La sospensione condizionale della pena fa decadere l’applicazione delle misure cautelari

A seguito dell’applicazione della sospensione condizionale della pena deriva l’impossibilità di applicare misure cautelari personali. La ragione di ciò è piuttosto semplice quand’anche astrattamente applicabili, le misure cautelari in questione altro non sarebbero, in questo contesto, che misure inutilmente afflittive.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 2639/16, depositata il 21 gennaio, ha ribadito tale principio sancendo che «la condanna a pena condizionalmente sospesa preclude in ogni caso l’applicazione di misure cautelari» e ciò sulla scorta di una analisi sistematica degli articolo 300, comma 3, e 306 c.p.p. grazie ai quali si statuisce, rispettivamente, che la misura perde efficacia se la pena è sospesa e che il giudice deve disporre la liberazione della persona nel caso in cui la misura perde efficacia. Se non che, come il caso di specie evidenzia, principi in apparenza chiarissimi in teoria, in pratica, sono spesso difficili da applicare. Quid iuris infatti nel caso in cui la sentenza di merito non è stata ancora pronunciata? E’ evidente che la prognosi sulla possibilità della sospensione condizionale è tale per cui può essere anche negativa. Ma se così è, vi può essere evidentemente contestazione da parte della difesa. In tal caso, il giudizio negativo sulla concessione della sospensione condizionale della pena non può essere di mero stile, ma va in effetti parametrato a dati significativi, che ben potranno essere disattesi ma che in ogni caso non possono essere considerati esclusivamente sulla base della contestazione mossa all’indagato. Diversamente, si rischia – come il caso in questione ben dimostra – di autorizzare misure cautelari che poi si rivelano come del tutto inutili e dunque come inutilmente dannose. Il caso. Nella specie è accaduto che il ricorrente lamentasse il fatto che il giudizio sul “rischio di recidiva” fosse stato meramente astratto e senza l’indicazione di elementi capaci a concretizzare il pericolo di reiterazione. La Procura generale aveva chiesto l’inammissibilità del ricorso. La Suprema Corte, avendo acquisito la sentenza del gip con la quale all’indagato si applicava una pena sospesa, non ha potuto che prendere atto di ciò e quindi annullare senza rinvio l’ordinanza cautelare degli arresti domiciliari. Conclusioni. Talvolta – così si dice – a pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia mai. Eppure, nelle presunzioni il rischio di errore è in re ipsa e quando l’errore di giudizio è tale per cui nulla si può dire in senso contrario, ciò che resta è semplicemente prendere atto del tutto e definire, come la Corte di Cassazione ha fatto, il procedimento con un annullamento senza “se” e senza “ma” del provvedimento restrittivo impugnato. Tornando al mesto adagio citato, è comunque chiaro che esso non costituisce né una regola di giudizio né una norma giuridica in ambito cautelare. Così è ma così è davvero alla luce della prassi? La materia cautelare è difficilissima da definire se essa è connessa, al di là di ogni aspetto formale, ad una sostanziale ma indebita “presunzione” di colpevolezza. Molte volte appare quasi impossibile risolvere gli enigmi propri delle misure personali e l’istituto in questione viene ad essere configurato come un “male necessario”. Se non che, forse, la soluzione è più semplice di quel che si pensi. Dopo tutto, più che pensare male, sarebbe il caso di ragionare bene

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 – 21 gennaio 2016, numero 2639 Presidente Ippolito – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. II Gip del Tribunale di Roma, con ordinanza del 30/05/2015, ha convalidato l'arresto di M.N., eseguito dalla Digos della Questura di Roma il 27/05/2015, in relazione alle imputazioni di cui agli articolo 6 bis e ter l. 13/12/1989 numero 401, 337-339 cod. penumero 2. La difesa di M.N. ha proposto ricorso denunciando violazione dell'articolo 8 comma 1 ter l. 13/12/1989 numero 401, nella parte in cui il giudicante ha ritenuto sussistenti le condizioni legittimanti l'arresto differito, non nel caso previsto dalla legge di identificazione dell'interessato, e di materiale impossibilità di procedere all'arresto per ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica, ma nella diversa ipotesi, descritta nel provvedimento impugnato, di identificazione avvenuta solo a seguito della visione dei filmati. 