È necessaria una valutazione complessiva degli interessi dei contraenti

La gravità dell’inadempimento, che nel giudizio di risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive va verificata anche d’ufficio dal giudice, trattandosi di elemento che attiene al fondamento stesso della domanda, deve essere accertata non solo in relazione all’entità oggettiva dell’inadempimento, ma anche con riguardo all’interesse che l’altra parte intende realizzare e sulla base, quindi, di un criterio che consenta di coordinare il giudizio sull’elemento oggettivo della mancata prestazione, nel quadro dell’economia generale del contratto, con gli elementi soggettivi, investendo le modalità e le circostanze del concreto svolgimento del rapporto.

Si tratta del principio stabilito dalla Cassazione con la sentenza numero 3477 del 6 marzo scorso, con la quale vengono fornite alcune importanti precisazioni in ordine al valore ed all’efficacia della diffida ad adempire, in relazione alla facoltà, riconosciuta ai contraenti ex articolo 1454 c.c., di fissare unilateralmente un termine ad adempiere, il cui mancato rispetto determina la risoluzione automatica del contratto. I fatti. All’origine della controversia posta all’attenzione della Suprema Corte vi è un contratto preliminare a seguito del quale non è stato, successivamente, stipulato il contratto definitivo, relativo al trasferimento di un appartamento e, conseguentemente, vi è stata la trattenuta, da parte dei promissari alienanti, della caparra confirmatoria versata dal promissario acquirente, di circa € 60.000,00. Tale importo era stato, in effetti, oggetto di richiesta in giudizio da parte del promissario acquirente, sul presupposto che il ritardo nella stipulazione del contratto definitivo era stato, in realtà, di poche settimane e che, comunque, era stato determinato dalle gravi condizioni di salute della moglie e che, pertanto, priva di effetti doveva ritenersi la diffida ad adempiere inviata dai promittenti alienanti peraltro, rimasta priva di riscontro . La sentenza di primo grado, che aveva rigettato tale domanda, viene poi ribaltata in grado di appello, sul presupposto che, effettivamente, si sarebbe trattato di un ritardo assai contenuto e che, comunque, il promissario acquirente, anche se in ritardo, aveva comunque manifestato la propria volontà di stipulare il contratto definitivo. Avverso tale pronuncia, i promissari alienanti – che avevano trattenuto quanto già corrisposto a titolo di caparra confirmatoria – hanno promosso ricorso per Cassazione. La diffida ad adempiere come e perché. La diffida ad adempiere è uno strumento a disposizione del contraente non inadempiente – previsto dall’articolo 1454 c.c. - che ha in questo modo la possibilità di risolvere il contratto senza ricorrere al giudice. La diffida ad adempiere ha lo scopo di fissare con chiarezza la posizione delle parti nella esecuzione del contratto, avvertendo la parte inadempiente che l’altra parte non è disposta a tollerare ulteriori ritardi nella prestazione di sua spettanza nell’ambito del contratto. Nell’ipotesi di contratti a prestazioni corrispettive, la diffida ad adempiere ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che a detta clausola si ricollegano e, cioè, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine essenziale nell’interesse della parte adempiente, cui è rimessa la valutazione di farne valere la decorrenza e che può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi tale diffida è stabilita nell’interesse della parte adempiente e costituisce non un obbligo ma una facoltà che si esprime a priori nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e a posteriori nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti, il che rientra nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all’articolo 1454 c.c Risoluzione del contratto solo per grave inadempimento . Una volta intimata la diffida, la risoluzione del contratto avviene automaticamente in presenza di un inadempimento di non lieve entità. Ebbene, nel caso di specie la Corte di Appello aveva ritenuto poco significativo il ritardo con il quale era stato stipulato il contratto definitivo, anche alla luce dell’ingente somma che i promissari alienanti avevano a disposizione come garanzia dell’adempimento dell’altra parte. Peraltro, l’inadempimento a seguito della diffida deve essere oggettivamente di una certa gravità, e non può essere invocato, a fondamento della risoluzione del contratto, un inadempimento strumentale o palesemente irrisorio, tanto da porsi in contrasto con il principio di buona fede e correttezza che caratterizza il nostro sistema positivo. Al riguardo, in giurisprudenza si è precisato che, in tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase pertanto, l’apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento si ripercuote sulla valutazione della gravità dell’inadempimento stesso, nel caso in cui tale soggetto abusi del suo diritto potendo comunque realizzare il suo interesse senza ricorrere al mezzo estremo dell’ablazione del vincolo. considerati gli interessi delle parti. Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto di rinviare la causa alla Corte di Appello, posto che la stessa non aveva correttamente valutato la gravità o meno dell’inadempimento del promissario acquirente in relazione all’interesse delle altri parti la Corte territoriale, infatti, si era limitata a riferire che, in fondo, si era trattato di un inadempimento di poche settimane e che le altre parti erano, comunque, garantite dall’elevato importo a loro mani. Sul punto, la Cassazione ha precisato che in realtà tale inadempimento non poteva considerarsi oggettivamente di scarsa importanza, in quanto aveva coinvolto le obbligazioni essenziali che lo stesso avevo assunto, e cioè la stipulazione entro una certa data ed il pagamento del prezzo residuo. Nel caso in esame piazza Cavour ha quindi appurato che il ritardo del promissario acquirente ha costretto i promittenti alienanti a trovare rapidamente un altro acquirente per l’appartamento ed effettuare importanti disinvestimenti per pagare la ristrutturazione di un immobile in un’altra città dove avevano deciso di trasferirsi. Secondo gli ermellini, quindi, la decisione della Corte di Appello era da ritenersi errata in quanto eccessivamente focalizzata sull’inadempimento del promissario acquirente e sulle motivazioni del suo ritardo, senza prendere in considerazione anche l’interesse delle altri parti, seriamente danneggiate, a quanto consta, da un inadempimento anche di poche settimane.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 febbraio – 6 marzo 2012, numero 3477 Presidente Schettino – Relatore Bursese Svolgimento del processo Ca St. con atto notificato in data 27.05.2004 conveniva in giudizio avanti al tribunale di Torino, L.M. e A S. deducendo che aveva con i medesimi stipulato un contratto preliminare in data 20.12.2002, con il quale gli era stato promesso in vendita l'appartamento sito in Torino, corso Peschiera numero 237 per il prezzo di Euro 420.912,37 di aver versato in due riprese, a titolo di caparra confirmatoria, le somme di Euro 7.746,85 e di Euro 51.645,68 di avere, a causa di gravi problemi di salute della propria moglie, ripetutamente chiesto telefonicamente al L. di posticipare il termine del 31 ottobre 2003 stabilito in preliminare per la stipulazione dell'atto di compravendita che i prominenti venditori in data 20.10.03 gli avevano inviato una diffida ad adempiere prorogando di ulteriori 15 gg. il suddetto termine che l'attore aveva informalmente contattato le controparti chiedendo di considerare le sue particolari esigenze familiari e dichiarando la sua disponibilità a concordare altra data per la stipula del definitivo che aveva comunicato, infine, tale data con raccomandata del 22.1.2004 che i venditori non volavano più dar corso al rogito ed intendevano trattenersi la caparra a suo tempo ricevuta che i convenuti in effetti avevano successivamente messo in vendita e cedutobimmobile tutto ciò premesso e ritenuto, lo St. formulava in via principale domanda ex articolo 2932 c.c. per l'esecuzione in forma specifica del preliminare, previa declaratoria d'illegittimità della diffida ad adempiere del 28.10.03 e del conseguente inadempimento di controparte in via subordinata chiedeva la condanna dei convenuti al pagamento del doppio della caparra in esecuzione del recesso dichiarato da esso attore. Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda attrice facendo presente che non corrispondeva al vero che lo St. aveva loro manifestato i problemi relativi alla salute della moglie, chiedendo di posticipare la data del rogito, ribadendo comunque la propria intenzione di acquistare l'immobile precisavano che, perdurando il totale disinteresse dello St. , l'immobile promesso in vendita era stato successivamente ceduto a terzi chiedevano dunque i convenuti che fosse accertata la legittimità del loro recesso e dichiarato il loro diritto a trattenersi la caparra. A seguito delle difese dei convenuti, l'attore abbandonava la domanda ex articolo 2932 c.c. insistendo sulle conclusioni formulate in via subordinata. L'adito tribunale di Torino, con sentenza numero 3763/06 rigettava tutte le domande proposte dallo St. accertava il diritto dei convenuti a trattenere la caparra confirmatoria netta misura di Euro 59.392,53, condannando l'attore al pagamento delle spese processuali. Il tribunale ravvisava nel comportamento dell'attore un ingiustificato inadempimento e di non scarsa importanza, per cui doveva ritenersi legittima la diffida ad adempiere di cui alla raccomandata dei convenuti del 28.10.2003. Avverso la sentenza proponeva appello lo St. , chiedendone la riforma, deducendo che il proprio ritardo per la conclusione del contratto definitivo era giustificato da motivi familiari e non poteva essere considerato tale da incidere sull'equilibrio contrattuale e da giustificare la risoluzione di diritto, mentre inadempienti dovevano ritenersi proprio i venditori, ciò che giustificava il proprio recesso con diritto alla restituzione del doppio della caparra. Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto dell'impugnazione e comunque insistendo per la declaratoria di legittimità del loro recesso e per il loro diritto a trattenere la caparra ricevuta. L'adita Corte d'Appello di Torino, con sentenza numero 1504/09 depositata il 9.9.2009, in riforma dell'appellata sentenza, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare de quo per inadempimento di L. e S. che condannava a restituire allo St. la somma di Euro 59.392, 53 pari alla caparra ricevuta oltre il pagamento del 60% delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio. Riteneva la Corte non essenziale il termine per la stipula contenuto nel preliminare e non legittima la diffida ad adempiere del 28.10.2003 dei promittenti venditori, inidonea, come tale a risolvere il preliminare stesso questi ultimi dovevano ritenersi garantiti per avere incassato le caparre di notevole importo ed avevano successivamente venduto l'immobile de quo per un prezzo superiore a quello in precedenza concordato con lo S. riteneva di scarsa importanza il suo inadempimento, che comunque riconosceva individuato nel ritardo nell'indicazione del notaio rogante e della data del rogito comunicata per iscritto solo 22.1.2004 a fronte della diffida ad adempiere del 28.10.03 ciò comportava l'impossibilità di considerare il promissario acquirente pienamente adempiente ai propri obblighi nei confronti di controparte ai fini del recesso ex articolo 1385 c.c., che dunque non era da lui invocabile con riferimento alla sua domanda di restituzione del doppio della caparra che di conseguenza andava disattesa. Il L. e la S. quindi ricorrevano per la cassazione della suddetta pronuncia, con una sola articolata censura, illustrata da memoria ex articolo 378 c.p.c. resiste lo St. con controricorso, formulando ricorso incidentale sulla base di 2 motivi violazione articolo 1385 c.c. e 1455 c.c., in relazione alla mancata restituzione del doppio della caparra compensazione delle spese processuali . Motivi della decisione Con il 1 motivo del ricorso principale gli esponenti denunciano l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo che si risolve in una violazione e falsa applicazione delle norme di diritto . La Corte torinese ha ritenuto che la questione sottopostale riguardasse la sussistenza o meno dei presupposti integrativi della risoluzione di diritto del contratto ai sensi dell'articolo 1454 c.c. in conseguenza della diffida ad adempiere e cioè la configurabilità della non scarsa importanza nell'inadempimento contestato dagli esponenti allo St. . Invero, secondo i ricorrenti, il percorso logico seguito dalla Corte, che l'ha portata a ritenere la scarsa importanza dell'inadempimento - pur constatato - del promissario acquirente, è contraddittorio, contrario alle risultanze in atti, nonché ai criteri interpretativi costantemente adottati da questa Suprema Corte . Non v'è dubbio che la diffida ad adempiere di cui alla lettera 28.10.03 fosse pienamente legittima perché non era configurabile alcun inadempimento in capo ai promittenti venditori, in quanto i medesimi offrirono la loro incondizionata disponibilità a contrarre e curarono pur in condizione di salute assai precarie lo sgombero totale dell'immobile entro i termini della stipulazione . Per contro appariva evidente l'inadempimento dello St. , che non poteva ritenersi di scarsa importanza , ciò che la Corte ha desunto sulla base delle seguenti non condivisibili considerazioni riguardanti a l'interesse di parte promittente venditrice a stipulare il contratto b la non essenzialità del termine pattuito in preliminare c l'importo non esiguo della caparra versata d lo slittamento contenuto del termine a stipulare, non idoneo a turbare l'equilibrio contrattuale. La doglianza appare fondata. Occorre evidenziare in primis che la diffida ad adempire del 28.10.2003 era pienamente legittima atteso che - come insegna questa S.C. - l'unico onere che, ai sensi dell'articolo 1454 c.c., grava sulla parte intimante è quello di fissare un termine entro il quale l'altra parte dovrà adempiere alla propria prestazione, pena la risoluzione ope legis del contratto, poiché la ratio della norma citata è quella di fissare con chiarezza la posizione delle parti rispetto all'esecuzione dei negozio, merce un formale avvertimento alla parte diffidata che l'intimante non è disposto a tollerare un ulteriore ritardo nell'adempimento . Cass. numero 8844 del 28/06/2001 . Ha precisato altresì questa Corte In tema di contratti a prestazioni corrispettive, la diffida ad adempiere ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che a detta clausola si ricollegano e, cioè, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine essenziale nell'interesse della parte adempiente, cui é rimessa la valutazione di farne valere la decorrenza e che può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi tale diffida è stabilita nell'interesse della parte adempiente e costituisce non un obbligo ma una facoltà che si esprime a priori nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e a posteriori nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti, il che rientra nell'ambito delle facoltà connesse all'esercizio dell'autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all'articolo 1454 cod. civ. Cass. Sentenza numero 23315 del 08/11/2007 . Ciò premesso non sembra che al fine di stabilire l'importanza o meno dell'inadempimento dello St. la corte distrettuale abbia adeguatamente e globalmente valutato l'interesse che la parte venditrice aveva alla stipula del contratto, atteso che tale requisito va accertato non solo in relazione alla entità oggettiva dell'inadempimento di una delle parti, ma anche tenendo conto dell'interesse perseguito dall'altra parte. La S.C. ha precisato al riguardo La non scarsa importanza dell'inadempimento, che, nel giudizio di risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, deve essere verificata anche di ufficio dal giudice, trattandosi di elemento che attiene al fondamento stesso della domanda, deve essere accertata non solo in relazione alla entità oggettiva dell'inadempimento, ma anche con riguardo all'interesse che l'altra parte intende realizzare e sulla base di un criterio, quindi, che consenta di coordinare il giudizio sull'elemento oggettivo della mancata prestazione, nel quadro dell'economia generale del contratto, con gli elementi soggettivi e che, conseguentemente, investa, specie nei casi di inadempimento parziale, anche le modalità e le circostanze del concreto svolgimento del rapporto, per valutare se l'inadempimento in concreto accertato abbia comportato una notevole alterazione dell'equilibrio e della complessiva economia del contratto, e l'interesse dell'altra parte, quale è desumibile anche dal comportamento di questa, al'esatto adempimento nel termine stabilito. Ne consegue che, nel caso di inadempimento parziale, il giudizio della non scarsa importanza dell'inadempimento non può essere affidato solo alla rilevata entità della prestazione inadempiuta, rispetto al valore complessivo della prestazione, costituendo questa soltanto uno degli elementi di vantazione . Cass. numero 3669 del 28/03/1995 Cass. numero 3742 del 21/02/2006 . Invero, come aveva adeguatamente sottolineato if giudice di prime cure, l'inadempimento dello St. non poteva considerarsi oggettivamente di scarsa importanza, in quanto aveva coinvolto le obbligazioni essenziali e primarie che lo St. stesso si era assunto con il contratto preliminare, cioè la stipulazione dei contratto definitivo entro il 31.10.2003 ed il pagamento in tale data del residuo prezzo v. Cass. Sez. 2, numero 16084 del 20/07/2007 . Ed invero lo St. non si era per nulla attivato, neanche informalmente, dopo la ricezione della diffida ad adempiere di cui alla raccomandata del 28.10.03, né dopo la scadenza del termine ivi assegnato ai fini dell'inadempimento, e solo dopo alcuni mesi, nel gennaio del 2004 raccomandata del 22.1.2004 aveva dichiarato esplicitamente, per la prima volta, la sua volontà di stipulare Tatto. A quell'epoca però i sig.ri Lo. avevano già dovuto procurarsi il danaro necessario per pagare la ristrutturazione del loro alloggio di San Remo - dove intendevano trasferirsi - attraverso onerosi disinvestimenti, stante il mancato realizzo della vendita del cespite in argomento. Peraltro le asserite difficoltà familiari invocate dallo St. non erano tali da comportare per lui l'obiettiva impossibilità di stipulare l'atto in questione, visto che analoghi e non memo gravi motivi di salute avevano colpito anche il L. . Di conseguenza, mancando qualsiasi riscontro alla diffida del 23.10.03, non v'è dubbio che i venditori allo scadere del termine stabilito avrebbero potuto legittimamente ritenere risolto di diritto il contratto preliminare in questione ed affidare nuovamente all'agenzia l'incarico di vendita dei loro appartamento. Tali circostanze in definitiva dovranno essere convenientemente valutate dal giudice di merito unitamente a tutte le altre invocate dagli esponenti per una corretta valutazione dell'importanza dell'inadempimento dello St. , alla luce dei principi della giurisprudenza di questa S.C. soprarichiamati. Pertanto il ricorso principale va accolto – assorbito ogni ulteriore doglianza e il ricorso incidentale - con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino. P.Q.M. accoglie il ricorso principale assorbito il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino.