In virtù del principio per cui la notificazione della sentenza non ammette equipollenti ai fini del decorso del termine di cui all’articolo 325 c.p.c., la comunicazione della sentenza integrale a mezzo PEC da parte della cancelleria ai difensori è inidonea a far decorrere il termine per impugnare.
Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 5703/19, depositata il 27 febbraio, che si è pronunciata sulla controversia insorta tra un medico ed il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e l’Università degli Studi de L’Aquila ai quali erano stati richiesti gli emolumenti spettanti per il periodo di specializzazione in chirurgia generale dopo la laurea. La domanda del medico era stata inizialmente accolta dai giudici di prime cure, mentre la Corte d’Appello aveva dichiarato il difetto di legittimazione sostanziale dell’Università. Notifica della sentenza e decorrenza del termine per impugnare. Con controricorso il medico eccepiva l’inammissibilità dell’impugnazione principale per tardività essendo decorso il termine di 60 giorni per impugnare a partire dalla notifica della pronuncia, da parte della cancelleria, a tutti i difensori a mezzo PEC. L’eccezione risulta priva di fondamento in quanto il Collegio ricorda che la comunicazione da parte della cancelleria del testo della sentenza conclusiva del giudizio non è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare di cui all’articolo 325 c.p.p. «il quale decorre ope legis solo dalla notificazione della sentenza». Rispetto alla regola per cui la notificazione della sentenza ai fini del decorso del termine di cui all’articolo 325 c.p.c. non ammette equipollenti, la giurisprudenza di legittimità ha individuato un’eccezione per il caso in cui la parte abbia acquisito conoscenza legale – e non di mero fatto – della sentenza, «ma l’abbia acquisita con un atto non ad altro destinato, che a provocarne l’impugnazione ovvero ad impugnarla» cfr. Cass. Civ. numero 5793/17 . In applicazione di tali principi si è ad esempio affermato che il termine ex articolo 325 c.p.c. decorre, per il notificante, dalla notifica della sentenza compita alla controparte, dalla notifica di una impugnazione inammissibile o improcedibile oppure dalla notificazione della citazione per la revocazione della sentenza d’appello. La Corte afferma però che «la comunicazione della sentenza integrale a mezzo PEC da parte della cancelleria è inidonea a far decorrere il termine di cui all’articolo 325 c.p.c., perché quella comunicazione è un atto che, se consente al destinatario di acquisire la legale scienza dell’avvenuto deposito, non può dirsi “un atto non ad altro destinato, che a provocare l’impugnazione”». In conclusione, esaminando il merito delle censure la Corte accoglie il ricorso e rigetta la domanda originariamente proposta in virtù dell’irretroattività del d.lgs. numero 368/1999, invocato invece dal medico.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 26 ottobre 2018 – 27 febbraio 2019, numero 5703 Presidente Frasca – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2006 M.S. convenne dinanzi al Tribunale de L’Aquila la Presidenza del consiglio dei Ministri, il Ministero dell’economia, il Ministero dell’istruzione, il Ministero della salute e l’Università degli studi de L’Aquila, esponendo che - dopo avere conseguito la laurea in medicina, si era iscritto nel 1996 ad una scuola di specializzazione in chirurgia generale dell’Università de L’Aquila, di durata esaennale - durante il periodo di specializzazione aveva percepito la borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, numero 257 - gli emolumenti percepiti a tale titolo erano tuttavia inferiori a quelli che gli sarebbero legittimamente spettati, e ciò sotto due aspetti - sia perché la misura della borsa di studio doveva essere aggiornata ogni tre anni, e non lo era stata - sia, soprattutto, perché la Direttiva 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, aveva imposto agli Stati membri di erogare ai medici specializzandi una adeguata retribuzione tale direttiva era stata recepita solo nel 1999 col D.Lgs. 17 agosto 