3. Si eccepisce in subordine contrasto della norma richiamata con l'articolo 13 Cost. in quanto la dilatazione dello stato di flagranza comporta il ridursi della condizione di urgenza, unico presupposto di fatto che legittima l'intervento dell'autorità di polizia, secondo i principi costituzionali. Invero, proprio la dicitura normativa, che chiarisce di considerare in stato di flagranza situazioni specifiche, dimostra che tale condizione non sussiste nel concreto. Si rileva in proposito che il testo della norma si preoccupa di definire l'impossibilità dell'arresto, ma non di individuare la necessità ed urgenza dell'intervento, tale non potendo definirsi un intervento restrittivo che si compie a distanza di quarantotto ore dal fatto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Deve ricordarsi che la disposizione invocata a sostegno del provvedimento restrittivo operato dagli agenti di pubblica sicurezza, per garantire il rispetto dei principi di cui all'articolo 13 Cost., deve essere saldamente ancorata ad una verifica di consistenza della condizioni dì necessità ed urgenza, che costituiscono il presupposto della misura coercitiva e dell'eccezionale delega riconosciuta all'autorità amministrativa competente per l'esecuzione di provvedimenti provvisori. L'arresto differito in tanto può ritenersi legittimo in quanto siano richiamati i motivi che impongono, malgrado il superamento dello stato di flagranza o quasi flagranza, l'intervento per motivi di necessità o di urgenza e si operino a tal fine dei riferimenti alla condizione di fatto che dimostri l'impossibilità di procedere all'arresto nell'immediatezza per comprovate ragioni di sicurezza o incolumità pubblica e, nel contempo, alla persistenza di tali condizioni di pericolosità. Invero, se nelle situazioni contemplate dal codice procedurale la situazione di pericolo è in corso o in condizioni di correlata immediatezza temporale rispetto agli eventi delittuosi, la natura differita dell'intervento rende ancora più imperativa l'individuazione del presupposto della necessità ed urgenza dell'atto, che sia di tale persistente attualità da non consentire l'attivazione dell'ordinario procedimento dì richiesta di emissione della misura cautelare all'autorità giudiziaria competente. Se tale deve essere l'interpretazione della norma per garantire il rispetto dei valori costituzionali evocati, non può che rilevarsi che nel provvedimento in esame si oblitera dei tutto l'accertamento della specifica condizione legittimante, limitandosi la verifica all'individuazione dell'interessato attraverso la video ripresa, elemento che legittima la restrizione sotto l'aspetto soggettivo, ma elude il previo accertamento della condizione oggettiva dell'intervento, che deve passare preliminarmente attraverso l'individuazione, da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, di circostanze fattuali di carattere eccezionale, agevolmente verificabili dall'autorità giudiziaria cui compete la convalida dell'arresto differito. La polizia giudiziaria non è esentata dall'onere di fornire all'A.G. la dimostrazione dell'effettivo ricorrere delle condizioni di emergenza e di salvaguardia dell'ordine pubblico che hanno impedito di procedere all'arresto in flagranza, che nel caso di specie non risultano sottoposti all'autorità giudiziaria che ha convalidato il provvedimento, o quanto meno non emerge che gli stessi siano stati da questa esaminati, poiché di tale obbligatoria analisi non v'è traccia nel provvedimento oggetto di impugnazione. 3. Ne consegue che l'ordinanza di convalida dell'arresto debba essere annullata senza rinvio, in quanto priva dell'individuazione delle condizioni legittimanti l'emissione dell'arresto differito su cui deve obbligatoriamente svolgersi la valutazione del giudicante, nei termini di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.