Richiesta congiunta di restituzione del doppio della caparra e di risarcimento del danno?E’ abuso processuale

Se in un contratto vi è stata la consegna di denaro a titolo di caparra confirmatoria, il contraente non inadempiente che ha agito per la risoluzione con relativo risarcimento, in appello non può chiedere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della somma.

In tema di contratti nei quali si abbia la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione giudiziale o di diritto ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra o pagamento del doppio , avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso - alla irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto. In tal senso si esprime la Corte di Cassazione con la pronuncia numero 3474/12 depositata il 6 marzo scorso, richiamando le argomentazioni espresse in analoghe decisioni rese in tema di risoluzione del contratto e restituzione della caparra confirmatoria. I fatti di causa. In presenza di un preliminare a seguito del quale non è stato stipulato il contratto definitivo, il promissario acquirente, lamentando l’inadempimento del promittente alienante, ha citato quest’ultimo in giudizio, chiedendo la risoluzione del contratto preliminare e la restituzione di un importo pari al doppio della caparra versata. Accolta tale richiesta in primo grado, la sentenza viene riformata in appello, sul presupposto che in realtà era stata accolta la domanda di recesso, promossa in via subordinata rispetto a quella di risoluzione da ciò sarebbe disceso che la promissaria acquirente aveva diritto non al doppio della caparra, ma solo all’importo consegnato a titolo di caparra. Di fronte a tale decisione, la promissaria acquirente ha promosso ricorso per Cassazione, sostenendo che, in realtà, le domande promosse non erano due risoluzione e recesso , ma una sola comprensiva di due voci. Caparra confirmatoria nozione e caratteri. La funzione della caparra confirmatoria – disciplinata dall’articolo 1385 c.c. – è quella, in sostanza, di garantire, almeno parzialmente e con un effetto di “pressione”, l’adempimento del vincolo obbligatorio assunto, per il tramite della consegna, all'altra parte del contratto, di una somma di denaro o altre cose fungibili . Se la parte che ha concesso la caparra si rende inadempiente, l'altra può recedere dal contratto e trattenere la somma se inadempiente è la parte che ha ricevuto la caparra, l'altra parte può sempre recedere e richiedere il doppio di quanto versato. Se, invece, il contratto viene regolarmente eseguito, l’importo consegnato a titolo di caparra viene restituito o detratto dall’importo complessivo della prestazione. E’ in ogni caso consentito all’interessato di chiedere l’esecuzione o la risoluzione del contratto, ma in tale caso – come, peraltro, nel caso di specie – il risarcimento del danno è regolato dalla disciplina prevista dagli articolo 2043 c.c. e non è legato, in alcun modo, all’importo oggetto di caparra. Diversa è invece la funzione della caparra penitenziale articolo 1386 c.c. che rappresenta il corrispettivo del diritto di recesso, stabilito convenzionalmente. Chi decide di recedere deve dare all'altra parte quanto pattuito a titolo di caparra penitenziale e l'altra non potrà chiedere altro. O caparra o risarcimento del danno, altrimenti La pronuncia in commento conferma la posizione già espressa dalla Cassazione per quale la parte non inadempiente che abbia proposto domanda di risoluzione, volta ad ottenere il risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti, non può chiedere la trasformazione di quest’ultima in domanda di recesso con ritenzione di caparra, considerato il rapporto di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale tra i due rimedi caducatori degli effetti del contratto. Ciò in forza della finalità propria della caparra, che consiste in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno, proprio per evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso Cass., Sez. Unite, numero 553/09 . Tale obiettivo sarebbe infatti frustrato se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alla propria aspettativa. L’articolo 1385 c.c. prevedendo, nei casi di contratti in cui sia stata consegnata una caparra confirmatoria ed a fronte dell’inadempimento dell’altra parte, l’alternatività dei rimedi del recesso e della risoluzione, ne esclude implicitamente la cumulabilità nello stesso giudizio, atteso che proprio questa evenienza è stata esclusa dal giudicante, il quale ha rilevato che, avendo l’attore chiesto fin dall’atto di citazione che fosse riconosciuto il proprio diritto a trattenere la caparra ricevuta, la sua domanda diretta allo scioglimento del contratto andava qualificata come esercizio del diritto di recesso, nell’ambito della facoltà prevista dal 2º comma del citato articolo 1385 c.c. Cass. numero 15198/08 . è abuso processuale. La Cassazione, inoltre, oltre a confermare l’impossibilità di proporre, cumulativamente, la domanda di risoluzione e di recesso in presenza di un preliminare con consegna di caparra, si esprime nel ritenere tale eventualità come abuso processuale, ossia ritiene che tale modalità cumulativa, ancorché inammissibile, rappresenti certamente un uso distorto dello strumento processuale. In tema di abuso processuale, pur se relativo a fattispecie assai diversa, può essere richiamata la decisione della Cassazione del 3 maggio 2010, numero 10634, che, in tema di spese giudiziali e decidendo su una pluralità di ricorsi, con identico patrocinio legale, contenenti domande connesse per l’oggetto e per il titolo, relativi alla richiesta di indennizzo del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo, già riuniti nella fase di merito, ha motivatamente ritenuto che - non potendosi dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi, visto che non è illegittimo lo strumento processuale ma le modalità di utilizzo dello stesso - l’onere delle spese va valutato come se il procedimento fosse stato unico sin dall’origine, dovendosi eliminare gli effetti distorsivi dell’abuso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 febbraio – 6 marzo 2012, numero 3474 Presidente Schettino – Relatore Bursese Svolgimento del