Abitazione esclusa, redditi ricalcolati: ‘via libera’ alla pensione di inabilità

Sconfitta definitiva per l’INPS, che aveva originariamente risposto negativamente alla richiesta di una donna. Fatale il computo dei suoi redditi, superiori alla ‘soglia massima’ fissata dalla normativa, ma è erroneo conteggiare anche la casa.

Sconfitta definitiva per l’Istituto nazionale di previdenza sociale. Illegittimo conteggiare anche la casa di abitazione nel reddito complessivo della persona che ha presentato richiesta per il riconoscimento della pensione di inabilità. Così, alla luce di quanto messo ‘nero su bianco’ dai giudici italiani, viene riconosciuto, in via definitiva, il diritto di una donna alla pensione di inabilità, originariamente negatole per un presunto superamento di limiti reddituali fissati dalla normativa Cassazione, ordinanza numero 27381, sez. VI Civile, depositata oggi . Casa dolce casa ‘Niet’ dell’INPS, come detto, in «sede amministrativa», alla richiesta di una donna negata la «pensione di inabilità» a causa del «superamento del limite reddituale». Decisivo, secondo l’INPS, il reddito relativo alla «casa di abitazione» della donna. Ma tale visione viene demolita prima dai giudici di merito e poi dai giudici della Cassazione ciò significa, tirando le somme e chiudendo definitivamente la vicenda, che la donna ha pieno diritto alla «pensione di inabilità». Con un semplice calcolo, difatti, è emerso che, escludendo la casa, il reddito della donna non supera la ‘soglia massima’ fissata dalla normativa. E tale calcolo è assolutamente corretto, sanciscono ora i giudici della Cassazione, poiché, per legge, è esclusa «la casa di abitazione» dal conteggio dei redditi da avere come riferimento per il riconoscimento della «pensione», e ciò vale, concludono i giudici, sia per quella «sociale» che per quella di «inabilità».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 20 novembre – 23 dicembre 2014, numero 27381 Presidente Curzio – Relatore Blasutto Ragioni di fatto e di diritto La Corte pronuncia in camera di consiglio ex articolo 375 c.p.c. a seguito di relazione a norma dell'articolo 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, preso atto dell'assenza di memorie delle parti. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Ancona confermava la pronuncia di primo grado, che aveva accolto la domanda proposta da M.L. diretta al riconoscimento della pensione di inabilità civile di cui alla L. numero 118 del 1971, articolo 12, il cui diritto era stato negato in sede amministrativa per superamento del limite reddituale. Riteneva la Corte territoriale che tra i redditi da prendere in considerazione non andasse computato quello della casa di abitazione. Per la cassazione di tale sentenza l'INPS ricorre sulla base di due motivi. La M. resiste con controricorso. Con i due motivi di ricorso l'Inps denunzia vizio di motivazione articolo 360 n 5 cod. proc. civ. e violazione del D.L. numero 663 del 1979, articolo 14 septies convertito in L. numero 33 del 1980 articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. sostenendo che il reddito della casa di abitazione si computa ai fini del limite reddituale per le prestazioni di invalidità civile e che la Corte territoriale non aveva adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto di escludere tale componente dal computo dei redditi rilevanti ai fini della verifica del requisito costitutivo del diritto azionato. I due motivi, in quanto involgenti questioni tra loro connesse, possono essere trattati congiuntamente. In limine, deve rilevarsi la manifesta infondatezza degli stessi ex articolo 375, primo comma, numero 5 cod. proc. civ. pertanto, la causa può essere trattata in camera di consiglio ex articolo 380 bis, primo comma, cod. proc. civ Come affermato da Cass. numero 20387 del 5/9/2013 in conformità a Cass.14456 del 13/8/2012 , la L. numero 114 del 1974, articolo 8 di conversione del D.L. numero 30 del 1974 Condizioni economiche per le provvidenze ai mutilati e invalidi civili stabiliva che le condizioni economiche per