Vince la causa anche se ""notoriamente imbecille""

I contrasti insorti fra sindacalisti non giustificano l'utilizzo del'espressione notoriamente imbecille riferita a un sindacalista dissidente.

La Quinta sezione Penale della corte di Cassazione, con la sentenza numero 15060, del 13 aprile, ha confermato la sentenza del Tribunale di Cagliari con la quale si è stabilito che su un manifesto affisso in azienda, anche senza fare nomi ma comunque facendo trasparire a chi ci si riferisce, non si può dare del notoriamente imbecille a un collega.Il caso. Due sindacalisti si sono visti condannare al pagamento di una multa di 1000 euro ciascuno e al risarcimento danni in favore di un loro collega per il reato di diffamazione a seguito di contrasti tra loro insorti. dissidenti frustrati da mancati riconoscimenti in carriera solo perché notoriamente imbecilli vedi il caso dell'Ing . Con tale frase, inserita nel comunicato affisso nelle bacheche aziendali e distribuito con volantini, si criticava il referendum che la persona offesa anch'egli sindacalista aveva indetto per l'abrogazione di un accordo tra sindacati e azienda.L'interessato si riteneva diffamato in quanto unico iscritto alla CGIL avente il titolo di ingegnere e dissidente rispetto agli accordi sindacali.Due i motivi del ricorso per cassazione presentato dai due imputati. Col primo si lamentava la mancanza, la contradditorietà e l'illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del dolo, mentre col secondo il mancato riconoscimento della scriminante del diritto di critica.La Corte di Cassazione sottolinea come nella sentenza impugnata si dava risalto agli elementi inequivocabilmente identificativi, quali il titolo di ingegnere, la posizione dissenziente dallo stesso assunta e il mancato riconoscimento delle prospettive di carriera del querelante.Il dolo eventuale nei reati contro l'onore. In reati di questo tipo, secondo un consolidato principio, è sufficiente che l'agente faccia consapevolmente uso di espressioni idonee ad assumere portata offensiva. Nel caso di specie, gli autori erano consapevoli che l'ingegnere comprendesse di essere il destinatario delle espressioni diffamatorie e quindi accettavano la configurazione di tale evento, per cui la Corte di legittimità non ravvisa nessuna manifesta illogicità in merito alla motivazione data dal Tribunale sulla sussistenza del dolo.Il diritto di critica tollera giudizi aspri ma non espressioni infamanti o umilianti. I ricorrenti sostenevano che il comunicato si inseriva in un aspro confronto sindacale e che il termine imbecille stava a indicare una persona poco assennata, stigmatizzando atteggiamenti di contrapposizione sindacale irragionevoli e motivati dal rancore personale verso l'azienda. Per la difesa, quindi, si configura il diritto di critica.L'espressione notoriamente imbecille , esposta a fondamento dei mancati avanzamenti in carriera si presenta invece come intrinsecamente rivolta a denotare una qualità generale e permanente della personalità del predetto, per cui la S.C. non riconosce il diritto di critica in questi termini e, non sussistendo nessuna delle due censure proposte, rigetta il ricorso condannando ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 febbraio - 13 aprile 2011, numero 15060Presidente Rotella - Relatore ZazaRitenuto in fattoCon la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Cagliari in data 25.3.2003, con la quale D.S. e P.R. venivano condannati alla pena di Euro.1.000 di multa ciascuno ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile per il reato di diffamazione commesso in danno di Po.Ma. dopo che lo stesso nel marzo del 2003, a seguito di contrasti insorti fra sindacalisti della CGIL operanti presso la s.p.a. CTM di Cagliari, aveva indetto un referendum per l'abrogazione di un accordo sottoscritto dai sindacati con l'azienda. L'imputazione riguarda in particolare l'affissione nelle bacheche aziendali e la diffusione con volantinaggio in data 18.3.2003 di un comunicato, sottoscritto da D.S., P.R., F.A. e V.G., nel quale criticando l'iniziativa referendaria si sosteneva fra l'altro che a tale bisogna hanno reclutato di tutto ex sindacalisti degli autisti, che dopo essersi inventati strane malattie dalle quali oggi sono perfettamente guariti hanno trovato un posto in direzione, dissidenti frustrati da mancati riconoscimenti in carriera solo perché notoriamente imbecilli vedi il caso dell'Ing. espressioni dalle quali il Po. riteneva essere diffamato in quanto unico iscritto alla CGIL avente il titolo di ingegnere e dissidente rispetto agli accordi sindacali. I ricorrenti deducono 1. violazione degli articolo 43, 47 e 595 c.p. e mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del dolo 2. violazione degli articolo 51 e 595 c.p. e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della scriminante del diritto di critica.Ritenuto in diritto1. Il primo motivo di ricorso, relativo alla sussistenza del dolo, è infondato.I ricorrenti lamentano in particolare che i giudici di merito abbiano omesso di valutare la sussistenza dell'elemento psicologico del reato sotto il profilo dell'aver gli imputati redatto il comunicato con la volontà che lo stesso venisse letto come riferibile al Po., rilevando che nella stessa sentenza si riportavano le dichiarazioni del D. laddove lo stesso, nel l'ammette re che il riferimento all'ingegnere contenuto nel comunicato era diretto al Po., affermava di non averne riportato il nome per non offenderlo personalmente, e che la possibilità di individuare il Po. quale destinatario delle espressioni