale , a fronte di un fatto che esprimeva notevole capacità a delinquere. È infine altresì infondato il quinto motivo perché la sentenza impugnata ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione anche in ordine al rigetto della domanda di rito abbreviato condizionato, essendo superflue le prove richieste. Il tribunale aveva invero ritenuto inutile una perizia sull'auto, in quanto la rilevanza di un tale accertamento si ricavava dalle conclusioni tratte dal consulente di parte. La non necessità di assumere il teste Me. derivava poi dalla genericità della richiesta e dalla omessa specificazione di circostanze determinanti sulle quali avrebbe dovuto deporre il teste. Del resto, il tribunale non avrebbe potuto escludere solo una delle prove richieste. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.