la concessione sia della pensione di cui alla L. numero 118 del 1971, articolo 12, sia per l'assegno di cui all'articolo 13, fossero quelle previste dall'articolo 3, della stessa legge per la concessione della pensione sociale. Indi la L. numero 114 del 1974, articolo 3 di conversione del D.L. numero 30 del 1974, concernente la pensione sociale, dopo avere condizionato il diritto a pensione sociale a determinati limiti di reddito prevedeva che dal computo del reddito suindicato sono esclusi gli assegni familiari e la casa di abitazione . È vero poi che il D.L. numero 663 del 1979, articolo 14 septies conv. in L. numero 33 del 1980, al comma 4, ha elevato i limiti di reddito di cui al citato D.L. numero 30 del 1974, articolo 3 convertito in L. numero 114 del 1974, ma non ha per nulla modificato quella parte di quest'ultimo articolo, che escludeva il reddito della casa di abitazione ai fini del limite di legge. In altri termini, l'elevazione, per tener conto della svalutazione intervenuta nelle more, del limite reddituale non ha però travolto la specifica disposizione che escludeva appunto dal computo la casa di abitazione, facendo rinvio alla disciplina concernente la pensione sociale. Anche nei riguardi di quest'ultima, la L. numero 153 del 1969, articolo 26 esclude dal computo dei redditi il reddito dominicale della casa di abitazione. Ed ancora lo stesso L. numero 335 del 1995, articolo 3, comma 6 prevede che per l'assegno sociale, il quale dal primo gennaio 1996 si eroga in luogo della pensione sociale, non si computano redditi casa abitazione. Nello stesso senso si era già espressa la sentenza di questa Corte numero numero 5479 del 05/04/2012, in cui si è affermato che In tema di pensione di inabilità, ai fini del requisito reddituale non va calcolato il reddito della casa di abitazione, in quanto la L. numero 118 del 1971, articolo 12, rinvia per le condizioni economiche, alla L. numero 153 del 1969, articolo 26, che, per la pensione sociale, esclude dal computo il reddito della casa di abitazione. Né rileva, in senso contrario, la previsione di cui al D.M. numero 553 del 1992, articolo 2, che impone, ai fini assistenziali, la denuncia dei redditi al lordo degli oneri deducibili, in quanto la casa di abitazione, non costituisce, a tal scopo, un onere deducibile, ma una voce di reddito . Nello stesso senso la sentenza di questa Corte numero 14456/2012. Detta sentenza ha giustamente rilevato che non si può tenere conto di disposizioni dettate ad altri fini, come quelle che impongono la denuncia dei redditi ai fini assistenziali, perché queste nulla dicono sulla determinazione effettiva del reddito da considerare ai fini del diritto alla prestazione. Antecedentemente aveva deciso nello stesso senso Cass. numero 2509 del 08/04/1983. Il diverso orientamento espresso dall'ordinanza di questa Corte numero 4223 del 16/3/2012 è stato così superato dalle tre richiamate pronunce numero 5479 del 5/4/12, numero 14456 del 13/8/2012 e numero 20387 del 5/9/2013, il cui orientamento interpretativo deve considerarsi ormai consolidato. La motivazione della impugnata sentenza ha deciso in conformità al medesimo principio e risulta dunque immune dalle censure che le sono state mosse. Né vi sono elementi che giustifichino l'esonero di questa Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l'assolvimento della funzione assegnatale dall'articolo 65 dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. 30 gennaio 1941, numero 12 e succ. modificazioni, ma di rilevanza costituzionale, essendo anche strumentale al suo espletamento il principio, sancito dall'articolo 111 Cost., dell'indeclinabilità del controllo di legittimità delle sentenze di assicurare l'esatta osservanza, l'uniforme interpretazione della legge e l'unità del diritto oggettivo nazionale. Il ricorso va dunque respinto con condanna dell'Istituto ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità nella misura di € 100,00 per esborsi, € 2.500,00 per compensi professionali, oltre Iva, Cpa e rimborso forfettario delle spese nella misura del 15%.