1999, numero 368 , e per di più la concreta applicazione delle misure previste da tale decreto era stata successivamente differita al 2006, per effetto del D.Lgs. 21 dicembre 1999, numero 517, per essere infine attuate solo dalla L. 23 dicembre 2005, numero 266. Concludeva pertanto l’attore chiedendo sia l’adeguamento della borsa di studio concessagli ai sensi del D.Lgs. numero 257 del 1991 sia la condanna delle amministrazioni convenute a pagargli, a titolo di risarcimento per tardiva attuazione delle direttive comunitarie, la differenza tra la remunerazione prevista dalla L. numero 266 del 2005, e quella effettivamente percepita. 2. Il Tribunale de L’Aquila, dopo avere rigettato con sentenza non definitiva del 24.6.2011 numero 445 le eccezioni preliminari sollevate dai convenuti, con sentenza definitiva del 9.10.2013 numero 577 accolse la domanda proposta da M.S. . 3. La Corte d’appello de L’Aquila, con sentenza 16.9.2015 numero 1035, accolse in parte il gravame dell’Università, e dichiarò il difetto di legittimazione sostanziale dell’ateneo. Rigettò, invece, tutti i motivi di appello proposti dalle altre amministrazioni. 4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Presidenza del consiglio e dai tre ministeri dell’istruzione, della salute e delle finanze, con ricorso unitario fondato su due motivi. M.S. ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Questioni preliminari 1.1. M.S. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività p. 7-8 del controricorso . Deduce che la sentenza d’appello venne notificata dalla cancelleria della Corte d’appello, a mezzo PEC, a tutti i difensori e che dalla data di tale notifica sarebbe iniziato a decorrere il termine di 60 giorni per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 325 c.p.c 1.2. L’eccezione è infondata. Salvo che la legge non disponga altrimenti ad esempio, nel caso in cui il giudizio d’appello si concluda con ordinanza d’inammissibilità ex articolo 348 bis c.p.c. , la comunicazione da parte della cancelleria del testo della sentenza conclusiva del giudizio non è idonea a far decorrere il termine c.d. breve di cui all’articolo 325 c.p.c., il quale decorre ope legis solo dalla notificazione della sentenza articolo 326 c.p.c. . 1.3. Questa Corte è stata chiamata più volte a stabilire se la notificazione della sentenza, ai fini del decorso del termine per impugnare, sia un atto che ammetta o meno equipollenti. A tale problema questa Corte ha dato risposta fissando una regola, ed individuando un’eccezione ad essa. La regola è che la notificazione della sentenza è atto che non ammette equipollenti ai fini del decorso del termine di cui all’articolo 325 c.p.c Non basta, in particolare, per far partire il decorso di quel termine, il semplice fatto che la parte abbia avuto conoscenza quomodolibet della sentenza o del suo contenuto. In applicazione di tale principio si è escluso, ad esempio, che possa far decorrete il termine per impugnare - la produzione della sentenza in altro giudizio Sez. U, Sentenza numero 11366 del 31/05/2016, Rv. 639924 - la proposizione dell’istanza di correzione di errore materiale Sez. 2, Sentenza numero 17122 del 09/08/2011, Rv. 618916 - la lettura del dispositivo ex articolo 281 sexies c.p.c. Sez. 1, Sentenza numero 12515 del 28/05/2009, Rv. 608346 . 1.4. Alla regola secondo cui la notificazione della sentenza non ammette equipollenti, per i fini di cui all’articolo 326 c.p.c., si fa tuttavia eccezione in un caso quando la parte abbia non solo acquisito conoscenza legale - e non di mero fatto - della sentenza, ma l’abbia acquisita con un atto non ad altro destinato, che a provocarne l’impugnazione, ovvero ad impugnarla così già Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 1539 del 02/02/2012, Rv. 621568, in motivazione nonché, più esplicitamente, Sez. 3, Sentenza numero 5793 dell’8.3.2017 . In virtù di questo principio si è affermato, ad esempio, che il termine di cui all’articolo 325 c.p.c., decorre - per il notificante, dalla notificazione della sentenza compiuta alla controparte, ai sensi dell’articolo 326 c.p.c., sebbene la norma non preveda espressamente tale ipotesi ex multis, Sez. 2, Ordinanza numero 13732 del 12/06/2007, Rv. 597323 - dalla notifica d’una impugnazione inammissibile od improcedibile Sez. U, Sentenza numero 12084 del 13/06/2016, Rv. 639972 - per il notificante, dalla notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello Sez. 1, Sentenza numero 14267 del 19/06/2007, Rv. 596981 - per il riassumente, dalla data della riassunzione dopo che il giudice inizialmente adito abbia declinato la propria giurisdizione in favore di un altro giudice Sez. 1, Sentenza numero 19654 del 13/09/2006, Rv. 592200 - dalla notifica di un regolamento preventivo di giurisdizione Sez. L, Sentenza numero 16535 del 22/11/2002, Rv. 558672 - per chi l’ha proposta, dalla proposizione di una istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza d’appello, ex articolo 373 c.p.c. Sez. 3, Sentenza numero 5793 dell’8.3.2017 . 1.5. Alla luce di questi principi, è agevole concludere che la comunicazione della sentenza integrale a mezzo PEC da parte della cancelleria è inidonea a far decorrere il termine di cui all’articolo 325 c.p.c., perché quella comunicazione è un atto che, se consente al destinatario di acquisire la legale scienza dell’avvenuto deposito, non può però dirsi un atto non ad altro destinato, che a provocare l’impugnazione . 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Ritiene questa Corte che vada esaminato per primo il secondo motivo di ricorso. Esso infatti, per quanto si dirà, è di per sé idoneo a definire il giudizio, e può dunque essere esaminato per primo anche se dal punto di vista della logica formale appaia subordinato all’altro motivo ciò in virtù del principio c.d. della ragione più liquida , affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, Sentenza numero 9936 del 08/05/2014 ed ormai divenuto jus receptum. 2.2. Col secondo motivo le amministrazioni ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., numero 3, la violazione di una nutrita serie di norme tra le quali, per quanto effettivamente qui rileva, il D.Lgs. 8 agosto 1991, numero 257, articolo 6 il D.Lgs. 17 agosto 1999, numero 368, articolo 37, 39, 41 e 46 il D.Lgs. 21 dicembre 1999, numero 517, articolo 8 la L. 23 dicembre 2005, numero 266, articolo 1, comma 300 . L’illustrazione del motivo contiene una censura così riassumibile - l’attore domandò, in primo grado, il risarcimento del danno da essa subito in conseguenza della tardiva attuazione, da parte dello Stato italiano, delle direttive comunitarie volte a disciplinare il reciproco riconoscimento, tra gli Stati membri, dei diplomi di specializzazione in medicina - a fondamento di tale domanda l’attore dedusse che la Direttiva 93/16/Cee del Consiglio, del 5.4.1993, imponeva all’Italia di erogare agli specializzandi una remunerazione nella misura che, invece, lo Stato italiano introdusse solo nel 1999, e cominciò concretamente ad applicare nel 2006 - una simile domanda si sarebbe dovuta dichiarare infondata dalla Corte d’appello, in quanto a all’epoca in cui l’attore iniziò la specializzazione 2002 , la direttiva che imponeva agli Stati membri di corrispondere una adeguata remunerazione agli specializzandi in medicina e cioè la Direttiva 82/76/Cee del Consiglio, del 26 gennaio 1982 era già stata attuata dal D.Lgs. numero 257 del 1991 b la direttiva 16/93 non aveva introdotto alcun nuovo obbligo per gli Stati membri, ma solo coordinato le disposizioni precedenti raccogliendole in un testo unitario c lo stabilire, poi, in che misura remunerare gli specializzandi, ed a partire da quando far decorrere gli aumenti, è questione riservata alla discrezionalità del legislatore, ed estranea al diritto comunitario. 