processo M.C M. con atto notificato il 18.1.2000 conveniva in giudizio la Techne Costruzioni srl, deducendo di avere con essa stipulato un contratto preliminare in data 17.6.1999, con il quale le era stato promesso in vendita l'appartamento sito in Roma via Courmayeur numero 34 di aver versato la somma di L. 50.000.000 a titolo di caparra confirmatoria e in acconto del maggior prezzo pattuito che per inadempienza della convenuta non era stato possibile stipulare l'atto definitivo tanto premesso, chiedeva dichiararsi la risoluzione dell'indicato contratto preliminare con la condanna della stessa convenuta al pagamento in suo favore della somma di L. 100.000.000 pari al doppio della caparra versata oltre a L. 8.000.000 per provvigione pagata al mediatore , con interessi e rivalutazione monetaria. Resisteva la soc. Techne Costruzioni srl formulando a sua volta domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto, ma per inadempimento della promissaria acquirente. L'adito tribunale dei Roma, con sentenza numero 22805/2004, accertato il grave inadempimento della società venditrice, dichiarava la legittimità del recesso della M. , condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 51.645,68 pari al doppio della caparra versata con gli interessi legali. Il tribunale riteneva non provata la domanda di risoluzione in ordine al quantum non essendo stata fornita la prova del danno subito, ma accoglieva la subordinata istanza di recesso, avente ad oggetto soltanto il pagamento del doppio della caparra. Avverso la sentenza ricorreva in appello la Techne Costruzioni srl, chiedendo in specie - per quanto ancora interessa in questa sede - dichiararsi l'inammissibilità della domanda di recesso formulata dalla M. in forma subordinata alla domanda principale di risoluzione del contratto, ovvero riformare la sentenza impugnata dichiarando accolta la domanda principale dell'attrice, con ogni conseguenza rispetto alla restituzione della caparra ed alla quantificazione dei danni. Si costituiva la M. chiedendo il rigetto integrale del gravame. L'adita Corte d'Appello di Roma, con sentenza numero 4170/09 depos. in data 22.10.200P accoglieva in parte il gravame e, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava risolto il preliminare per inadempimento della promittente venditrice, che dichiarava tenuta alla restituzione in favore della M. della somma di L. 50.000.000 ricevuta a titolo di caparra, in mancanza di prova di danni ulteriori. La M. quindi ricorreva la cassazione della suddetta pronuncia formulando due censure, illustrate da memoria ex articolo 378 c.p.c. resiste con controricorso la Binvest spa, già Techne Costruzioni srl. Motivi della decisione Con il 1 motivo, denunziando la violazione articolo 112 c.p.c., la ricorrente deduce che la Corte d'Appello capitolina ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale, dopo aver ritenuto ammissibile la domanda di recesso proposta in via subordinata con le note ex articolo 183 c.p.c., ha ritenuto provato il grave inadempimento della società venditrice e ha argomentato che, essendo uguali i presupposti di fatto per la dichiarazione di risoluzione e per la dichiarazione dei legittimità del recesso,doveva desumersi che quest'ultima domanda fosse stata proposta dall'acquirente in via subordinata al rigetto della domanda di risarcimento del danno che eccedeva la risoluzione . Invero secondo il tribunale, poiché la domanda di risarcimento non poteva trovare accoglimento in quanto sfornita di prova in ordine al quantum, poteva essere accolta invece la domanda subordinata ed essere dichiarata la legittimità del recesso con condanna della società convenuta alla restituzione del doppio della caparra ricevuta. ti In realtà secondo l'esponete, la Corte aveva spezzato la domanda proposta nel suo complesso dalla M. , ritenendo erroneamente che essa avesse formulato 2 distinte domande, una di risoluzione e l'altra di recesso, quando invece la domanda de qua era un unicum e non una sommatoria delle diverse voci. La doglianza è infondata. Invero la sentenza impugnata è pienamente conforme alla giurisprudenza di questa S.C. in tema di caparra confirmatoria. Le S.U. al riguardo si sono così espresse In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione giudiziale o di diritto ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell'intervenuto recesso con ritenzione della caparra o pagamento del doppio , avuto riguardo - oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all'irrinunciabilità dell'effetto conseguente alla risoluzione di diritto - all'incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all'azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito - in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale - di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative Cass. Sez. U, numero 553 del 14/01/2009 . Alla luce di queste considerazioni, non v'è dubbio che la M. non poteva chiedere la risoluzione del contratto per poi trasformarla, all'occorrenza, in domanda di recesso nel caso in cui i pretesi danni fossero stati inferiori al doppio della caparra , senza incorrere, così facendo, in una forma di abuso processuale che proprio l'articolo 1385 c.c. mira a prevenire, in relazione alla particolare natura della caparra come sopra evidenziata. Con il 2 motivo la ricorrente denunzia, in via subordinata, la violazione o falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., lamentando che la Corte capitolina, aveva riconosciuto la fondatezza della domanda di risoluzione ma non aveva liquidato il correlativo danno inteso come lucro cessante , che era dunque tenuta a quantificare comunque, magari in via equitativa per un importo pari all'importo della caparra. La doglianza non ha pregio. Come eccepito dalla controricorrente, sul punto si era formato il giudicato, perché la M. non aveva proposto impugnazione alcuna avverso la sentenza del tribunale che aveva rigettato la domanda di risoluzione e risarcimento del danno in quanto ritenuto non provato. Peraltro la domanda di risarcimento del danno in via equitativa non risulta in precedenza proposta dalla M. . In conclusione il ricorso dev'essere dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.