contenute nel comunicato era pertanto conseguenza di un'erronea rappresentazione, da parte degli imputati, della capacità identificativa degli elementi testuali dello scritto.La sentenza impugnata si muove sul punto nella stessa prospettiva motivazionale della decisione di primo grado, nella quale si dava risalto agli elementi inequivocabilmente identificativi, nella loro convergenza, contenuti nello scritto rispetto alla persona del Po., quali il titolo professionale di ingegnere, la posizione dissenziente dallo stesso assunta rispetto agli accordi di categoria ed il mancato riconoscimento di prospettive di carriera del querelante nella contrattazione nazionale e si osservava come la configurabilità del reato dal punto di vista dell'elemento psicologico richiedesse unicamente la consapevolezza dell'attitudine lesiva delle espressioni utilizzate. Quest'ultimo riferimento è chiaramente riconducitele al consolidato principio per il quale nei reati contro l'onore, escludendosi la necessaria ricorrenza di un animus injurandi vel diffamandi, il dolo ha natura generica e può assumere anche la forma del dolo eventuale essendo di conseguenza sufficiente che l'agente faccia consapevolmente uso di espressioni idonee ad assumere portata offensiva Sez. 5, numero 7597 dell'11.5.1999, imp. Beri Riboli, Rv.21363l . Tale idoneità comprende necessariamente l'attitudine a raggiungere la sensibilità del soggetto passivo la quale implica a sua volta la concreta possibilità che quest'ultimo si percepisca come destinatario delle espressioni offensive. A questo punto, il complessivo percorso argomentativo dei giudici di merito è chiaramente identificabile. L'inequivoca capacità identificativa della pluralità dei descritti elementi del testo incriminato, evidente anche per gli autori dello stesso, è stata ritenuta tale da rendere questi ultimi ben consapevoli della concreta possibilità che il Po. comprendesse di essere il destinatario delle espressioni diffamatorie, pur se non nominativamente formulate configurandosi pertanto a carico degli stessi quanto meno l'accettazione di detto evento nella diffusione dello scritto nonostante siffatta consapevolezza.In questi termini, la motivazione risponde adeguatamente alle censure dei ricorrente e non è dato ravvisare nella stessa alcuna manifesta illogicità.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento della scriminante del diritto di critica, è anch'esso infondato.Con la sentenza impugnata si osservava che l'espressione insultante rivolta al Po. nel comunicato compariva nello stesso come gratuita e slegata dal contesto discorsivo, e si presentava come un'offesa diretta alla persona, non correlata al lamentato atteggiamento incoerente e dannoso per i lavoratori ed invece tendente da attribuire all'offeso infime capacità intellettive.I ricorrenti rilevano che il comunicato si inseriva in un aspro confronto sindacale, nell'ambito del quale i redattori del testo intendevano colpire la posizione assunta da taluni sindacalisti in quanto pregiudizievole per gli accordi sottoscritti che il termine imbecille, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, indica persona che si mostra poco assennata e si comporta in modo poco intelligente e che pertanto detto epiteto, nel contesto in cui veniva nella specie utilizzato, intendeva solo stigmatizzare atteggiamenti di contrapposizione sindacale irragionevoli e motivati unicamente da personali motivi di rancore verso l'azienda, in tal modo essendo ricompreso nel legittimo esercizio del diritto di critica, il quale comporta necessariamente valutazioni negative sulle qualità morali o intellettuali dei soggetti criticati.È appena il caso di ricordare che il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato Sez. 5, numero 29730 del 4.5.2010, imp. Andreotti, Rv. 247966 . In questa prospettiva, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica ma non può in alcun modo scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest'ultimo in quanto tale. Il riconoscimento del diritto di critica tollera in altre parole giudizi anche aspri sull'operato del destinatario delle espressioni, purché gli stessi colpiscano quest'ultimo con riguardo a modalità di condotta manifestate nelle circostanze a cui la critica si riferisce ma non consente che, prendendo spunto da dette circostanze, si trascenda in attacchi a qualità o modi di essere della persona che finiscano per prescindere dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata.Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l'attribuzione al Po. delle caratteristiche dell'imbecillità, a maggior ragione ove rafforzata dal predicato della notorietà di tale condizione, non può in alcun modo essere intesa come riferita esclusivamente a scarsa assennatezza evidenziata nella specifica occasione della contrapposizione alle posizioni sindacali in discussione. L'espressione notoriamente imbecille , esposta a fondamento dei mancati avanzamenti in carriera del Po., si presenta invece come intrinsecamente rivolta a denotare una qualità generale e permanente della personalità del predetto, tanto da essere oggetto di ormai notoria conoscenza e di valutazione in sede professionale. La condotta esula pertanto dai limiti della critica al comportamento del Po nella specifica vicenda che dava origine ai fatti, risolvendosi in una gratuita aggressione della persona offesa e, in aderenza ai principi richiamati, non può di conseguenza essere ritenuta scriminata.Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.P.Q.M.Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.