2.3. Il motivo è fondato, in virtù dei principi già ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. numero 368 del 1999, articolo 39, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. numero 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché la Direttiva 93/16/CEE non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui al D.Lgs. cit. tra le ultime decisioni, in tal senso, Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 24805 del 9.10.2018 Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 24804 del 9.10.2018 Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 24803 del 9.10.2018 Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 24802 del 9.10.2018 Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 24708 del 8.10.2018 Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 20419 del 2.8.2018 Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 6355 del 14/03/2018, Rv. 648407 - 01, e Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 13445 del 29/05/2018, Rv. 648963 - 01 Sez. L -, Sentenza numero 4449 del 23/02/2018, Rv. 647457 - 01 . Ai principi affermati dalle suddette decisioni può dunque in questa sede farsi rinvio, dal momento che esse hanno già affrontato e risolto tutte le eccezioni sollevate dall’odierna controricorrente nel proprio controricorso sulla pretesa retroattività del D.Lgs. numero 368 del 1999 sulla parità di trattamento tra specializzandi iscritti alle scuole di specializzazione prima e dopo il 2006 sulla natura di lavoro subordinato o meno dell’attività svolta dagli specializzandi sulla conformità del D.Lgs. numero 368 del 1999 al diritto dell’Unione Europea sulla conformità a costituzione dei D.Lgs. numero 368 del 1999, D.Lgs. numero 517 del 1999, e L. numero 266 del 2005. 3. Il primo motivo di ricorso. 3.1. Col primo motivo di ricorso riferibile solo ai tre Ministeri ricorrenti, non alla Presidenza del consiglio dei ministri , le amministrazioni ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., numero 3. È denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 101 c.p.c., e D.Lgs. 30 luglio 1999, numero 303, articolo 3. Deducono che la domanda accolta dalla Corte d’appello andava qualificata come domanda di risarcimento del danno da tardiva attuazione di una direttiva comunitaria, e della tardiva attuazione d’una direttiva comunitaria può essere chiamato a rispondere solo lo Stato - persona in quanto tale, non certo i Ministeri. 3.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del motivo precedentemente esaminato. Ritiene comunque utile questa Corte ricordare, ad abundantiam, che quando una domanda giudiziale, proposta contro lo Stato, sia notificata - oltre che della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che dello Stato ha la rappresentanza in giudizio - anche a singoli Ministeri, ciò non comporta alcuna conseguenza in termini di legittimazione sostanziale, dal momento che i singoli ministeri costituiscono interna corporis del governo Sez. 3, Sentenza numero 765 del 19/01/2016, Rv. 638326 - 01 Sez. 6 - 3, Sentenza numero 6029 del 25/03/2015, Rv. 634892 - 01 e che comunque la circostanza che l’attore, invece di citare la Presidenza del consiglio, citi in giudizio singoli ministeri, legittima le amministrazioni convenute non già a negare la propria legittimazione sostanziale, ma solo a chiedere la rimessione in termini, ai sensi della L. 25 marzo 1958, numero 260, articolo 4 Sez. 3, Sentenza numero 23202 del 15.11.2016, § § 2.3 e ss. dei Motivi della decisione . 4. La ritenuta fondatezza del ricorso non impone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata. Infatti, non essendo ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa nel merito, rigettando la domanda così come proposta da M.S. . 5. Le spese. 5.1. Le spese del presente giudizio e quelle dei gradi di merito cui in questa sede occorre provvedere, in conseguenza della ritenuta possibilità di decidere la causa nel merito vanno compensate integramente tra le parti, in considerazione delle incertezze giurisprudenziali sulla questione oggetto del contendere, e del fatto che solo a febbraio del 2018 e quindi dopo la proposizione del presente ricorso l’orientamento di questa Corte si sia consolidato in senso sfavorevole all’odierno controricorrente. P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il secondo motivo di ricorso dichiara assorbito il primo cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da M.S. - compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.